8 OTTOBRE 2025
 
MERCOLEDÌ DELLA XXVII SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
Gn 4,1-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo  Sal 85 (86); Lc 11,1-4
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che esaudisci le preghiere del tuo popolo
oltre ogni desiderio e ogni merito,
effondi su di noi la tua misericordia:
perdona ciò che la coscienza teme
e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica - Preghiera del «Padre nostro» come preghiera del Signore - 2765 L’espressione tradizionale «Orazione domenicale» (cioè «Preghiera del Signore») significa che la preghiera al Padre nostro ci è insegnata e donata dal Signore Gesù. Questa preghiera che ci viene da Gesù è veramente unica: è «del Signore». Da una parte, infatti, con le parole di questa preghiera, il Figlio unigenito ci dà le parole che il Padre ha dato a lui: è il maestro della nostra preghiera. Dall’altra, Verbo incarnato, egli conosce nel suo cuore di uomo i bisogni dei suoi fratelli e delle sue sorelle in umanità, e ce li manifesta: è il modello della nostra preghiera.  
2766 Ma Gesù non ci lascia una formula da ripetere meccanicamente. Come per qualsiasi preghiera vocale, è attraverso la Parola di Dio che lo Spirito Santo insegna ai figli di Dio a pregare il loro Padre. Gesù non ci dà soltanto le parole della nostra preghiera filiale: ci dà al tempo stesso lo Spirito, per mezzo del quale quelle parole diventano in noi «spirito e vita» (Gv 6,63). Di più: la prova e la possibilità della nostra preghiera filiale è che il Padre «ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6). Poiché la nostra preghiera interpreta i nostri desideri presso Dio, è ancora «colui che scruta i cuori», il Padre, che «sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i desideri di Dio» (Rm 8,27). La preghiera al Padre nostro si inserisce nella missione misteriosa del Figlio e dello Spirito.  
2767 Questo dono inscindibile, delle parole del Signore e dello Spirito Santo che le vivifica nel cuore dei credenti, è stato ricevuto e vissuto dalla Chiesa fin dalle origini. Le prime comunità pregano la Preghiera del Signore «tre volte al giorno»,3541 in luogo delle «Diciotto benedizioni» in uso nella pietà ebraica.  
 
Prima Lettura - Epifanio Gallego: Lezione di misericordia: L’autore è giunto al termine della sua narrazione: un finale satirico nel quale il protagonista preferisce morire piuttosto che vivere. L’autore condanna senza palliativi il peccato di molti di Giuda, quello di non aver compreso il loro ruolo di mediatori fra i popoli, di non aver risposto alla loro vocazione missionaria universale, d’aver confuso il popolo delle promesse con lo storico popolo semita. Nel disgusto di Giona per la conversione di Ninive si rivela tutto l’odio ancestrale d’Israele per i suoi nemici politici. Aveva annunziato la distruzione, pensando a un castigo maggiore che non aveva discolpa. Quella era stata la storia di Israele e di Giuda per non aver ascoltato i profeti.
Tuttavia - bel contrasto tra la fede e la vita - egli sapeva che « sei... misericordioso e clemente » È la più sublime definizione di Dio in tutto l’AT. L’incomprensibile è che Dio abbia ottenuto con la pagana Ninive, in un solo giorno di predicazione d’un profeta straniero e d’un Dio sconosciuto, quello che non ottenne col suo popolo giudaico, per la durezza del suo cuore, in tanti secoli di storia.
Giona è cosciente dell’insuccesso totale della sua mentalità e, per conseguenza, della sua vita. Per questo, non ha più una ragione per vivere e preferisce morire. Anche in questo momento, egli non capisce la lezione. Yahveh continua a incalzarlo: « Ti sembra giusto essere sdegnatoncosì? ».
Yahveh è Dio misericordioso anche per il suo profeta e gli offre un’ultima lezione d’amore in forma di parabola. El ricino che cresce rapidamente come frutto della misericordia di Dio per proteggere il suo profeta; il bruco che fa seccare il ricino in un giorno e il vento afoso che rischia di causargli un’insolazione. Giona si irrita per il ricino, e ha ragione: ne va di mezzo la sua vita.
E Yahveh, per bocca di questo grande novellista ispirato, dà a Giona e, in lui, a tutti gli uomini un insegnamento definitivo. Se ci lamentiamo di quello che né è in nostro potere né ci appartiene, potrà Dio restare impassibile di fronte a quello che è suo, l’umanità che egli ha creata e redenta col suo sangue? potrà Dio non preoccuparsi dell’uomo, opera delle sue mani, per quanto l’uomo intenda vivere lontano da lui?
Il libro termina con questo interrogativo al quale ogni uomo, contemporaneo dell’autore o dei nostri giorni, dovrà dare una risposta personale e impegnata. La risposta della conoscenza e dell’amore al prossimo, anche nel caso che fosse il peggior nemico, come Ninive per gli ebrei, perché anche lui è stato oggetto della misericordia di Dio.
 
Vangelo
Signore, insegnaci a pregare.
 
Contro le sette domande di Matteo, il testo lucano contiene solo cinque petizioni. Il testo di Luca, sostanzialmente identico a quello di Matteo, è forse quello che si avvicina di più all’originale. Mancano «sia fatta la tua volontà» e «liberaci dal male». Luca omette o attenua espressioni ebraiche per rendere il testo più com­prensibile ai suoi lettori. Matteo inserisce la preghiera del Padre nostro nella magnifica cornice del ‘Discorso della Montagna’ per opporre l’agire cristiano a quello degli ipocriti (Mt 6,9-13); Luca invece, presentando Gesù in preghiera, trasforma intenzionalmente il racconto in una catechesi sulla preghiera: Gesù non insegna ai suoi discepoli una preghiera, ma insegna a pregare.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,1-4
 
Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli».
Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione».
 
Parola del Signore.
 
Signore, insegnaci a pregare - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): Signore, insegnaci a pregarecome...; secondo i dati segnalati da Luca in questo vers., che serve ad introdurre la preghiera del Pater, due sono le circostanze le quali hanno indotto Gesù – che l’evangelista ama designare col titolo Signore – ad insegnare ai suoi questa formula di orazione, cioè: l’esempio dello stesso Maestro che pregava (ora egli pregava in un luogo) ed il fatto che Giovanni Battista aveva proposto un modello di preghiera ai propri discepoli. Inoltre, secondo l’informazione di Luca, l’iniziativa parte dai discepoli, i quali si rivolgono direttamente a Gesù dicendogli: Signore, insegnaci a pregare. In Matteo il Pater si trova in un contesto differente e tale preghiera è messa in contrasto con quelle che usavano fare i Farisei ed i pagani (cf. Mt., 6,7-8). Il primo evangelista si preoccupa di porre la preghiera del Signore (oratio dominica) in un quadro sistematico inserendola nel discorso programmatico della montagna, il terzo evangelista invece preferisce indugiare sul contesto storico e psicologico di essa per illuminare il lettore sulle circostanze nelle quali questa elevata formula di orazione trova la sua origine. I discepoli di Gesù, rivolgendo questa domanda ai proprio Maestro, mostrano indirettamente che le preghiere che usavano non soddisfacevano più le loro esigenze spirituali, né le loro nuove prospettive religiose.
versetto 2 Quando pregatedite; il Salvatore non intende impartire un comando, ma proporre una formula di preghiera a cui ispirarsi come ad un modello. Padresia santificato il tuo nome; in Luca il Pater è riportato in una forma notevolmente più concisa di quella attestata da Matteo; infatti questo evangelista struttura il Pater in sette petizioni, Luca invece ne elenca soltanto cinque (mancano la terza: «sia fatta la tua volontà...», e la settima: «ma liberaci dal male»). Esistevano quindi due tradizioni sulla oratio dominica, le quali, al tempo in cui Luca scriveva, non erano ancora fuse in una formula fissa ed unica, accettata da tutte le comunità della Chiesa primitiva. Per il senso delle singole petizioni si veda il commento a Mt., 6,9-13. La preghiera del Pater, come è ricordata dal primo vangelo, in genere ha conservato in questo scritto la forma più originale e, conseguentemente, più fedele al modello di orazione suggerito da Gesù stesso; un confronto tra i due testi evangelici permette di percepire e valutare i ritocchi apportati da Luca alle varie petizioni (cf. commento ai verss. 3,4). Padresia santificato...; contrariamente a quanto verrà osservato per le petizioni dei verss. 3, 4, questa prima richiesta, come è attestata da Luca, rispecchia, con molta verosimiglianza, la formulazione più vicina alla primitiva, perché essa è semplice e concisa; in Matteo la stessa petizione trova un ampliamento, poiché vi sono aggiunte alcune precisazioni («Padre nostro che sei nel cielo»)
versetto 3 Da’ a noi ogni giorno il nostro pane quotidiano; «ogni giorno» (Matteo ha: oggi): espressione propria di Luca, che rivela la tendenza di rendere più chiara la richiesta; ogni giorno infatti abbiamo bisogno di chiedere al Padre il cibo necessario alla vita. Pane quotidiano; non si è ancora riusciti a stabilire il senso del termine ἐπιούσιος, tradotto abitualmente con «quotidiano»; già gli antichi interpreti sentivano la difficoltà del termine, come risulta anche dalla stessa Volgata, che lo rende con due aggettivi differenti, poiché il testo di Luca è tradotto con «panem... quotidianum»; quello di Matteo invece con «panem... supersubstantialem». Nel trattato Della preghiera, Origene si rifiuta decisamente a vedere in questa petizione del Pater una richiesta del pane materiale. La posizione del grande alessandrino, anche se egli è un corifeo dell’interpretazione allegorica della Bibbia, non lascia indifferente lo studioso. Di più, la dottrina dell’unico necessario esposta nel fatto precedente, come anche l’immagine dell’amico importuno che segue, sembrano suggerire un senso più elevato per questa petizione. Il bisogno di «ogni giorno» sembra alludere a qualcosa di più profondo ed essenziale per l’uomo della semplice necessità del pane quotidiano ed il fatto che tutte le petizioni del Pater hanno un’istanza religiosa molto accentuata induce l’esegeta ad orientarsi verso un’interpretazione più elevata e spirituale della richiesta accolta nella sublime preghiera dettata dal «Signore» (cf. vers. 1). Qualche codice, come anche alcuni Padri e scrittori antichi inseriscono nel testo lucano la petizione seguente: «venga il tuo Santo Spirito sopra di noi e ci purifichi»; quest’aggiunta proviene dall’uso liturgico, probabilmente dalla liturgia battesimale.
versetto 4 Rimetti a noi i nostri peccati; «peccati» è una precisazione del termine parallelo «debiti» (Mt., 6, 12).Noi stessi li rimettiamo ad...; si accentua l’importanza del perdono che va accordato sempre e generosamente. L’espressione di Luca è molto più viva e teologicamente più approfondita di quella di Matteo («come noi li abbiamo rimessi ai nostri debitori»; Mt., 6,12), poiché ne fa un obbligo attuale e continuo per ogni orante, ciò persuade l’esegeta a ritenere che qui si tratta di una precisazione fatta dall’evangelista.
 
Gesù e il Regno - Bruno Maggioni: Il Regno annunciato da Gesù è fondato sulla misericordia e sul perdono. Per mostrare la presenza e la figura del Regno, Gesù ha accolto, servito e perdonato. La sua azione è contraddistinta dall’accoglienza dei peccatori. Nuovo è il tratto dell’universalità. L’accoglienza di Gesù supera ogni differenza, travolge ogni barriera emarginante. Gesù vede l’uomo, ogni uomo, semplicemente nel rapporto che Dio ha con lui. vede l’uomo come Dio guarda quell’uomo, e lo sguardo di Dio non fa differenze. Nuovo, soprattutto, è il legame fra il Regno e Gesù.
A differenza dei profeti che parlavano al futuro, Gesù proclama l’intervento di Dio qui e ora. Il Regno inizia a farsi presente con la sua venuta e con la sua persona. Così compresero subito le prime comunità cristiane che annunciavano il nome di Gesù. Gesù ha annunciato il Regno, ma i primi cristiani annunciarono Gesù. Egli non è solo l’annunciatore del Regno, ma ne è il protagonista e la figura.
Con i suoi miracoli Gesù rivela che il Regno di Dio intende trasformare l’uomo intero, in tutte le sue dimensioni. Gesù non solo apre il cuore dell’uomo all’accoglienza di Dio. ma ricostruisce i corpi dissestati, risana gli zoppi, i ciechi, i sordi e libera gli indemoniati. Il Regno è l’azione di Dio che salva tutto l’uomo. Con la sua incessante accoglienza dei peccatori, dei poveri e degli esclusi, Gesù mostra che il Regno di Dio è un’azione di giustizia, un intervento ehe non lascia i rapporti come sono, ma li aggiusta. Il Regno di Dio crea un ordine nuovo. Di fronte all’opposizione che si fa sempre più intransigente, Gesù non si chiude dentro un recinto, convinto che si affretti la venuta del Regno abbandonando il mondo al suo destino e isolandosi nella purezza. Gesù non si ritira dal mondo. Anche se combattuto e rifiutato, il Regno di Dio resta ostinatamente presente nel mondo, solidale. I discepoli poi, alla fine del loro itinerario con Gesù, prendono coscienza di essere non soltanto coloro ehe Gesù ha scelto per continuare il suo annuncio del Regno, ma la comunità escatologica, primizia e figura del Regno. La comunità, non importa se piccola, è il germe del Regno.
 
Il regno di Dio e la regalità di Gesù - R. Deville e P. Grelot: Nel Nuovo Testamento i due temi del regno di Dio e della regalità messianica si uniscono nel modo più stretto, perché il re Messia è il  Figlio di Dio stesso. Questa posizione di Gesù al centro del mistero del regno si ritrova nelle tre tappe successive, attraverso le quali questo deve passare: la vita terrena di Gesù, il tempo della Chiesa e la consumazione finale delle cose.
1. Durante la sua vita, Gesù si dimostra molto riservato nei Confronti del titolo di  re. Se lo accetta in quanto titolo messianico rispondente alle promesse profetiche (Mt 21,1-11 par.), lo deve spogliare delle risonanze politiche (cfr. Lc 23, 2), per rivelare la regalità «che non è di questo mondo» e che si manifesta mediante la testimonianza resa alla verità (Gv 18,36s). In compenso, non esita ad identificare la causa del regno di Dio con la sua propria: lasciare tutto per il regno di Dio (Lc 18, 29), significa lasciare tutto «per il suo  nome» (Mt 19,29; cfr. Mc 10, 29). Descrivendo in anticipo la ricompensa escatologíca che attende gli uomini, egli identifica il «regno del figlio dell’uomo» ed il «regno del Padre» (Mt 13,41ss), ed assicura ai suoi apostoli che egli dispone per essi del regno come il Padre ne ha disposto per lui (Lc 22, 29 s)
2. La sua intronizzazione regale non giunge tuttavia se non al momento della risurrezione: allora egli prende posto sul trono stesso del Padre (Apoc 3,21), è esaltato alla destra di Dio (Atti 2,30-35). Durante tutto il tempo della Chiesa, la regalità di Dio si esercita così sugli uomini per mezzo della regalità di Cristo, Signore universale (Fil 2,11); perché il Padre ha costituito il Figlio suo «Re dei re e Signore dei signori» (Apoc 19,16; 17,14; cfr. 1,5).
3. Al termine dei tempi, Cristo vincitore di tutti i suoi nemici «rimetterà il regno a Dio Padre» (1Cor 15,24). Allora questo regno «sarà pienamente acquisito al nostro Signore ed al suo Cristo» (Apoc 11,15; 12,10), ed i fedeli riceveranno «l’eredità nel regno di Cristo e di Dio» (Ef 5,5). Così Dio, padrone di tutto, prenderà pieno possesso del suo regno (Apoc 19,6). I discepoli di Gesù saranno chiamati a condividere la gloria di questo regno (Apoc 3,21), perché già in terra Gesù ha fatto di essi «un regno di sacerdoti per il loro Dio e Padre» (Apoc 1,6; 5,10; 1Piet 2,9; cfr. Es 19,6).
 
Il pane quotidiano è il pane necessario - Efrem Siro, Commento al Diatessaron 6, 16a: Osservate, egli ha detto: Cercate il regno di Dio e queste cose vi saranno date ugualmente in più (Mt 6, 33). Egli ha detto quotidiano per insegnarci la povertà in relazione alle cose del mondo. È sufficiente solo per il nostro bisogno o altrimenti quando siamo ansiosi per un certo tempo potremmo allontanarci dall’intimità con Dio. Questo pane del giorno indica la necessità. Egli non ci dà solo il pane, ma anche il vestire e altre cose, come ha detto: Il Padre vostro sa di che cosa avete bisogno prima che lo chiediate (Mt 6, 8; 6,33).
 
Il Santo del Giorno - 8 Ottobre 2025 - Sant’Ugo Canefri da Genova. Cerchiamo un porto sicuro che ci accolga con i nostri pesi: Nel nostro perenne navigare esistenziale alla fine ciò che cerchiamo è solo un porto sicuro dove trovare ristoro e riparo, mani tese che ci accolgano con le nostre fatiche e le nostre sofferenze. È questo il messaggio legato all’eredità spirituale di sant’Ugo Canefri da Genova, che nel capoluogo ligure fu padre e fratello per molti nel complesso di San Giovanni di Pré, conosciuto come la Commenda di San Giovanni di Pré. In quel luogo, di fronte ai moli con il loro andirivieni di persone e merci, egli si fece vicino ai malati e ai bisognosi e, secondo la tradizione, compì numerosi segni prodigiosi. Era nato attorno al 1168 in una famiglia di nobili di Alessandria che avevano sostenuto e partecipato alla terza Crociata (1189-1192): Ugo vide con i propri occhi il dolore causato dalla violenza delle armi e le conseguenze della violenza. Davanti alle miserie e alle sofferenze del conflitto e probabilmente anche a causa dei disordini morali dei suoi compagni soldati, Ugo decise di entrare a far parte dell’Ordine di San Giovanni di Gerusalemme, i cavalieri ospitalieri. Dopo il rientro dalla Terra Santa, fu inviato a combattere la propria battaglia accanto ai malati – fino alla morte nel 1233 – proprio lì, a San Giovanni di Pré, nei pressi del porto, ponte aperto sul mondo.  (Avvenire)
 
Concedi a noi, Padre onnipotente,
che, inebriati e nutriti da questi sacramenti,
veniamo trasformati in Cristo
che abbiamo ricevuto come cibo e bevanda di vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.