19 Novembre 2025
 
Mercoledì XXXIII Settimana T. O.
 
2Mac 7,1.20-31; Sal 116 (117); Lc 19,11-28
 
Colletta
Il tuo aiuto, Signore Dio nostro,
ci renda sempre lieti nel tuo servizio,
perché solo nella dedizione a te, fonte di ogni bene,
possiamo avere felicità piena e duratura.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Benedetto XVI (Angelus 13 Novembre 2011): Nella celebre parabola dei talenti – riportata dall’evangelista Matteo (cfr 25,14-30) – Gesù racconta di tre servi ai quali il padrone, al momento di partire per un lungo viaggio, affida le proprie sostanze. Due di loro si comportano bene, perché fanno fruttare del doppio i beni ricevuti. Il terzo, invece, nasconde il denaro ricevuto in una buca. Tornato a casa, il padrone chiede conto ai servitori di quanto aveva loro affidato e, mentre si compiace dei primi due, rimane deluso del terzo. Quel servo, infatti, che ha tenuto nascosto il talento senza valorizzarlo, ha fatto male i suoi conti: si è comportato come se il suo padrone non dovesse più tornare, come se non ci fosse un giorno in cui gli avrebbe chiesto conto del suo operato. Con questa parabola, Gesù vuole insegnare ai discepoli ad usare bene i suoi doni: Dio chiama ogni uomo alla vita e gli consegna dei talenti, affidandogli nel contempo una missione da compiere. Sarebbe da stolti pensare che questi doni siano dovuti, così come rinunciare ad impiegarli sarebbe un venir meno allo scopo della propria esistenza. Commentando questa pagina evangelica, san Gregorio Magno nota che a nessuno il Signore fa mancare il dono della sua carità, dell’amore. Egli scrive: “È perciò necessario, fratelli miei, che poniate ogni cura nella custodia della carità, in ogni azione che dovete compiere” (Omelie sui Vangeli 9,6). E dopo aver precisato che la vera carità consiste nell’amare tanto gli amici quanto i nemici, aggiunge: “se uno manca di questa virtù, perde ogni bene che ha, è privato del talento ricevuto e viene buttato fuori, nelle tenebre” (ibidem).
Cari fratelli, accogliamo l’invito alla vigilanza, a cui più volte ci richiamano le Scritture! Essa è l’atteggiamento di chi sa che il Signore ritornerà e vorrà vedere in noi i frutti del suo amore. La carità è il bene fondamentale che nessuno può mancare di mettere a frutto e senza il quale ogni altro dono è vano (cfr 1 Cor 13,3). Se Gesù ci ha amato al punto da dare la sua vita per noi (cfr 1 Gv 3,16), come potremmo non amare Dio con tutto noi stessi e amarci di vero cuore gli uni gli altri? (cfr 1 Gv 4,11) Solo praticando la carità, anche noi potremo prendere parte alla gioia del nostro Signore. La Vergine Maria ci sia maestra di operosa e gioiosa vigilanza nel cammino verso l’incontro con Dio.
 
I Lettura: Il secondo libro dei Maccabei, scritto nei primi decenni del II secolo a.C., si presenta come il riassunto in greco di un’opera in cinque libri di un ignoto Giasone di Cirene, con lo scopo «di offrire diletto a coloro che amano leggere, facilità a quanti intendono fissare nella memoria, utilità a tutti gli eventuali lettori» (2,23-25). Nel libro, oltre alla dottrina religiosa comune agli altri libri dell’Antico Testamento, si trovano insegnamenti precisi sulla vita futura: immortalità dell’anima, risurrezione, comunione dei santi, valore dei suffragi per i defunti. La pagina odierna, è il racconto struggente del martirio di sette fratelli Giudei. I fratelli nella dura prova sono incoraggiati e sostenuti dalla madre. Qui per la prima volta è affermata la fede nella risurrezione dei corpi e la creazione del mondo dal nulla e «non da cose preesistenti». Siamo dinanzi anche a uno dei momenti più alti della rivelazione biblica circa il problema della retribuzione: al giusto tocca il premio, al malvagio un giudizio di condanna.
 
Vangelo
Perché non hai consegnato il mio denaro a una banca?
 
La parabola delle monete d’oro forse allude ad Archelao che si recò a Roma nel 4 a.C. per essere confermato dall’imperatore Augusto come successore sul trono di suo padre Erode il Grande. Oltre alle critiche di cattiva gestione mossegli da Salomè, sorella del padre, e dal fratello minore Erode Antipa, dovette difendersi dalle accuse di una delegazione giudaica che convinse Augusto ad attribuirgli la Giudea, la Samaria e l’Idumea, assegnando ad Erode Antipa la Galilea e la Perea con il titolo di tetrarca.
Archelao conservò il regno fino al 6 d.C. quando Augusto, accogliendo le richieste dei Giudei che ne denunciavano il malgoverno, decise di relegarlo a Vienne (città della Gallia) incamerando il suo patrimonio e riducendo il suo territorio alla provincia dell’impero di Siria (provincia romana).
Il Vangelo vuol suggerire che il regno di Dio si costruisce giorno dopo giorno, con perseveranza, sacrificio e fedeltà. Gesù allontanandosi da noi “ha affidato ai cristiani le sue ricchezze. È la situazione in cui ci troviamo assolutamente tutti. Il tesoro della vita, dell’amore e dei beni terreni sono la ricchezza che Dio ci ha affidata. Colui che la nasconde o lo spreca è forse ricco agli occhi degli uomini, ma povero a quelli di Dio. Solo colui che accresce la sua fortuna, colui che traffica sempre con profitto, può arricchire” (Javer Pikaza).
Infine, nella parabola si mette in evidenza che Gesù è il re che si reca a Gerusalemme per ricevere il titolo di re messianico.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 19,11-28
 
In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme.
 
Parola del Signore.
 
Roberto Osculati (L’evangelo di Luca): Gerusalemme è vicina e la folla dei seguaci superficiali della Galilea ritiene che il regno di Dio stia manifestandosi con prodigi inauditi e conclusivi. In contrasto con questi sogni pericolosi, una parabola insiste sull’impegno morale del discepolo, liberato dalle illusioni politiche e taumaturgiche, caratteristiche piuttosto delle strategie diaboliche (Luca 4,9-13). L’immagine dei servi cui vengono conferite responsabilità diverse durante l’ assenza del padrone dipinge plasticamente la condizione di chi accetta una sequela impegnativa e lunga. È come se ad ognuno fosse fornito un capitale differente da rendere fruttuoso durante un tempo di cui non si conosce esattamente il termine, ma che finirà con un rigoroso rendiconto. Chi ha ricevuto un dono, per quanto modesto, e non lo ha fatto fruttare ne sarà privato, mentre chi ha saputo dimostrare abilità e coraggio sarà largamente ricompensato. La parabola sottolinea la diversità e l’importanza dell’impegno personale, ma critica l’immobilità, la paura, l’attesa inconcludente di chi non ha saputo cogliere l’occasione propizia e si è chiuso nella propria meschinità. Al momento della resa dei conti bisognerà farsi trovare con un buon guadagno da restituire al padrone. Il tempo tra la predicazione di Gesù e il suo ritorno come giudice ultimo deve essere dedicato alla fedeltà operosa, alla coerenza, alla moltiplicazione di guanto è stato affidato. Luca ha davanti a sé l’impegno missionario dei discepoli, la diffusione del messaggio tra le genti, il crearsi del nuovo regno con le sue molte comunità affidate alle loro cure. Così il dono ricevuto diviene fonte di nuova ricchezza e non ci si chiude nelle abitudini scontate, nei sogni inutili o nelle paure, mentre un giudizio di morte attende i nemici.
 
Le parabole dell’attesa e dell’impegno nell’attesa della parusia - Roberto Tufariello (Parabola in Schede Bibliche Pastorali - Vol. VI): Una serie di parabole evangeliche è caratterizzata dalla figura del padrone di casa nel suo rapporto con i servi o con altre figure corrispondenti. Il ritmo delle sequenze narrative si sviluppa secondo un andamento in tre fasi: la consegna dei beni o incarichi; la partenza, con un tempo più o meno lungo di attesa; infine la venuta e il rispettivo incontro con i servi per il giudizio o valutazione del loro lavoro e impegno.
Si possono fare rientrare in questo gruppo di parabole quella dei servi che attendono il padrone, quando ritorna dalla festa di nozze in piena notte o al mattino (Lc 12,35-40). Ad essa segue il dialogo di attualizzazione ecclesiale circa la responsabilità dei capi (Lc 12,41-48). Nel primo Vangelo vi fa riscontro la parabola del maggiordomo (Mt 25,45-51), che ha un’eco o nucleo arcaico nella piccola parabola del portiere di Mc 13,33-37. L’evangelista Matteo nel discorso sulla fine e sulla venuta (gr. parusia) del Figlio dell’uomo ha inserito un gruppo di racconti parabolici volti a inculcare la responsabilità vigile e attiva nell’attesa. La storia delle dieci ragazze, cinque stolte e cinque sagge, invitate al festino di nozze, raccomanda la responsabilità personale dei chiamati (Mt 25,1-13). La grande parabola dei tre servi, ai quali il padrone in partenza affida i suoi beni, talenti, mette l’accento sulla qualità del rapporto - fiducia attiva - che rende fecondo il tempo dell’attesa (Mt 25,14-30). Si può accostare al racconto matteano l’analogo di Luca, in cui si parla di mine affidate ai dieci servi, dove l’attenzione oltre che sulla responsabilità attiva si concentra sullo sviluppo della storia degli interventi di Dio (Le 19,12-27). Infine si può menzionare il racconto simbolico circa i criteri del giudizio ultimo (Mt 25,31-46).
In questi racconti, che raccomandano la vigilanza nell’attesa sotto la forma dell’impegno perseverante e attivo, può essere fatta rientrare anche quella piccola parabola del ladro notturno, riportata dalla duplice tradizione di Matteo e di Luca (Mt 24,43- 44; Lc 12,39).
 
I talenti sono doni divini dati al fedeli - Cirillo di Alessandria (Commento a Luca, omelia 129): A coloro che credono in lui, il Salvatore distribuisce una varietà di doni divini. Noi affermiamo che questo è il significato del talento. Veramente grande è la differenza tra coloro che ricevono i talenti e coloro che hanno del tutto rinnegato il suo Regno. Essi sono ribelli che hanno gettato via il giogo del suo scettro, mentre gli altri sono beneficati dalla gloria di servirlo. In quanto servi fedeli, perciò, a loro è stata affidata la ricchezza del loro Signore. Guadagnano qualcosa svolgendo il proprio compito: guadagnano le lodi dovute ad un servizio fedele, e sono considerati degni di onori eterni.
 
Il Santo del Giorno - 19 Novembre 2025 - Sant’Abdia. La costruzione della giustizia inizia condividendo il dolore: La giustizia si costruisce partecipando al dolore del fratello, non traendo soddisfazione dalla sua situazione: «Non guardare con gioia al giorno di tuo fratello, al giorno della sua sventura», è infatti, il monito che giunge dall’Antico Testamento attraverso il libro più breve, i 21 versetti del profeta Abdia. Il messaggio è chiaro e mette in guardia coloro che approfittano della debolezza del prossimo per trarne un vantaggio: l’ingiustizia che compiono sarà la loro stessa condanna e rimarrà un segno indelebile. La voce di Abdia, profeta vissuto nel VI secolo a.C., si levò dopo la conquista di Gerusalemme per condannare coloro, in particolare gli Edomiti, abitanti dell’Idumea, che avevano ferito Israele proprio nel momento più vulnerabile, quando cioè aveva subito l’invasione, la devastazione e la deportazione a Babilonia. Ma l’intenzione del profeta non era di augurare una vendetta, quanto annunciare un Dio che si fa carico delle sofferenze di coloro che subiscono iniquità e prepotenze per mano di chi si approfitta della loro debolezza. Israele, che secondo Abdia regnerà ben oltre i suoi antichi confini, è l’immagine di un popolo, quello dei giusti, che alla fine avrà la meglio sui malvagi e su quanti agiscono per difendere solo i propri interessi: essi, infatti, «possederanno Canaan fino a Sarepta» e «saliranno vittoriosi sul monte di Sion, per governare il monte di Esaù, e il regno sarà del Signore».  (Avvenire)
 
Nutriti dai santi misteri, o Signore, ti preghiamo:
donaci di imitare l’esempio di santa Elisabetta,
che si consacrò a te con totale dedizione
e si prodigò per il tuo popolo con carità inesauribile.
Per Cristo nostro Signore.