14 Novembre 2025
Venerdì XXXII Settimana T. O.
Sap 13,1-9; Sal 18 (19); Lc 17,26-37
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso,
allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te,
perché, nella serenità del corpo e dello spirito,
possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
... piovve fuoco e zolfo dal cielo ...: Benedetto XVI (Udienza Generale, 18 Maggio 2911): La necessità di trovare uomini giusti all’interno della città diventa sempre meno esigente e alla fine ne basteranno dieci per salvare la totalità della popolazione. Per quale motivo Abramo si fermi a dieci, non è detto nel testo. Forse è un numero che indica un nucleo comunitario minimo (ancora oggi, dieci persone sono il quorum necessario per la preghiera pubblica ebraica). Comunque, si tratta di un numero esiguo, una piccola particella di bene da cui partire per salvare un grande male. Ma neppure dieci giusti si trovavano in Sodoma e Gomorra, e le città vennero distrutte. Una distruzione paradossalmente testimoniata come necessaria proprio dalla preghiera d’intercessione di Abramo. Perché proprio quella preghiera ha rivelato la volontà salvifica di Dio: il Signore era disposto a perdonare, desiderava farlo, ma le città erano chiuse in un male totalizzante e paralizzante, senza neppure pochi innocenti da cui partire per trasformare il male in bene. Perché è proprio questo il cammino della salvezza che anche Abramo chiedeva: essere salvati non vuol dire semplicemente sfuggire alla punizione, ma essere liberati dal male che ci abita. Non è il castigo che deve essere eliminato, ma il peccato, quel rifiuto di Dio e dell’amore che porta già in sé il castigo. Dirà il profeta Geremia al popolo ribelle: «La tua stessa malvagità ti castiga e le tue ribellioni ti puniscono. Renditi conto e prova quanto è triste e amaro abbandonare il Signore, tuo Dio» (Ger 2,19). È da questa tristezza e amarezza che il Signore vuole salvare l’uomo liberandolo dal peccato. Ma serve dunque una trasformazione dall’interno, un qualche appiglio di bene, un inizio da cui partire per tramutare il male in bene, l’odio in amore, la vendetta in perdono. Per questo i giusti devono essere dentro la città, e Abramo continuamente ripete: «forse là se ne troveranno …». «Là»: è dentro la realtà malata che deve esserci quel germe di bene che può risanare e ridare la vita. È una parola rivolta anche a noi: che nelle nostre città si trovi il germe di bene; che facciamo di tutto perché siano non solo dieci i giusti, per far realmente vivere e sopravvivere le nostre città e per salvarci da questa amarezza interiore che è l’assenza di Dio. E nella realtà malata di Sodoma e Gomorra quel germe di bene non si trovava.
I Lettura: L’Antico testamento (Salmi e Libri sapienziali): “Davvero vani …” Con la prima delle tre formule parallele (“infelici anche coloro”, 13,10; “sono tutti stoltissimi”: 15,14) viene introdotto il discorso sull’idolatria in generale, a cominciare dall’esposizione del pensiero dei filosofi, dei loro limiti e delle loro colpe, per quanto più lievi (6.8) rispetto a quelle illustrate più avanti (13,10-15, 13; 15,14-19).
“Dai beni visibili. .. riconoscere”. Il primo modo per gli esseri umani di conoscere Dio è l’universo che sta loro
davanti. Se Dio infatti non si vede, lo si può riconoscere dalle sue opere: la grandezza e la bellezza del creato rimandano al loro autore (5), essendo ciò che si vede una manifestazione - come scrive Paolo - della sua “eterna potenza e divinità” (Rm 1,20). La colpa dei filosofi pagani consiste appunto nel non aver saputo cogliere l’inscindibile relazione tra Dio e il creato, anzi di averlo confuso con esso, senza mai arrivare a conoscere e a rendere gloria a lui, unico Signore.
Vangelo
Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.
Anche noi, come i contemporanei di Gesù, ci chiediamo cosa dobbiamo fare per essere attenti e pronti nel momento decisivo? Come si deve vivere l’attesa? Il riferimento ai contemporanei di Noè e di Lot ci aiutano a rispondere a queste domande. Questi abitanti non sono presentati qui come esempi di immoralità, ma soltanto di disattenzione. Non sono distratti a causa della dissolutezza o dei stravizi o altre scostumatezze, sono distratti semplicemente per gli impegni della vita: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano. Senza la vigilanza anche la vita ordinaria può appesantire il cuore, renderlo distratto, e assopire la fede.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,26-37
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti.
Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà.
In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot.
Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.
Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata».
Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».
Parola del Signore.
Come ai tempi di Noè - Il brano evangelico è un invito alla vigilanza dinanzi ad un evento certo, la venuta del Signore, le cui modalità e i tempi restano oscuri, avvolti nel mistero.
Per accentuare il bisogno della vigilanza, Gesù aveva raccontato ai suoi discepoli la parabola del fico (Mt 24,32-36). Ora, per maggiore incisività, ricorda il diluvio il quale, ai tempi di Noè, travolse uomini, donne e bambini poiché la loro malvagità era grande sulla terra e che ogni intimo intento del loro cuore non era altro che male, sempre. Come il diluvio (Cf. Gen 6-9), la venuta del Figlio dell’uomo sarà inaspettata e sorprenderà coloro che non si saranno preparati. Per i discepoli sarebbe assai pericolosa qualsiasi distrazione. Nel modo più assoluto non bisogna imitare la stoltezza dei contemporanei di Noè sorpresi e travolti dal giudizio di Dio nella loro cieca follia (Cf. Mt 24,37-39).
... come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano ... Nel giudizio negativo di Gesù, non viene condannato il mangiare o il bere (bisogni primari del genere umano) o il matrimonio, ma l’insipienza di quegli uomini che non seppero tenere in alta considerazione altri valori (la comunione con Dio, la salvezza ...) per i quali valeva la pena occuparsi al pari di quelli materiali. Drogati dal soddisfare unicamente i loro primari bisogni non si accorsero che accanto alla storia umana c’era una storia parallela, quella di Dio, che doveva essere accolta anche con il digiuno, la sobrietà, la penitenza e la temperanza.
... due uomini si troveranno nello stesso letto: uno verrà portato via ... Nel giorno del giudizio di Dio non vi sarà alcuna discriminazione: chi sarà vigilante nell’attesa verrà portato via, cioè sarà accolto nel regno; il secondo, che non è pronto ad accogliere il Figlio dell’uomo, sarà lasciato, cioè sarà abbandonato alla sua sorte di morte e di solitudine. In situazioni apparentemente identiche si compie il discernimento di Dio e la divisione degli uomini in base al giudizio divino.
Gli uomini, quando verrà il Figlio dell’uomo, saranno impegnati nelle loro attività di ogni giorno: la venuta del Signore «irrompe nel quotidiano. Questo ci dice che le azioni di tutti i giorni, quelle che si ritengono le più comuni, e al limite insignificanti, acquistano un senso in quanto momenti di un cammino orientato all’avvento del Signore» (Adrian Schenker - Rosario Scognamiglio).
Essere vigilanti non significa darsi all’ozio, ma semplicemente non farsi prendere la mano dalla carriera, dal successo, dal denaro per dare spazio alle cose di Dio e a quelle dello spirito.
Le occupazioni, che spesso diventano preoccupazioni, a lungo andare, appesantendo il cuore, fanno sprofondare l’uomo in un cupo sonno colpevole, il quale, in questo stato confusionale, non sentendo i passi di Dio nella sua vita, si avvia inesorabilmente verso un destino di morte e di distruzione.
La lode della gloria di Dio - I cieli narrano la gloria di Dio - Donatien Mollat (Gloria in Dizionario di Teologia Biblica): Il dovere dell’uomo è di riconoscere e di celebrare la gloria divina. Il VT canta la gloria del creatore, re, salvatore e santo d’Israele (Sal 147, 1). Deplora il peccato che la vela (Is 52, 5; Ez 36, 20 s; Rom 2, 24). Arde del desiderio di vederla riconosciuta da tutto l’universo (Sal 145, 10 s; 57, 6. 12).
Nel NT la dossologia ha come centro Cristo. «Grazie a lui noi diciamo il nostro amen alla gloria di Dio» (2 Cor 1, 20). Per mezzo suo sale «a Dio solo sapiente... la gloria per tutta l’eternità» (Rom 16, 27; Ebr 13, 15). A Dio è resa gloria per la sua nascita (Lc 2, 20), per i suoi miracoli (Mc 2, 12...) e per la sua morte (Lc 23, 47). Le dossologie scandiscono i progressi del suo messaggio (Atti 11,18; 13, 48; 21, 20), così come punteggiano le esposizioni dogmatiche di Paolo (Gal 1, 3 s; ecc.). Le dossologie dell’Apocalisse ricapitolano in una solenne liturgia tutto il dramma redentore (Apoc 15, 3 s). Infine, poiché la Chiesa è «il popolo che Dio si è acquistato per la lode della sua gloria» (Ef 1, 14), al Padre è resa «gloria nella Chiesa ed in Cristo Gesù per tutte le generazioni e tutti i secoli!» (3, 21).
Alla dossologia liturgica il martire aggiunge la dossologia del sangue. «Disprezzando la sua vita fino alla morte» (Apoc 12, 11), il fedele professa in tal modo che la fedeltà a Dio supera ogni gloria ed ogni valore umano. Egli, come Pietro, «glorifica Dio» (Gv 21, 18) a prezzo del suo sangue. L’ultima dossologia, al termine della storia, è il canto delle «nozze dell’agnello» (Apoc 19, 7). La sposa appare ornata di «una veste di lino di bianchezza splendente» (19, 8). Nel fuoco della «grande tribolazione» la Chiesa si è abbigliata, per le nozze eterne, della sola gloria degna del suo sposo, delle virtù, delle offerte, dei sacrifici dei santi.
Tuttavia la gloria della sposa le viene tutta dallo sposo. Nel suo sangue sono state «imbiancate» le vesti degli eletti (7, 14; 15, 2) e se la sposa porta questa splendida acconciatura, si è perché «le è stato dato» di farlo (19, 8). Essa si è lasciata rivestire giorno per giorno delle «buone opere che Dio ha preparato in anticipo affinché noi le pratichiamo» (Ef 2, 10). L’amore di Cristo è all’origine di questa gloria; infatti «Cristo ha amato la Chiesa e si è dato per essa ...: voleva presentarla a se stesso tutta risplendente di gloria, senza macchia né ruga, né altra cosa del genere, ma santa ed immacolata» (5, 25. 27). In questo mistero di amore e di santità termina la rivelazione della gloria di Dio.
Chi perde la propria vita la salva - Cirillo di Alessandria (Commento a Luca, omelia 118): Chiunque perda la propria vita certo la salverà. Questo è quanto hanno fatto i benedetti martiri, resistendo alle opposizioni anche sino alla perdita del sangue e della vita, e ponendo sulle loro teste, come corona, il loro vero amore per Cristo.
Coloro che, a causa della debolezza di risoluzione e di mente, hanno rinnegato la fede e sono fuggiti dalla presente morte del corpo, sono diventati gli uccisori di se stessi. Essi scenderanno nell’inferno per soffrire le punizioni per la loro malvagia codardia. Il giudice scenderà dai cieli.
Chiamerà quelli che con tutto il loro cuore l’hanno amato e che con serietà hanno praticato una vita completamente virtuosa, dicendo: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il Regno preparata per voi fin dalla fondazione del mondo (Mt 25,34). Pronuncerà una severa e devastante sentenza su coloro che hanno condotto una vita trascurata e smodata o non hanno mantenuto la gloria della fede in lui, dicendo loro: Allontanatevi, maledetti, nel fuoco eterno.
Il Santo del Giorno - San Lorenzo O’Toole, Arcivescovo di Dublino (1128-1180): L’Irlanda va gloriosa d’aver dato i natali a questo Santo Arcivescovo e d’essere stata illustrata dalle sue virtù.
Digiunava tutti i venerdì a pane ed acqua, portava un duro cilicio e si dava spesso la disciplina. Rigido con sè stesso era tutto carità pel suo prossimo: senza contare gli infelici che assisteva con le elemosine, dava da mangiare a trenta e più poveri nel suo palazzo.
La stessa premura aveva per i bisogni spirituali del suo gregge che amava in Gesù Cristo, da cui l’aveva ricevuto e per ricondurlo al quale nulla risparmiava: soprattutto non cessava mai di predicare loro la parola di Dio.
Assistette al terzo concilio Lateranense del 1179 dove fu molto onorato dal pontefice Alessandro III, che lo nominò legato della Santa Sede in Irlanda. Terminò le discordie insorte tra il re d’Inghilterra e il re d’Irlanda, essendosi recato a tal fine prima in Inghilterra poi in Francia.
Ritornando dal suo viaggio cadde malato. Morì il 14 novembre 1181. (Le Vite dei Santi per ciascun giorno dell’anno)
Nutriti dei tuoi santi doni ti rendiamo grazie, o Signore,
e imploriamo la tua misericordia:
per il tuo Spirito, comunicato a noi in questi sacramenti,
ci sia data la grazia di rimanere fedeli nel tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.