4 Ottobre 2025
San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia
Gal 6,14-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 15 (16); Mt 11,25-30
Colletta
O Padre, che hai concesso a san Francesco [d’Assisi]
di essere immagine viva di Cristo povero e umile,
fa’ che, camminando sulle sue orme,
possiamo seguire il tuo Figlio e unirci a te in carità e letizia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Maurizio De Paoli (Famiglia Cristiana 3 Ottobre 2013): La devozione dei Papi per san Francesco d’Assisi affonda le radici fin nei tempi in cui il santo visse e fu protagonista di una delle più radicali esperienze di riforma della Chiesa. Ma nell’ultimo secolo si è avuto un significativo “ritorno” dei Papi ad Assisi. E non solo per via dei numerosi pellegrinaggi compiuti nella città umbra dal 1962 ad oggi. Il gesto più significativo resta quello di Pio XII che il 18 giugno 1939, firma un Breve con il quale proclama Francesco d’Assisi e Caterina da Siena patroni d’Italia.
Così papa Pacelli sintetizza l’impegno del fondatore dell’ordine dei frati minori: “San Francesco poverello e umile, vera immagine di Gesù Cristo, diede insuperabili esempi di vita evangelica ai cittadini di quella sua tanto turbolenta età, e ad essi anzi, con la costituzione del suo triplice ordine aprì nuove vie e diede maggiori agevolezze, per la correzione dei pubblici e privati costumi e per un più retto senso dei principi della vita cattolica”.
A Pio XII sembra fare eco Giovanni XXIII, pellegrino ad Assisi il 4 ottobre 1962: “San Francesco ha compendiato in una sola parola il ben vivere, insegnandoci come dobbiamo valutare gli avvenimenti, come metterci in comunicazione con Dio e con i nostri simili. Questa parola dà il nome a questo colle che incorona il sepolcro glorioso del Poverello: Paradiso, Paradiso!”. Il 5 novembre 1978 Giovanni Paolo II, eletto Papa il 18 ottobre, raggiunge Assisi. E lo fa dando a questo pellegrinaggio il valore di una “nascita”, parole che lui stesso spiega così: “Eccomi ad Assisi in questo giorno che ho voluto dedicare in modo particolare ai santi patroni di questa terra: l’Italia; terra alla quale Dio mi ha chiamato perché possa servire come successore di San Pietro. Dato che non sono nato su questo suolo, sento più che mai il bisogno di una “nascita” spirituale in esso”. Papa Wojtyla dedica quindi al santo una preghiera che ha la suggestione di una poesia: “Aiutaci, San Francesco d’Assisi, ad avvicinare alla Chiesa e al mondo di oggi il Cristo. Tu, che hai portato nel tuo cuore le vicissitudini dei tuoi contemporanei, aiutaci, col cuore vicino al cuore del Redentore, ad abbracciare le vicende degli uomini della nostra epoca”.
Infine, un intenso ritratto spirituale di san Francesco è quello che Benedetto XVI gli dedica all’Angelus durante la visita pastorale ad Assisi il 17 giugno 2007: “Francesco d’Assisi è un grande educatore della nostra fede e della nostra lode. Innamorandosi di Gesù Cristo egli incontrò il volto di Dio-Amore, ne divenne appassionato cantore, come vero “giullare di Dio”. Alla luce delle Beatitudini evangeliche si comprende la mitezza con cui egli seppe vivere i rapporti con gli altri, presentandosi a tutti in umiltà e facendosi testimone e operatore di pace”.
Prima Lettura - José Maria González-Ruiz (Commento della Bibbia Liturgica): La croce segna il confine obbligato fra una situazione e l’altra: nella croce è stata spezzata una possibilità d’esistenza, quella della « carne », e ne è stata inaugurata una nuova, lo « spirito ». Il cristiano, per la sua incorporazione a Cristo, accetta questa liquidazione avvenuta radicalmente sulla croce. La «carne», il «mondo», cioè la situazione storica della disperazione umana è stata annullata sulla croce. Le pretese dei giudaizzanti supponevano un ritorno allo «statu quo» precedente, un ritorno a quella situazione disperata dell’uomo-Adamo che, come un Tantalo assetato, non poteva mai saziare la sete della sua esistenza storica.
Effettivamente, al di là della croce, è stata ormai trascesa l’alternativa storica: paganesimo o giudaismo, circoncisione o incirconcisione, poiché «non è la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura».
In una parola, il cristianesimo non è propriamente una religione, anche se, indubbiamente, è religione per i suoi legami con Dio. Attraverso la sua storia, si potranno avere diverse forme religioso culturali che servano di ambiente congiunturale e geografico allo stesso messaggio di Gesù. Ai tempi di Paolo, il pericolo consisteva nell’introdurre l’alternativa: giudaismo cristiano o paganesimo cristiano. Ai nostri giorni, le alternative si potrebbero moltiplicare e dire, per esempio: democrazia cristiana o marxismo cristiano.
Paolo crede d’aver esaurito il tema e mette fine alla sua lettera: «D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi; difatti io porto le stimmate di Gesù nel mio corpo».
L’elemento specifico di un apostolo è che, in lui, si riproduce questa dimensione peculiare dell’essere di Cristo: il dolore redentore. Un araldo della parola di Dio non se ne potrà stare nella tranquillità anodina d’un pulpito ben ornato. In concreto, questo «soffrire per Cristo» è cosa quasi visibile nel corpo sofferente di Paolo: sono i «segni» («stigmata») di Gesù. La parola che compare solo qui nel NT indicava i segni (lettere, tatuaggi o incisioni rosse) che ricordavano l’appartenenza d’uno schiavo al suo padrone o di un iniziato al suo culto e al suo dio. A questa idea di appartenenza si aggiungeva quella di minaccia: toccare uno schiavo o un iniziato era come esporsi alla vendetta del suo padrone o del suo dio.
Paolo, carico d’una lunga storia di peripezie apostoliche (2Cor 11,23-29), è come uno schiavo di Cristo che porta sul suo corpo il tatuaggio del suo Signore. Nessuno, dunque, osi toccarlo, per non esporsi alla vendetta del suo padrone. In più, egli ha già dimostrato abbastanza la sua autenticità apostolica; e perché mai i galati vogliono accumulare sulle sue stanche spalle nuovi «segni» di «sforzi» dolorosi?
In una parola, il banditore della parola dovrà affrontare l’inevitabile reazione violenta che questa parola provoca in una società egoista, ambiziosa e invidiosa. Ma, al tempo stesso, dovrà evitare la tentazione del masochismo; perciò Paolo, ormai quasi stremato per il suo lavoro, chiede che i galati gli concedano, per favore, un respiro nella sua lunga peregrinazione evangelizzatrice.
Vangelo
Hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli.
Nel brano evangelico si possono mettere in evidenza almeno tre temi. Il primo è quello dei piccoli, i quali proprio per la loro umiltà riescono a cogliere il mistero del Cristo. Il secondo tema è la rivelazione della divinità di Gesù: il Figlio conosce il Padre con la medesima conoscenza con cui il Padre conosce il Figlio. Il terzo tema è quello del giogo di Gesù che è dolce e sopportabile a differenza di quello imposto dai Farisei, insopportabile perché reso pesante da minuziose norme di fatto impraticabili.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 11,25-30
In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza.
Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.
Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Parola del Signore.
Benedetto Prete (Vangelo secondo Matteo): 25 Il passo 11, 25-27 non ha un nesso stretto con il contesto; Mt. lo introduce con un’espressione indeterminata (in quel tempo). Il versetto è concepito ed espresso alla maniera semitica; Cristo “benedice” (altri traducono: io ti lodo; io ti celebro) il Padre non per aver nascosto i misteri del regno (cf. Mt., 13, 11) ai sapienti, ma per averli rivelati ai piccoli. I sapienti sono i Farisei ed i loro dottori; i piccoli (letteralm.: i fanciulli, gli infanti) designano i discepoli. Agli umili, ai semplici, ai sinceri è dato penetrare nel mistero del regno di Dio; a coloro invece che vanno superbi per la propria conoscenza della Scrittura (la Legge) non è dato penetrare nel piano della sapienza divina (cf. 1 Corinti, 1, 19-31). La vera sapienza che Cristo richiede non è lo studio compiacente della Legge, ma l’accettazione delle verità che egli annunzia. L’abbandono fiducioso dei semplici a Cristo permette loro di superare le difficoltà che presentano i misteri della rivelazione. Il detto supera la circostanza storica che lo ha suggerito al Maestro; esso non è rivolto unicamente agli Ebrei presenti, ma agli uomini di ogni tempo. Non l’intelligenza altera e soddisfatta di sé, ma l’intelligenza umile e sinceramente aperta alla verità accoglie il mistero di Dio e ne intravede le manifestazioni create. Le verità propriamente eccelse non sono quelle che l’uomo scopre con la perspicacia della sua intelligenza, ma quelle che Dio gli rivela. Giustamente questo versetto è considerato come «la perla» del Vangelo di Matteo.
27 Passo di stile giovanneo. Il testo dimostra che la tradizione dei Sinottici conosceva la filiazione divina di Cristo. Gesù ha tutto ciò che possiede il Padre e lo manifesta a chi vuole. La presenza in Matteo e Luca (Lc., 10, 21-22) di questo passo di contenuto giovanneo costituisce una preziosa testimonianza per la storicità del IV vangelo.
28 Cristo esige l’accettazione della sua legge. Il giogo era una metafora usuale per designare la Legge (cf. Geremia, 5, 5; Ecclesiastico, 51, 34; Atti, 15, 10). Affaticati e carichi; la Legge antica era un giogo pesante ed i Farisei l’avevano ancora aggravato con l’aggiunta d’innumerevoli prescrizioni. Gesù concede il sollievo a chi lo segue, perché egli non impone una religiosità fatta d’infinite e gravose pratiche esterne, come voleva l’ebraismo ufficiale del suo tempo.
29 Prendete su di voi il mio giogo; cioè: prendete la legge che Cristo insegna, oppure: lasciatevi istruire da me. Gesù è il perfetto Maestro nella legge, perché egli la promulga e la spiega con mitezza ed umiltà di cuore. Quella legge che è suggerita dalla bontà porta sollievo alle anime.
30 Cristo impone ai propri sudditi una legge amabile (giogo soave); egli infatti perfezionando la legge antica l’ha resa leggera. In tutto il passo (11, 28-30) il lettore avverte una punta polemica contro l’opprimente legalismo dei Farisei, considerati dal popolo come interpreti e maestri qualificati della legge.
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): 12-16 Contrariamente ai Giudaizzanti, che predicano la «circoncisione» al solo scopo di sfuggire alla «persecuzione» per il nome di Cristo (cfr. 5, 11) e «gloriarsi» davanti agli altri nel numero dei loro adepti (vv. 12-13), l’Apostolo pone la sua gloria nella croce di Cristo: per questo egli sente che il «mondo» per lui è ormai scomparso, «crocifisso» (v, 14), diventato oggetto di obbrobrio e di ripulsa, così come era per gli antichi il patibolo della croce. Non si poteva esprimere con una formula più efficace questo insanabile contrasto fra chi intenda vivere la propria fede sul serio e tutto ciò che è fermento di male!
Per «mondo» si deve intendere la realtà creata non in quanto tale ma in quanto, a causa del peccato, ritrae dal servizio di Dio e favorisce le voglie della carne (5, 17-21; 1Cor. l, 20; 2Cor. 4, 4; Efes. 2, 2 ecc. Cfr. Giov. 1, 1,10). Fra questo «mondo» e Paolo c’è una incompatibilità reciproca (v. 14). L’unica cosa che ormai vale è la «creatura nuova» (v. 15. Cfr. 2Cor. 5, 17), che è nata dal costato di Cristo crocifisso, per cui solo i «crocifissi» come Paolo possono far parte del regno della redenzione (cfr. 5, 24).
In tal maniera e seguendo questa via della croce, essi diventano il vero «Israele di Dio» (cfr. 3,29; Rom. 9,6-8), in opposizione all’Israele «secondo la carne» (lCor. 10, 18), e saranno oggetto di «pace» e di «misericordia» da parte di Dio (v. 16).
17-18 Con una frase energica e pittoresca, da uomo seccato, Paolo sconsiglia i Giudaizzanti di intralciargli più oltre il cammino: «D’ora in avanti nessuno mi procuri più fastidi; io infatti porto nel mio corpo le stimmate di Gesù» (v. 17).
Come gli schiavi, specialmente quelli fuggitivi, ricevevano un marchio fatto con ferro rovente sul loro corpo quale segno di appartenenza al padrone, così Paolo, «schiavo di Cristo» (l, 10; Rom. l, 1), può mostrare nel suo corpo tutte le lividure, le percosse, i segni delle sofferenze più atroci affrontate per Cristo nel corso del suo lungo apostolato (2Cor. 6, 4-5; 11, 23-25): queste sono le sue «stimmate».
Davanti ai segni del «sangue» nessuno potrà più contestare la legittimità del suo apostolato e i diritti che egli aveva acquisito sulle cristianità di Galazia, alle quali manda un ultimo, dolcissimo saluto: «La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli! Amen» (v. 18).
Papa Francesco (Discorso 31 Ottobre 2021): Dopo otto secoli, San Francesco resta comunque un mistero. Così come resta intatta la domanda di fra’ Masseo: «Perché a te tutto il mondo viene dietro, e ogni persona pare che desideri di vederti e d’udirti e d’ubbidirti?» (Fioretti, X: FF 1838). Per trovare una risposta occorre mettersi alla scuola del Poverello, ritrovando nella sua vita evangelica la via per seguire le orme di Gesù. In concreto, questo significa ascoltare, camminare e annunciare fino alle periferie.
Ascoltare, in primo luogo. Francesco, davanti al Crocifisso, sente la voce di Gesù che gli dice: “Francesco, va’ e ripara la mia casa”. E il giovane Francesco risponde con prontezza e generosità a questa chiamata del Signore: riparare la sua casa. Ma quale casa? Piano piano, si rende conto che non si trattava di fare il muratore e riparare un edificio fatto di pietre, ma di dare il suo contributo per la vita della Chiesa; si trattava di mettersi a servizio della Chiesa, amandola e lavorando perché in essa si riflettesse sempre più il Volto di Cristo.
In secondo luogo camminare. Francesco è stato un viandante mai fermo, che ha attraversato a piedi innumerevoli borghi e villaggi d’Italia, non facendo mancare la sua vicinanza alla gente e azzerando la distanza tra la Chiesa e il popolo. Questa medesima capacità di “andare incontro”, piuttosto che di “attendere al varco”, è lo stile di una comunità cristiana che sente l’urgenza di farsi prossima piuttosto che ripiegarsi su sé stessa. Questo ci insegna che chi segue san Francesco deve imparare a essere fermo e camminante: fermo nella contemplazione, nella preghiera, e poi andare avanti, camminare nella testimonianza, la testimonianza di Cristo.
Infine, annunciare fino alle periferie. Ciò di cui tutti hanno bisogno è giustizia, ma anche fiducia. Solo la fede restituisce a un mondo chiuso e individualista il soffio dello Spirito. Con questo supplemento di respiro le grandi sfide presenti, come la pace, la cura della casa comune e un nuovo modello di sviluppo potranno essere affrontate, senza arrendersi ai dati di fatto che sembrano insuperabili.
L’umiltà del cuore - Origene, In Luc. 8, 5: Dice il Salvatore: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre” (Mt 11,29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l’umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyfìa, oppure metriòtes. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l’umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l’Apostolo, «nella condanna del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l’Apostolo dice: “Per non incappare, gonfiato d’orgoglio, nella condanna del diavolo” (1Tm 3,6).
Il Santo del Giorno - 4 Ottobre 2025 - San Francesco d’Assisi, Patrono d’Italia - La rivoluzione dell’essenziale ci conduce al cuore di Dio: Siamo ancora in grado di cogliere l’essenziale nelle cose che ci circondano? Sappiamo spogliarci di ciò che ci allontana dalla verità di noi stessi? La via per arrivarci ce la indica san Francesco: iniziamo imparando a lodare per le cose belle che abbiamo nella nostra vita e a cogliere l’infinito che si nasconde nelle piccolezze. Il messaggio del Poverello di Assisi è rivoluzionario e ci invita a cogliere Dio là dove mai si penserebbe possa essere. Questo è lo spirito, folle agli occhi del mondo, del nostro patrono, la cui avventura spirituale parte da una precisa scelta di povertà, come strada che porta a un infinito Amore. Il santo Poverello era nato ad Assisi nel 1181 o 1182, in una famiglia di mercanti, conducendo una gioventù nel segno della mondanità. Nel 1203 visse però un’esperienza di malattia e prigionia che lo cambiò per sempre. La chiamata a «riparare la casa» di Cristo avvenne nella chiesa di San Damiano nel 1205. Era l’inizio di un percorso le cui radici erano il Vangelo e la povertà, che sono ancora oggi le fondamenta della grande famiglia dei religiosi francescani. Francesco morì tra il 3 e il 4 ottobre 1226 presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli ad Assisi. Canonizzato da Gregorio IX il 16 luglio 1228, il 18 giugno 1939, con santa Caterina da Siena, è stato proclamato patrono d’Italia da Pio XII. (Avvenire)
Per i santi misteri che abbiamo ricevuto
concedi a noi, o Signore,
che, imitando la carità e il fervore apostolico di san Francesco [d’Assisi],
gustiamo i frutti del tuo amore
e li diffondiamo per la salvezza di ogni uomo.
Per Cristo nostro Signore.