13 Novembre 2025
 
Giovedì XXXII Settimana T. O.
 
Sap 7,22-8,1; Salmo Responsoriale Dal Salmo118 (119); Lc 17,20-25
 
Colletta
Dio onnipotente e misericordioso,
allontana ogni ostacolo nel nostro cammino verso di te,
perché, nella serenità del corpo e dello spirito,
possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
… è necessario che il Figlio dell’uomo soffra molto e venga rifiutato da questa generazione - Catechismo degli Adulti - La consapevolezza di Gesù [226]: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
[227] L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle. Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.
 
Prima Lettura - Antonio González-Lamadrid: La sapienza è un riflesso della luce eterna: La personificazione della sapienza era cominciata con un puro artificio letterario in Pr 14,1. In Pr 1,20-33 e 11, -5,16-19, la personificazione acquista maggior realismo maggiore entità. In Pr 8,22-31, la sapienza è presentata m atto di parlare di sé in prima persona. Troviamo ulteriori sviluppi del tema in Sir 4,11-19; 14,20-15,10 e, più ancora, in 24,1-29. E infine, il nostro testo segna il culmine veterotestamentario del tema della sapienza presentata come persona. Il progresso di Sap 7,22-8,1 nei confronti dei testi precedenti sta nel fatto che, in questo, sono molto più accentuati la trascendenza e il carattere divino della sapienza.
La lettura presenta il seguente schema: attributi della sapienza (vv. 22-24); sue relazioni con Dio (vv. 25-26); Ho compito nel mondo (vv. 27-28); sua bellezza (vv. 29.o) e sua efficacia (8,1).
Il numero degli attributi che l’autore riconosce alla sapienza arriva a un totale di ventuno, e quindi al risultato di tre per sette. Gli esegeti credono che si tratti d’un numero scelto intenzionalmente per mettere in evidenza la somma perfezione della sapienza, poiché, nella Bibbia, i due numeri, il tre e il sette, sono usati spesso e comportano l’idea di perfezione. Pare che l’enumerazione degli attributi non segua nessun ordine logico. La maggior parte di essi è presa dalla filosofia greca, e l’autore avrebbe in esso dimostrare che la sapienza divina ha e supera tutte le doti che i filosofi greci attribuivano alla loro sapienza.
Il pensiero dell’autore giunge al suo punto culminante quando parla delle relazioni della sapienza con Dio. I termini e le immagini usate sono, più o meno, quelli che circolavano negli ambienti sapienziali e filosofici; ma sono al servizio di nuovi contenuti e di nuovi concetti. La sapienza è un’emanazione della potenza di Dio. L’originale greco parla di alito. Quindi la sapienza procederebbe dalla onnipotenza divina così come l’alito esce dalla bocca dell’uomo. È l’espressione che usa la sapienza stessa quando parla di sé in Sir 24,3: «Io sono uscita dalla bocca dell’Altissimo ». È un effluvio genuino della gloria dell’Onnipotente, quasi come i raggi che irradiano dal sole o come acqua limpida che scaturisce da una fonte trascendente. È riflesso della luce perenne.
San Giovanni dice che Dio è luce (1Gv 1,5), e avvolto nella luce egli appare nelle teofanie dell’AT (Es 24,17; Ez 1,27-28; Sal 50,3; 104,2). La sapienza è come un riflesso luminoso della luce divina. La sapienza è uno specchio senza macchia dell’attività di Dio. Dio non solo è la fonte della sapienza, ma la guida nella sua azione e nelle sue opere (7,15). Quindi, la sapienza è un riflesso dell’attività di Dio. La sapienza è l’immagine della sua bontà: Dio diffonde la sapienza nell’opera della creazione e specialmente nell’uomo, lasciandosi guidare dalla sua misericordia e per comunicare la sua bontà. Per conseguenza, la sapienza è l’immagine della bontà di Dio. Le ulteriori precisazioni circa la sapienza nei versetti finali sono conseguenze di quello che è stato detto circa la sua origine e la sua natura, e non hanno bisogno di spiegazione.
Come si vede, attraverso le immagini più immateriali e trascendenti che ha trovate, l’autore ha descritto l’origine divina della sapienza e le sue relazioni con la divinità. Attraverso tutte le immagini, si mettono sempre in risalto due idee fondamentali: la stretta unione fra la sapienza e Dio, e una certa partecipazione e comunione della sapienza con la natura divina. Quello che qui è detto della sapienza, il NT, e specialmente san Paolo e san Giovanni, lo applicano al Verbo e allo Spirito Santo. In altre parole, sia per il contenuto e sia per le espressioni, siamo ormai vicini al domma trinitario.
 
Vangelo
Il regno di Dio è in mezzo a voi.
 
Quando verrà il regno di Dio? A chi pone questa domanda, Gesù risponde che il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, la sua venuta è discreta, nascosta, simile a un fiume carsico che corre sotto la superficie accidentata delle vicende umane. Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”: non serve a nulla l’acutezza della vista, e non servono gli oracoli o gli oroscopi, basta farsi sapienti nel cuore per accorgersi che il regno di Dio è in mezzo a noi ... una realtà discreta, anzi piccola come il granello di senape, oppure il pizzico di lievito deposto nella farina, o come un tesoro sepolto nelle profondità del terreno o una perla confusa tra tante carabattole (cfr. Matteo 13,31-33.44-46). Fin qui la risposta di Gesù a chi lo interrogava, ma data l’importanza dell’argomento, ne riparla rivolgendosi nell’intimità ai suoi discepoli: Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete. I giorni annunciati sono di sofferenza e calamità: in quelle circostanze i discepoli di Gesù desidereranno vedere uno solo di quei giorni in cui il Figlio dell’uomo viene in potenza, ma occorre essere cauti perché ci saranno falsi annunci, occorre tanto discernimento e non prestare attenzione ai falsi segni premonitori. Ma un avvenimento avverrà di certo: il trionfo del Figlio dell’uomo sarà preceduto dalla sua sofferenza: Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,20-25
 
In quel tempo, i farisei domandarono a Gesù: «Quando verrà il regno di Dio?». Egli rispose loro: «Il regno di Dio non viene in modo da attirare l’attenzione, e nessuno dirà: “Eccolo qui”, oppure: “Eccolo là”. Perché, ecco, il regno di Dio è in mezzo a voi!».
Disse poi ai discepoli: «Verranno giorni in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo, ma non lo vedrete.
Vi diranno: “Eccolo là”, oppure: “Eccolo qui”; non andateci, non seguiteli. Perché come la folgore, guizzando, brilla da un capo all’altro del cielo, così sarà il Figlio dell’uomo nel suo giorno. Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga rifiutato da questa generazione».

Parola del Signore.
 
Quando viene il regno di Dio? - Carlo Ghidelli (Luca): I farisei rivolgono a Gesù questa domanda sul quando (pote); alla fine i suoi discepoli rivolgeranno a Gesù un altro interrogativo, sul dove (pou: v. 37). Si può cogliere in questo rilievo una certa inclusione letteraria, ricercata da Luca; è certo comunque che è intorno a queste due domande che gravita il brano intero. La data della venuta del regno angustiava il Giudaismo contemporaneo di Gesù (cfr anche Dn 9,2). - Il regno di Dio non viene in modo che si possa osservare: la risposta di Gesù segue un duplice filone: uno negativo, infatti Gesù afferma che né il tempo né il luogo della venuta del Signore sarà mai possibile cogliere, e così respinge ogni calcolo apocalittico circa la fine dei tempi (posizione certamente anche polemica contro certe correnti di pensiero e di letteratura apocalittica a lui contemporanee); vi è però anche un filone positivo. Gesù infatti afferma che il regno di Dio è in mezzo a voi (altri traducono è in voi, altri ancora è improvvisamente qui in mezzo a voi), cioè che il regno è una realtà presente e attiva: in altri termini con la presenza e l’opera di Gesù in mezzo al popolo il regno di Dio è già presente a loro e tra di loro (cfr 11,20). Gesù, dunque, si presenta come un segno della presenza salvifica di Dio, una epifania del Signore che si manifesta Salvatore; egli è il regno di Dio personificato. Per Gesù, soprattutto in questo contesto lucano, il regno di Dio può essere colto, intuito come presente non a partire da alcuni segni esteriori, esperimentalmente verificabili, ma a partire dalla fede in lui.
 
Disse poi ai discepoli - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Disse ancora ai discepoli; gli insegnamenti intorno alla venuta del Figlio dell’uomo, la quale avrà luogo alla fine del tempo, sono preceduti da questa breve formula introduttiva; da questa risulta che l’importante discorso, pronunziato dal Salvatore nella presente circostanza, non è stato determinato da qualche domanda dei discepoli o dei Farisei, ma rappresenta un’istruzione che il Maestro stesso di propria iniziativa ha impartito «ai discepoli». Questa ampia lezione sul ritorno glorioso di Cristo alla fine dei tempi è propria di Luca (verss. 22-37); nella presente sezione il terzo evangelista manifesta di aver penetrato intimamente il senso di questo importante discorso del Salvatore sugli eventi escatologici, perché egli distingue con accuratezza le predizioni che riguardano la fine di Gerusalemme (cf. 21,6-24) e l’annunzio della venuta gloriosa di Gesù alla fine del tempo (cf. Lc., 17,22-27).
In Matteo, 24,5-41 la fine di Gerusalemme e quella del mondo sono narrate insieme e i due eventi vengono descritti con immagini catastrofiche di portata cosmica; in Luca invece si parla esclusivamente della venuta del Figlio dell’uomo («il giorno del Figlio dell’uomo»). Come risulta da questo rilievo Matteo nel suo discorso escatologico ha fuso insieme due fonti, le quali invece nel terzo evangelista si trovano distinte (tale distinzione di testi provenienti da due tradizioni o fonti differenti – testi che in Matteo al contrario si trovano combinati insieme - è stata già segnalata altrove; cf. Lc.,10,2-12; 11,39-44). Verrà il tempo; letteral.: «verranno dei giorni», espressione vetotestamentaria che l’autore ama richiamare (cf. Lc., 19,43; 21,6; 23,29); tale formula nei passi dell’Antico Testamento introduce le predizioni di prove e castighi. Desidererete vedere uno solo dei giorni del Figlio dell’uomo; Gesù predice ai discepoli che nel futuro subiranno delle prove dure e gravi, nelle quali desidereranno vedere un sol giorno di quelli del Figlio dell’uomo per trovare un po’ di sollievo e di consolazione. I «giorni del Figlio dell’uomo» non indicano qui la sua vita terrena come se i discepoli volessero trovarsi di nuovo accanto al Maestro, né l’inizio della sua manifestazione gloriosa, ma i giorni che seguono tale manifestazione gloriosa. Ma non lo vedrete; vano desiderio che non sarà attuato; i discepoli dovranno subire la prova con l’intima fiducia di superarla, poiché essi hanno la sicura promessa che il regno di Dio si affermerà sulla terra, anche se dovrà far fronte a difficoltà ed ostacoli di ogni genere.
 
Regno di Dio - Anselm Urban: L’espressione greca basileia theou (“regalità di Dio”, ebr. malkut JHWH) designa in primo luogo il potere esercitato, l’effettivo governare di Dio. In genere sarebbe consigliabile la traduzione “signoria di Dio”. Tuttavia s’intende talvolta un particolare ambito o stato nel quale la sovranità di Dio si esplica pienamente, in tal caso si parla di regno di Dio. “Regno dei cieli” (in Matteo; meglio: “signoria dei cieli”) perifrasa soltanto il nome di Dio e sarebbe totalmente frainteso se fosse concepito come un “regno al di sopra delle nubi”: si tratta della pretesa di governo che Dio avanza su questo mondo.
Nell’Antico Testamento si parla molto della sovranità regale di JHWH, ma raramente nel senso di “regno di Dio”. In 1Cr 17,14 viene chiamato così il regno davidico (idealizzato teocraticamente); nelle visioni di Daniele i regni di questo mondo vengono sostituiti dal regno del figlio dell’uomo (7,14 - e rispettivamente del popolo dei santi, come accenna il v. 27). Mentre nel giudaismo rabbinico la “signoria dei cieli” è piuttosto un’entità spirituale, nell’apocalittica vive e si sviluppa ulteriormente (naturalmente accanto a speculazioni escatologiche) la grande visione dei profeti (per es. Is 11): un regno universale di pace e di salvezza che trasforma anche la creazione, una vita purificata degli uomini al di là della colpa e del peccato, sotto l’ordine onnicomprensivo della legge divina.
Gesù non annuncia né un regno politico, né puramente spirituale-morale, ma si ricollega alle visioni profetiche. La novità è che tutto ciò è “vicino” (Mc 1,15), “è alle porte” (13,19). Il regno non viene attraverso i nostri sforzi, per quanto noi siamo assegnati al lavoro nella vigna (Mt 20,lss), ma cresce soltanto ad opera di Dio (cf. Mc 4,26-29). Si può essere certamente “collaboratori per il regno” (Col 4,11), ma “edificare il regno” lo può soltanto Dio stesso. A noi rimane l’umile invocazione: “Venga il tuo regno!” (Mt 6,10).
 
Il regno di Dio e la regalità di Gesù - R. Deville e P. Grelot: Nel Nuovo Testamento i due temi del regno di Dio e della regalità messianica si uniscono nel modo più stretto, perché il re-Messia è il  Figlio di Dio stesso. Questa posizione di Gesù al centro del mistero del regno si ritrova nelle tre tappe successive, attraverso le quali questo deve passare: la vita terrena di Gesù, nel tempo della Chiesa e la consumazione finale delle cose.
1. Durante la sua vita, Gesù si dimostra molto riservato nei confronti del titolo di  re. Se lo accetta in quanto titolo messianico rispondente alle promesse profetiche (Mt 21,1-11 par.), lo deve spogliare delle risonanze politiche (cfr. Lc 23,2), per rivelare la regalità «che non è di questo mondo» e che si manifesta mediante la testimonianza resa alla verità (Gv 18,36s). In compenso, non esita ad identificare la causa del regno di Dio con la sua propria: lasciare tutto per il regno di Dio (Lc 18, 29), significa lasciare tutto «per il suo nome» (Mt 19,29; cfr. Mc 10,29). Descrivendo in anticipo la ricompensa escatologíca che attende gli uomini, egli identifica il «regno del figlio dell’uomo» ed il «regno del Padre» (Mt 13,41ss), ed assicura ai suoi apostoli che egli dispone per essi del regno come il Padre ne ha disposto per lui (Lc 22,29 s).
2. La sua intronizzazione regale non giunge tuttavia se non al momento della risurrezione: allora egli prende posto sul trono stesso del Padre (Apoc 3,21), è esaltato alla destra di Dio (Atti 2,30-35). Durante tutto il tempo della Chiesa, la regalità di Dio si esercita così sugli uomini per mezzo della regalità di Cristo, Signore universale (Fil 2,11); perché il Padre ha costituito il Figlio suo «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc 19,16; 17,14; cfr. 1,5).
3. Al termine dei tempi, Cristo vincitore di tutti i suoi nemici «rimetterà il regno a Dio Padre» (1Cor 15,24). Allora questo regno «sarà pienamente acquisito al nostro Signore ed al suo Cristo» (Apoc 11,15; 12,10), ed i fedeli riceveranno «l’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (Ef 5,5). Così Dio, padrone di tutto, prenderà pieno possesso del suo regno (Apoc 19,6). I discepoli di Gesù saranno chiamati a condividere la gloria di questo regno (Apoc 3,21), perché già in terra Gesù ha fatto di essi «un regno di sacerdoti per il loro Dio e Padre» (Apoc 1, 6; 5,10; 1 Piet 2,9; cfr. Es 19, 6). 
 
Il regno di Dio in noi - Cassiano Giovanni (Conferenze, 1,13): Tra di noi non vi può essere che la conoscenza e l’ignoranza della verità, e il legame o ai vizi o alle virtù. È così che noi prepariamo il regno, nel nostro cuore, o al diavolo o a Cristo. E le qualità di questo regno vengono così descritte dall’Apostolo: Il regno di Dio non è cibo e bevanda, ma giustizia e pace e gioia nello Spirito Santo (Rm 14,17). Dunque, se il regno di Dio è in noi, e se il regno di Dio è giustizia e pace e gioia, se ne deduce che chi vive nella giustizia, nella pace e nella gioia è senz’altro nel regno di Dio. Viceversa, chi vive nell’ingiustizia, nella discordia e nella tristezza mortale, si trova nel regno del diavolo, nell’inferno e nella morte. Sono questi i segni, dunque, da cui si distinguono il regno di Dio o quello del demonio. E in effetti, se con l’intimo sguardo della mente consideriamo lo stato in cui si trovano le virtù celesti e superne che veramente dimorano nel regno di Dio, quale altro stato dovremo ritenere che esso è, se non una gioia continua ed eterna? Cosa è infatti tanto proprio, tanto conveniente per la vera beatitudine, che la continua tranquillità e la gioia eterna?
 
Il Santo del Giorno - 13 Novembre 2025 - Beata Maria Teresa di Gesù: Maria Teresa di Gesù, al secolo Karolina Gerhardinger, nacque in un sobborgo di Ratisbona in Baviera, il 20 giugno 1797, frequentò la scuola femminile delle Canonichesse di Notre-Dame e all’età di soli dodici anni, essa accolse prontamente la chiamata a divenire insegnante; e più tardi fondò la sua congregazione per l’educazione, rispondendo, così, a una grande sfida del suo tempo; sfida che interpretò come una speciale chiamata di Dio nei suoi riguardi.
La carenza di educazione e di vita di fede, prodotta dai rivolgimenti politici e sociali, la decadenza morale delle famiglie, soprattutto l’abbandono della gioventù, richiedevano nuove vie per una efficace formazione e un rinnovamento cristiani, specialmente tra le popolazioni rurali e gli strati sociali più umili e poveri.
Con la guida spirituale del vescovo Wittman, ben convinto del fatto che le donne e le madri determinano la vita morale delle città e delle nazioni, Maria Teresa di Gesù si consacrò, insieme alle consorelle, soprattutto all’educazione cristiana della gioventù femminile, per ottenere il risanamento morale delle famiglie e il miglioramento della società mediante la formazione di buone madri e donne di casa.
Si spense a Monaco il 9 maggio 1879.
Ella intese il suo compito educativo come un invito a essere, secondo lo spirito di Cristo, “sale della terra” per gli altri (cf. Mt 5, 13). Il suo impegno sociale è, in fondo, un apostolato cristiano, che trova la sua piena espressione nella persona che nella società secolarizzata del nostro tempo, rimane valido e attuale, oggi come allora. (Dicastero delle Cause dei Santi).
 
Nutriti dei tuoi santi doni ti rendiamo grazie, o Signore,
e imploriamo la tua misericordia:
per il tuo Spirito, comunicato a noi in questi sacramenti,
ci sia data la grazia di rimanere fedeli nel tuo servizio.
Per Cristo nostro Signore.