16 Novembre 2025
 
XXXIII Domenica Tempo Ordinario
 
Ml 3,19-20a; Salmo Responsoriale Dal Salmo 97 (98); 2 Ts 3,7-2; Lc 21,5-19
 
Colletta
O Dio, principio e fine di tutte le cose,
che raduni l’umanità nel tempio vivo del tuo Figlio,
donaci di tenere salda la speranza del tuo regno,
perché perseverando nella fede
possiamo gustare la pienezza della vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
 
Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime: Giovanni Paolo II (Omelia, 18 Novembre 2001): 1. Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime” (Lc 21,19). Queste parole, or ora risuonate nella nostra Assemblea, pongono ben in luce il messaggio spirituale dell’odierna trentatreesima domenica del tempo ordinario. Mentre ci avviciniamo alla conclusione dell’anno liturgico, la Parola di Dio ci invita a riconoscere che le realtà ultime sono governate e dirette dalla Provvidenza divina.
Nella prima lettura, il profeta Malachia descrive il giorno del Signore (cfr. Ml 3,19) come un intervento decisivo di Dio, volto a sconfiggere il male e a ristabilire la giustizia, a punire i malvagi e a premiare i giusti. Ancor più chiaramente le parole di Gesù, riportate da san Luca, eliminano dai nostri cuori ogni forma di paura e di angoscia, aprendoci alla consolante certezza che la vita e la storia degli uomini, nonostante sconvolgimenti spesso drammatici, rimangono saldamente nelle mani di Dio. A chi avrà riposto la propria fiducia in Lui, il Signore promette la salvezza: “Nemmeno un capello del vostro capo perirà” (Lc 21,18).
2. “Chi non vuol lavorare, neppure mangi” (2Ts 3,10). Nella seconda lettura, san Paolo sottolinea che per preparare l’avvento del Regno di Dio i credenti devono impegnarsi seriamente e, di fronte ad una interpretazione deviante del messaggio evangelico, richiama con vigore questa concretezza. Con un’espressione estremamente efficace, l’Apostolo stigmatizza il comportamento di coloro che indulgevano ad atteggiamenti di disimpegno e di evasione, invece di vivere e testimoniare con alacrità il Vangelo, ritenendo falsamente che fosse ormai prossimo il “giorno del Signore”.
Chi crede non deve comportarsi così! Al contrario, deve lavorare in modo serio e perseverante, in trepida attesa dell’incontro definitivo col Signore. Ecco lo stile proprio dei discepoli di Gesù, ben evidenziato dal Canto al Vangelo: “Vegliate e state pronti, perché non sapete in quale giorno verrà il Signore” (cfr. Mt 24,42.44).
 
Vangelo
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita.
 
L’evangelista Luca che aveva già parlato del ritorno glorioso di Gesù alla fine dei tempi (Lc 17,22-37), qui, tratta della rovina di Gerusalemme (21,5-7) e dei segni premonitori che precedono la venuta gloriosa del Figlio dell’uomo (21,8-19). Nel racconto della distruzione della città santa e del suo tempio, si può cogliere anche un’allusione alla fine del mondo. Come la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio segna la fine di una nazione con le sue leggi, le sue tradizioni e la nascita di nuovi assetti politici-religiosi, così la venuta del Signore contrassegna la fine di un mondo vecchio e la comparsa di nuovi cieli e una terra nuova (2Pt 3,13). Per il cristiano, la venuta del Signore è giorno di gioia, compimento delle promesse e liberazione piena. Poiché il giorno del Signore verrà nell’ora che non immaginiamo, il discepolo fedele, non lasciandosi trascinare da false sicurezze, deve prepararsi alla venuta del Redentore con la preghiera, la vigilanza, la penitenza e la fiducia nella salvezza che Dio gli offre.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,5-19
 
In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta».
Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro!
Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».
Poi diceva loro: «Si solleverà nazione contro nazione e regno contro regno, e vi saranno in diversi luoghi terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo.
Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governatori, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza. Mettetevi dunque in mente di non preparare prima la vostra difesa; io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere.
Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi; sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto.
Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».

Parola del Signore.
 
Verranno giorni … - Il racconto lucano si differenzia sostanzialmente da quello marciano in quanto Luca, a differenza di Marco, rimuove la cornice apocalittica e distingue la distruzione di Gerusalemme dai segni che precedono la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo.
Le parole di Gesù si avvereranno quando il malgoverno romano e i fermenti religiosi provocheranno la gravissima rivolta che si protrasse dal 66 al 70 per la quale fu necessario l’intervento delle legioni romane comandate da Tito il quale, sedata la rivolta, distrusse la città e il tempio.
Alla profezia sulla rovina del tempio segue il discorso sui segni premonitori la fine del mondo.
Il discorso è un compendio di fatti e avvenimenti comuni che attraversano quotidianamente la storia dell’uomo: proprio per la loro abituale ripetitività i discepoli non devono dare la stura ad ambigue interpretazioni. Innanzi tutto l’apparizione di falsi profeti poi l’esplosione di guerre e rivoluzioni.
Forse il testo lucano si riferisce ai disordini seguiti alla morte di Nerone. La storia umana sarà sempre piena di apparizioni di sedicenti profeti e di orrende carneficine che fatalmente accompagneranno i passi del mondo fino alla sua totale consumazione.
A questi fatti seguiranno terremoti, carestie e pestilenze, accompagnati da fatti terrificanti e segni grandiosi dal cielo: anche se questi eventi precederanno la fine del mondo essa però non è prossima. Un altro segno sarà la persecuzione contro la Chiesa che darà ai discepoli occasione di dare testimonianza. La persecuzione comunque è volta al tentativo di cancellare il nome di Gesù.
La consegna alle sinagoghe e alle prigioni è forse un espediente per sottolineare la matrice religiosa e statale-temporale della persecuzione contro i discepoli del Risorto. Il termine testimonianza è desunto dal greco martyrion da cui viene la parola martirio e va inteso come atto del testimoniare la propria fede fino al sacrifico della vita.
All’annuncio della persecuzione a motivo della fede (Cf. Gv 15,20), si accompagna la promessa dell’assistenza divina: il discepolo deve guardare al martirio con estrema serenità in quanto ha la certezza che nemmeno un capello del suo capo perirà.
Questa parola di Gesù è un proverbio noto nell’Antico Testamento (Cf. 1Sam 14,45; 2Sam 14,1; 1Re 1,52), a cui Luca fa più volte riferimento (Cf. Lc 12,7; At 27,34).
L’essere cristiani pone nella condizione di essere perseguitati, calunniati, odiati per il nome di Cristo, anche dal padre o dal fratello. Il martirio, affrontare la morte per la fede, per il cristiano non è un incidente di percorso o qualcosa di molto improbabile, infatti, il «Battesimo impegna i cristiani a partecipare con coraggio alla diffusione del Regno di Dio, cooperandovi se necessario col sacrificio della stessa vita» (Benedetto XVI).
Essere cristiani non significa non subire alcun danno o offesa, ma che ogni sofferenza verrà ricompensata e niente andrà perduto, neppure un capello. Essere discepoli di Cristo è una scelta che riserva un calice amaro: è il prezzo della verità.
Il mondo del male, coalizzato contro i cristiani, potrà fare a pezzi i loro corpi, ma essi non devono temere perché sono già nella gioia del possesso del regno dei cieli (Mt 5,11-12).
«Gesù chiama alla gioia, paradossalmente, i discepoli vittime di ogni angheria. Essi pagano un prezzo alto l’adesione a Cristo. Ma grande sarà anche la ricompensa celeste ed escatologica. Nessuna meraviglia per questo destino di persecuzione, perché già i profeti sono stati perseguitati; così sarà dei discepoli di Gesù» (G. B.).
Che i profeti e i discepoli di Gesù siano accomunati al suo destino di persecuzione è attestato da Luca 11,49-50: «Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo».
Una comunanza di morte che con la sua lunga scia di sangue ha lambito ben duemila anni di storia cristiana! Il cristiano sa attendere con pazienza la venuta del suo Salvatore. Sa essere paziente imitando la pazienza di Dio. Sa essere perseverante nella fede perché la perseveranza è la porta della salvezza. La perseveranza è la carta di identità del cristiano e allo stesso tempo la carta vincente: «Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita».
 
P. De Surgy e J Guillet - Valore cristiano del lavoro - Cristo, nuovo Adamo, permette all’umanità di compiere la missione di dominare il mondo (Ebr 2, 5 ss; Ef 1, 9 ss): salvando l’uomo, dà al lavoro il suo pieno valore. Ne rende l’obbligo più pressante, fondandolo sulle esigenze concrete dell’amore soprannaturale; rivelando la vocazione dei figli di Dio, fa vedere tutta la dignità dell’uomo e del lavoro che è al suo servizio, stabilisce una gerarchia di valori che permette di giudicare e di regolarsi nel lavoro. Instaurando il regno che non è di questo mondo, ma vi si trova come un fermento, egli restituisce la sua qualità spirituale al lavoratore, dà al suo lavoro le dimensioni della carità e fonda le relazioni generate dal lavoro sul principio nuovo della fraternità in Cristo (Filem). In virtù della sua legge d’amore (Gv 13, 34), obbliga a reagire contro l’egoismo ed a fare di tutto per diminuire la pena degli uomini al lavoro, e tuttavia, introducendo il cristiano nel mistero della sua morte e delle sue sofferenze, dà un nuovo valore a questa pena fatale.
Il lavoro ed il nuovo universo. - Infine, quando alla parusia del Signore la sua gloria di risorto rivestirà tutti i suoi eletti, il dominio dell’universo da parte dell’umanità sarà pienamente realizzato da lui ed in lui, senza l’ostacolo del peccato, della morte o della sofferenza. Ancor prima dell’ultimo giorno il lavoro, nella misura in cui è compiuto in Cristo, ha già la sua parte nel ritorno della creazione a Dio.
Lo schiavo, che sopporta la sua condizione in Cristo, è già «un liberto del Signore» (1 Cor 7, 22) e prepara la creazione ad «essere anch’essa liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Rom 8, 21). Ci sarà inoltre una permanenza dell’opera realizzata? La Scrittura non incoraggia nessun messianismo temporale: «Passa la figura di questo mondo» (1 Cor 7, 31), e la frattura tra lo stato attuale e lo stato futuro del mondo non lascia posto per un ordinamento che faccia passare senza sforzo nel mondo futuro. Tuttavia una certa permanenza dell’opera dell’uomo, in una forma impossibile da precisare, sembra essere nella linea delle affermazioni paoline sul dominio e la ricapitolazione dell’universo da parte di Cristo (Rom 8, 19 ss; Ef 1, 10; Col 1, 16- 20).
Nessun testo ci permette di soddisfare una curiosità fatalmente ingenua e limitata, ma la Scrittura nel suo insieme ci invita a sperare che la creazione redenta e liberata rimanga sempre l’universo dei figli di Dio riuniti in Cristo.
 
R. Deville - Il cristiano di fronte alla persecuzione - Il credente, la cui fede penetra il mistero della persecuzione, trova nella sua speranza la forza di sostenerla con gioia; già il VT gli offriva modelli di questo atteggiamento a cui Gesù conferisce la perfezione con il suo esempio e con i suoi consigli.
1. I modelli. - Dinanzi alla persecuzione i giusti del VT hanno adottato tutti un atteggiamento di pazienza e di fedeltà coraggiosa nella speranza. Geremia è il tipo del perseguitato fedele ed orante; le sue «confessioni» sono tanto proteste di fedeltà, quanto lamenti dolorosi; egli sa che, qualunque cosa gli capiti, Jahvè «è con lui» per proteggerlo e salvarlo (ad es. Ger l, 8. 19). La stessa cosa vale per il servo sofferente (Is 52-53) e per i salmisti perseguitati: «Signore, salvami da coloro che mi perseguitano» (Sal 7, 2): questo grido di angoscia e di fiducia echeggia in tutto il salterio. Accompagnata sovente da imprecazioni contro i nemici (Sal 35; 55; 69; 70; 109) o da appelli alla vendetta di Dio (Ger 11, 20; 15, 15; 17, 18), una simile preghiera si fonda sulla certezza della salvezza che il Dio fedele accorda ai suoi (Sal 31, 6; cfr. 23, 4; 91, 15). Gesù, perseguitato, non soltanto confida nel Padre suo che è con lui (Mt 26, 53; Gv 16, 32), ma prega per i suoi persecutori (Lc 23, 34); in tal modo dà ai suoi discepoli un esempio supremo della carità che sopporta ogni persecuzione (1 Cor 13, 7). Soggetti alle persecuzioni, gli apostoli ed i primi cristiani pregano per essere liberi e poter così annunziare il vangelo (Atti 4, 29; cfr. 12, 5); al pari del loro maestro si mostrano pazienti in mezzo alle persecuzioni (2 Tess 1, 4) e come lui pregano Dio di perdonare ai loro carnefici (Atti 7, 60).
2. I consigli dati da Gesù. - Corrispondono all’atteggiamento di cui ha dato egli stesso l’esempio. come lui, il discepolo deve pregare per coloro che lo perseguitano (Mt 5, 44 par.; cfr. Rom 12, 14). Deve affrontare la persecuzione con coraggio; se non deve essere temerario e saper fuggire da una città dov’è ricercato (Mt 10, 23; Atti 13, 50 s), deve aspettarsi pure di essere imprigionato, percosso e messo a morte (Mt 10, 16-39; Gv 16, 1-4). Ma dinanzi a simili prospettive non deve aver paura: il suo maestro ha vinto il mondo (Gv 16, 33), ed alla fine trionferà degli empi persecutori «con i suoi, i chiamati, gli eletti, i fedeli» (Apoc 17, 34). I nemici del discepolo non possono nulla contro la sua anima (Mt 10, 28-31). Lo Spirito di Dio lo assisterà quando sarà trascinato dinanzi ai tribunali, perciò egli non deve preoccuparsi della propria difesa in occasione del processo (Mt 10, 19 s). Tuttavia occorre sempre vegliare e pregare, perché la persecuzione è una prova, una tentazione, e se lo spirito è pronto, la carne è debole (Mt 26, 41 par.). Paolo riprende i mandati di Gesù. Nulla, egli dice, ci può separare dall’amore di Cristo, neppure la persecuzione o la spada (Rom 8, 35). In sintesi, il discepolo fa fronte alla persecuzione con una speranza che lo rende fedele, costante e lieto (Rom 12, 12; 2 Tess 1, 4; cfr. Mt 13, 21 par.). Sa in chi ha posto la sua fiducia (2 Tim 1, 12). Perciò, circondato dagli innumerevoli *martiri del VT e del NT, con gli occhi fissi su Cristo «che ha subito da parte dei peccatori una simile ostilità contro la sua persona», corre verso la meta, con pazienza, senza scoraggiarsi (Ebr 11, 1- 12 3).
3. La gioia della speranza (Rom 12, 12). - Essa è il frutto della persecuzione così sopportata: «Beati sarete voi quando vi oltraggeranno, vi perseguiteranno ... per causa mia. Gioite ed esultate ...» (Mt 5, 11 s). Questa promessa di Gesù si realizza nel cristiano che «si gloria nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce la costanza, la costanza la virtù provata, la virtù provata la speranza, e la speranza non delude...» (Rom 5, 3 ss; cfr. Giac 1, 2 ss). Egli «sovrabbonda di gioia nelle tribolazioni» (2 Cor 7, 4; 12, 10; Col 1, 24; cfr. Atti 5, 41; Ebr 10, 34). La consolazione nella tribolazione (2 Cor 1, 3-10) è un frutto dello Spirito (1 Tess l, 6; Atti 13, 52; cfr. Gal 5, 22), e nello stesso tempo il segno della presenza del regno. Scritta durante una terribile *prova, l’Apocalisse, specchio della vita della Chiesa, alimenta questa gioiosa speranza nel cuore dei perseguitati, assicurandoli della vittoria di Gesù e della instaurazione del regno. Ad ognuno di essi, come a tutta la Chiesa il Signore risorto rivolge sempre questo messaggio: «Non temere le sofferenze che ti aspettano; il demonio sta per gettare alcuni di voi in carcere per tentarvi ed avrete dieci giorni di prova. Rimani fedele fino alla morte, ed io ti darò la corona della vita» (Apoc 2, 10).
 
Beato chi pensa al giudizio - Basilio di Cesarea (Epist., 174): Beata l’anima che notte e giorno non si preoccupa d’altro che di rendere agevole il suo compito quel giorno in cui ogni creatura dovrà presentare i suoi conti al grande giudice. Colui, infatti, che tiene fisso innanzi agli occhi quel giorno e quell’ora e medita su quel tribunale che non può essere ingannato, non può commettere se non qualche lievissimo peccato; poiché, quando pecchiamo, pecchiamo per mancanza di timor di Dio; perciò, se uno tiene ben fisso lo sguardo sulle pene che sono minacciate, il suo intimo ed istintivo timore gli consentirà soltanto di cadere in qualche involontaria azione o pensiero. Perciò, ricordati di Dio, conservane il timore nel tuo cuore e invita tutti a pregare con te. È grande l’aiuto di quelli che possono placare Dio. E questo non lo devi tralasciare mai. Questo sostegno dell’altrui preghiera ci è di aiuto in questa vita e ci è di buon viatico, quando ne usciamo per la vita futura. Però, com’è cosa buona la preoccupazione del bene, così è dannoso per l’anima lo scoraggiamento e la disperazione. Riponi la tua speranza nella bontà di Dio e aspettane l’aiuto con la sicurezza che, se ci rivolgiamo a lui con sincerità di cuore, non solo non ci rigetterà, ma prima ancora che si chiuda la bocca sulla preghiera, egli ci dirà: Eccomi, son qui.
 
Il Santo del Giorno - 16 Novembre 2025 - Santa Margherita di Scozia. Così la vita matrimoniale può essere strumento per mostrare Dio al mondo: La vita di coppia, la condivisione nel matrimonio, la costruzione di una famiglia possono diventare strade verso la santità, strumenti per realizzare un frammento del Regno di Dio nella storia. Così avvenne nella coppia formata da Malcolm III di Scozia e santa Margherita di Scozia, sua sposa e regina. Il marito non conduceva una vita di fede, non conosceva il Vangelo, non sapeva leggere e non capiva bene le preghiere della donna che aveva sposato forse solo per una questione politica, ma provava rispetto e ammirazione per la vita spirituale di Margherita, al punto da arrivare a baciare i libri su cui lei pregava. La regina, d’altra parte, univa la preghiera a una vita di carità e di cura dei bisognosi, divenendo una “madre” per il popolo che si era trovata a guidare accanto a Malcolm. Figlia di Edoardo, re inglese in esilio, Margherita era nata in Ungheria attorno al 1046. A 9 anni seguì il padre che avevo potuto rientrare in patria, per fuggire, però, di nuovo nel 1066, ma in Scozia. Qui a 24 anni sposò il re Malcom III, da cui ebbe otto figli: sei maschi e due femmine. Il marito e il figlio maggiore furono uccisi nella battaglia di Alnwick: quando Margherita ricevette la notizia era già malata ed espresse la volontà di offrire questa ulteriore sofferenza come riparazione dei propri peccati. Morì pochi giorni dopo, a Edimburgo il 16 novembre 1093. Venne canonizzata nel 1250 da papa Innocenzo IV. (Matteo Liut)
 
Nutriti da questo sacramento,
ti preghiamo umilmente, o Padre:
la celebrazione che il tuo Figlio
ha comandato di fare in sua memoria,
ci faccia crescere nell’amore.
Per Cristo nostro Signore.