22 Novembre 2025
 
Santa Cecilia, Vergine
 
1Mac 6,1-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 9; Lc 20,27-40
 
Colletta
O Dio,
che ogni anno ci allieti
con la memoria di santa Cecilia,
concedi che i mirabili esempi della sua vita
ci offrano un modello da imitare
e proclamino le meraviglie
che Cristo tuo Figlio opera nei suoi fedeli.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
 
Giovanni Paolo II (Omelia 22 Novembre 1984): Cecilia … fu una di quelle vergini prudenti, che hanno atteso lo Sposo celeste con la lampada accesa e con l’olio di scorta: la lampada della fede, che essa alimentava ogni giorno leggendo la Sacra Scrittura e ascoltando i ministri di Dio. Narra la “Passio” che essa custodiva il Vangelo nel suo cuore e che, colpita a morte, giacque sul fianco destro, le ginocchia piegate, le braccia tese in avanti, il capo reclinato, con tre dita della mano destra e uno della sinistra distese per indicare la sua fede nell’unità e nella Trinità di Dio ...
È questo l’insegnamento fondamentale che santa Cecilia lascia a noi: dobbiamo tenere accesa la lampada della fede; dobbiamo rimanere in vigilante attesa del banchetto celeste, perché il tempo non ci appartiene e per ognuno di noi da un momento all’altro può echeggiare il grido del Vangelo: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”.
È una lampada che ci dà la forza di accettare le vicende della vita, anche dolorose e contrastanti, nella prosperità della felicità eterna con Dio, che ci attende al termine dell’esistenza. La testimonianza della verità, talvolta, urta, crea contrasti, può suscitare odi e persecuzioni. Il divin Maestro l’aveva già predetto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi” (Gv 15, 20); “Beati voi, quando vi insulteranno e vi perseguiteranno ... per causa mia” (Mt 5, 11). La fede ci dice che Cristo ha vinto il mondo: egli è sempre con noi, ogni giorno, fino alla fine della storia. Sulla tomba della martire romana Cecilia, e di tanti altri testimoni di Cristo, eleviamo pertanto un pensiero colmo di affetto e di ammirazione per tanti nostri fratelli che soffrono attualmente per la loro fede. Noi li ricordiamo! Preghiamo per loro! Li ringraziamo perché il loro esempio coopera anche a tenere accesa la nostra fiamma.
È una lampada che deve essere costantemente alimentata dalla preghiera e dalla meditazione, perché solo da profonde convinzioni personali e dall’aiuto soprannaturale della grazia trae vigore in noi la luce della verità. Per affrontare come Cecilia le difficoltà e le avversità del mondo, è necessario che la lampada della fede sia ben accesa e la luce ben splendente, così da poter dare tutto, anche la vita!
 
I Lettura: Il re Antiòco è insaziabile di potere e per questa smodata avidità si spinge fino nelle terre della Persia per conquistare la città Elimàide, “famosa per ricchezza, argento e oro, che c’era un tempio ricchissimo, dove si trovavano armature d’oro, corazze e armi, lasciate là da Alessandro, figlio di Filippo, il re macèdone che aveva regnato per primo sui Greci”. Ma il suo destino era già segnato, costretto dagli abitanti di Elimàide a fuggire si ritira con grande tristezza e tornare a Babilonia dove muore verso il 164 a.C.
L’autore sacro legge questi fatti con il lume della fede e vede in questi eventi la “mano di Dio”, il suo giudizio inappellabile, anzi per dare più veridicità alla sua riflessione la pone sulle labbra di Antiòco: «Se ne va il sonno dai miei occhi e l’animo è oppresso dai dispiaceri. Ho detto in cuor mio: in quale tribolazione sono giunto, in quale terribile agitazione sono caduto, io che ero così fortunato e benvoluto sul mio trono! Ora mi ricordo dei mali che ho commesso a Gerusalemme, portando via tutti gli arredi d’oro e d’argento che vi si trovavano e mandando a sopprimere gli abitanti di Giuda senza ragione. Riconosco che a causa di tali cose mi colpiscono questi mali; ed ecco, muoio nella più profonda tristezza in paese straniero». 
Gli empi e i tiranno possono spadroneggiare e inferire sui più deboli, ma alla fine c’è sempre il verdetto di Dio a giudicare le loro opere empie.
 
 
Vangelo
Dio non è dei morti, ma dei viventi.
 
Si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi...: la domanda posta dai sadducei è capziosa, ed è altresì deviante perché poggia su una legge umana, la legge del levirato (Dt 25,5-10), che presa alla lettera finisce con il ridicolizzare l’idea della risurrezione. La vita eterna, quella che attende ogni uomo, non è la continuazione della vita terrena con tutte le sue complicanze. L’uomo ritornerà nella polvere, ma non precipiterà nel nulla. La risurrezione “non fu chiaramente percepita agli inizi della rivelazione biblica, donde la credenza a uno «sheol» senza resurrezione [Is 38,10-20; Sal 6,6; 88,11-13], alla quale il tradizionalismo conservatore dei sadducei [At 23,8] pretendeva di restare fedele. Ma il progresso della rivelazione a poco a poco ha compreso e soddisfatto questa esigenza [Sal 16,10-11; 49,16; 73,24], annunziando il ritorno alla vita [Sap 3,1-9] di tutto l’uomo, salvato perfino nel suo corpo [Dn 12,2-3; 2Mac 7,9s; 12,43-45; 14,46]” (Bibbia di Gerusalemme). La risposta di Gesù ai sadducei fa ben intendere che la vita dei risorti è una vita completamente nuova, un approdo nell’immensità dell’amore di Dio, una esaltate trasformazione che ha inizio già in questa povera vita: noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l’azione dello Spirito del Signore (2Cor 3,18).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 20,27-40
 
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù alcuni sadducèi – i quali dicono che non c’è risurrezione – e gli posero questa domanda: «Maestro, Mosè ci ha prescritto: “Se muore il fratello di qualcuno che ha moglie, ma è senza figli, suo fratello prenda la moglie e dia una discendenza al proprio fratello”. C’erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli. Allora la prese il secondo e poi il terzo e così tutti e sette morirono senza lasciare figli. Da ultimo morì anche la donna. La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie».
Gesù rispose loro: «I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della risurrezione dai morti, non prendono né moglie né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della risurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per lui».
Dissero allora alcuni scribi: «Maestro, hai parlato bene». E non osavano più rivolgergli alcuna domanda.

Parola del Signore.
 
Il racconto odierno è comune a Matteo (22,23-33) e a Marco (12,18-27). La controversia sulla risurrezione è preceduta da altre due dispute: quella che riguarda l’autorità con cui Gesù opera e predica in mezzo al popolo di Dio (Lc 20,1-8) e quella sul dovere di pagare il tributo a Cesare (Lc 20,20-26). Nell’intervallo Gesù narra la parabola dei vignaioli omicidi (Lc 20,9-19).
I sadducèi per dottrina erano in contrapposizione con i farisei. Si ritroveranno amici quando sarà necessario far fronte comune per neutralizzare Gesù. Inoltre, a differenza dei farisei, i sadducéi consideravano valido soltanto quanto era scritto nella Torah e non trovando in essa alcun testo che affermasse una nuova vita nell’aldilà non credevano nella risurrezione. Non credevano nemmeno nell’esistenza degli angeli (Cf. At 23,8).
Nell’interrogare Gesù, per dare maggior autorità alle loro parole e screditare la dottrina dei farisei, citano la legge del levirato (Dt 25,5ss). Secondo questa legge se un uomo moriva senza lasciare figli, il fratello era obbligato a sposare la vedova per dare una discendenza al defunto.
I sadducèi, «setta più rozza di quella farisaica» (san Giovanni Crisostomo), con la storia dei sette fratelli non soltanto vogliono mettere in difficoltà Gesù, ma puntano a ridicolizzare la fede nella risurrezione dei morti professata dai farisei, loro acerrimi nemici. Infatti, con accenti tra il grottesco e l’ironico, alla fine del loro racconto, chiedono a Gesù: «La donna dunque, alla risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l’hanno avuta in moglie». Ma al di là dei toni e degli intenti si può pensare ragionevolmente che al ragionamento dei sadducèi «sottende una concezione materialistica della risurrezione, come se la vita dei risorti potesse essere valutata alla stregua di quei valori d’oggi: matrimonio, appartenenza di una persona all’altra, morte» (Carlo Ghidelli).
Gesù risponde affermando inequivocabilmente la realtà della risurrezione e illustrando i requisiti dei corpi risorti confuta sapientemente l’argomento dei sadducèi: se in questo mondo gli uomini contraggono nozze per assicurare la continuità della specie,  «nella risurrezione» cesserà questa necessità: gli uomini «giudicati degni della vita futura e della risurrezione», partecipando a una nuova vita, saranno «uguali agli angeli» e non potranno più morire. L’evangelista Luca dicendo saranno uguali agli angeli non vuole fare un paragone, ma spiegare in cosa consiste la risurrezione: non in una «rianimazione di un cadavere, bensì nella spiritualizzazione di tutto l’essere umano, reso simile agli angeli in cielo, per partecipare alla vita di Dio, come dono sublime della sua liberalità» (Angelico Poppi).
Gesù per affermare il mistero della risurrezione cita la Parola di Dio, così come avevano fatto i suoi interlocutori per negarla. È infatti la Sacra Scrittura a dimostrare il grave errore dei sadducèi: il Signore, nella teofania del roveto ardente, dichiarandosi «il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe» (Es 3,6) rivela una comunione vera con degli esseri che anche dopo la morte continuano a vivere.
«Vivono per sempre» (Sap 5,15) perché da Dio sono stati creati per l’immortalità: «Dio non ha creato la morte; le creature del mondo sono portatrici di salvezza, in esse non c’è veleno di morte, né il regno dei morti è sulla terra. La giustizia infatti è immortale [...]. Sì, Dio ha creato l’uomo per l’incorruttibilità; lo ha fatto a immagine della propria natura» (Sap 1,13.15-2,23).
 
Cristo ci liberò dalla morte - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): La morte è un dato costante dell’esperienza. La morte biologica, il suo lento annuncio nelle molteplici malattie, la sua presenza brutale negli incidenti e la sua manifestazione in tutto quello che è negazione della vita, per la violazione della dignità e dei diritti della persona, costituisce il più doloroso dei problemi umani (GS 18).
Le scienze umane, la filosofia e la storia delle religioni, hanno dato e danno risposte più o meno convincenti all’enigma della morte: è una fine o un inizio? Ci aspetta il nulla o un’altra vita diversa? Saremo annientati o trasformati? Alla fine della strada, c’è Dio o il vuoto?
Secondo le risposte, questi sono gli atteggiamenti più comuni: paura viscerale, silenzio davanti a un tabù, fatalismo stoico di fronte a un fatto naturale e inevitabile, massimo edonismo davanti alla fugacità della vita (perché domani moriremo), pessimismo, ribellione, nausea esistenziale davanti al più grande degli assurdi... oppure la serena speranza di chi crede nell’immortalità e nella risurrezione.
Gesù Cristo risorto è l’unica risposta valida all’interrogativo della morte dell’uomo. La fede e la speranza cristiane di risurrezione e vita eterna sono legate e si fondano sulla risurrezione di Cristo, al quale siamo uniti attraverso il battesimo. Il battezzato, il credente, si sente radicalmente libero e salvato da Cristo, che lo affranca dal peccato e dalla sua conseguenza: la morte. Questa non è una liberazione dalla morte biologica, perché anche Cristo morì, ma dalla schiavitù opprimente della morte, dalla paura che ne deriva, dalla mancanza di significato e dall’assurdità di una vita inutile che finirebbe nel nulla.
Alla luce della risurrezione del Signore, il credente sa e ne ha l’esperienza già da ora, che la morte fisica, inevitabile nonostante i progressi della medicina e l’appassionata aspirazione dell’uomo all’immortalità, non è la fine del cammino, ma la porta che ci viene aperta per la liberazione definitiva con Cristo risorto. Grazie a lui, l’uomo è un essere per la vita.
 
Sadducei - Doris Riemensperger: I sadducei costituiscono, accanto ai farisei e agli esseni, una corrente prevalentemente politica del giudaismo. Il loro nome deriva dal sommo sacerdote Zadok. Raccoglievano i loro adepti in prevalenza nei circoli della nobiltà gerosolimitana e delle famiglie sacerdotali. I sadducei comparvero per la prima volta al tempo dell’Asmoneo Gionata (160-144 a.C.); esistevano tuttavia già prima delle lotte dei Maccabei; presumibilmente provenivano dalle cerchie di giudei ellenizzanti che, come i sadducei, erano fortemente interessati ad acquisire un’influenza politica. I sadducei rifiutavano l’insegnamento orale al quale i farisei si richiamavano nella spiegazione della legge di Mosè.
Sotto il profilo religioso si erano perciò fermati a un livello arcaico; negavano così anche la risurrezione dei morti poiché non menzionata nella Legge, e rifiutavano pure ogni dottrina penetrata nel giudaismo dall’esterno. Questo atteggiamento conservativo in questioni religiose era accompagnato da un atteggiamento politico di apertura attraverso il quale riuscirono a instaurare un buon accordo con le varie case regnanti. Sulla vita religiosa del giudaismo, tuttavia, i farisei avevano un’influenza di gran lunga maggiore, rispetto alla quale i sadducei finirono anche col perdere temporaneamente - al tempo dell’Asmonea Alessandra (76-67 a.c.) - la loro posizione di predominio politico. Nel NT essi compaiono come negatori della risurrezione (Mc 12,18-27) e avversari dei farisei. Più tardi furono considerati dai rabbini degli eretici.
 
L’interpretazione ebraica della risurrezione - Agostino, Discorsi 362,15, 18: I sadducei costituivano una setta dei Giudei che non credeva nella risurrezione, e i Giudei di fronte al problema che essi ponevano loro, non sapevano rispondere, restando nell’incertezza perché credevano che carne e sangue potessero ereditare il regno, passando dalla corruttibilità all’incorruttibilità. Venne colui che è la Verità e gli fu posta quella domanda dagli stessi sadducei con l’intenzione di trarlo in inganno, mentre erano loro in inganno. Il Signore che sapeva bene che cosa dire e voleva portarci a conoscere quello che ignoravamo, risponde con l’autorità della sua maestà, dicendo quello che dobbiamo credere. L’Apostolo da parte sua l’ha esposto come gli è stato concesso. Noi a nostra volta cerchiamo di capire per quanto possiamo.
 
Il Santo del Giorno - 22 Novembre 2025 - Santa Cecilia, Vergine e Martire. La vita è un canto, una dolce musica che parla di bellezza anche nella prova: La vita è un canto, sta a noi coglierne l’armonia e tradurla in gesti e parole che esprimano la bellezza, anche di fronte alle tante prove che ci attendono. Per santa Cecilia, patrona dei musicisti vissuta tra il II e il III secolo, a muovere il canto era la fede, radice d’infinito e musica del cuore. Il giorno delle nozze, come narra la sua «Passio», lei cantava rivolta al Signore chiedendo di essere conservata casta e pura. La forza di quel canto le permise di presentare il proprio voto di castità al marito, Valeriano, che si convertì e fu battezzato nella prima notte di nozze. L’uomo però venne poi arrestato, torturato e decapitato per la sua fede. Sorte simile toccò anche a Cecilia, che dovette subire pesanti torture prima di morire. Nonostante l’assenza di riscontri storici il culto è antichissimo e il titolo della basilica di Santa Cecilia risale di certo a un’epoca anteriore al 313; inoltre la festa di questa santa martire veniva già sicuramente celebrata, nella sua basilica di Trastevere, nell’anno 545, come testimonia il «Liber pontificalis». Probabilmente, poi, Cecilia venne sepolta nelle Catacombe di San Callisto, forse addirittura in un posto d’onore accanto alla «Cripta dei Papi». In un secondo momento sarebbe stata trasferita da papa Pasquale I nella cripta della basilica a lei dedicata. La «Passio» che narra la vita di santa Cecilia è un testo dal valore più letterario che storico e attorno al martirio riporta tutta una serie di eventi drammatici culminati con le torture e infine terminati con la decapitazione.  (Matteo Liut)
 
O Dio, che hai glorificato tra i santi la beata Cecilia
con la duplice corona della verginità e del martirio,
per la potenza di questo sacramento
donaci di superare con forza ogni male,
per raggiungere la gloria del cielo.
Per Cristo nostro Signore.