3 Ottobre 2025
 
Venerdì XXVI Settimana T. O.
 
Bar 1,15-22; Salmo Responsoriale dal Salmo 78 (79); Lc 10,13-16
 
Colletta
O Dio, che riveli la tua onnipotenza
soprattutto con la misericordia e il perdono,
continua a effondere su di noi la tua grazia,
perché, affrettandoci verso i beni da te promessi,
diventiamo partecipi della felicità eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
L’inferno - Catechismo della Chiesa Cattolica: n. 1034 Gesù parla ripetutamente della “Geenna”, del “fuoco inestinguibile”, che è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l’anima che il corpo. Gesù annunzia con parole severe che egli “manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno ... tutti gli operatori di iniquità e li getteranno nella fornace ardente” (Mt 13,41-42), e che pronunzierà la condanna: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!” (Mt 25,41).
n. 1035 La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, “il fuoco eterno” . La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira.
n. 1036 Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l’inferno sono un appello alla responsabilità con la quale l’uomo deve usare la propria libertà in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione: “Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14). Siccome non conosciamo né il giorno né l’ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinché, finito l’unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, né ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove “ci sarà pianto e stridore di denti”.
n. 1037 Dio non predestina nessuno ad andare all’inferno; questo è la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole “che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi” (2Pt 3,9): Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti.
 
Prima Lettura: Non è mai troppo tardi per pentirsi dei propri peccati, e riprendere il cammino della conversione. Il popolo di Israele è stato deportato in catene nella terra di Babilonia perché ha tradito l’alleanza, ha dimenticato i prodigi che Dio ha compiuto per liberarlo dalla schiavitù egiziana, ha dimenticato i portenti che Dio ha operato nell’introdurlo nella terra promessa, si è ribellato al suo amore con culti idolatrici. Si è ostinato a non ascoltare la voce di Dio, hanno rigettato i profeti mandati da Dio, ha seguito le perverse inclinazioni del suo cuore. Il messaggio di Baruc è una sincera confessione dei peccati di Israele, e allo stesso tempo apre il cuore alla speranza: un sincera conversione, purificando i cuori, è cammino di riconciliazione, è un ritorno all’alleanza la quale ampiamente promette amore, provvidenza e perdono.
In questa cornice la penitenza è confessione gioiosa e pacificante della misericordia di Dio.
 
Vangelo
Chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato.

I “guai” rivolti alle città incredule ci fanno scoprire che al di là della misericordia di Dio c’è anche un giudizio severo per coloro che non accolgono il Vangelo. Ma la “rovina” non è soltanto temporale e materiale, ma anche escatologica, e pertanto la rovina che Gesù minaccia alle città incredule che hanno disprezzato la sua parola, e quella dei suoi inviati, è sopra tutto spirituale e definitiva, fino agli inferi precipiteranno.

Dal Vangelo secondo Luca

Lc 10,13-16
 
In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato».
 
Parola del Signore.
 
Invito alla conversione continua - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Nel duro rimprovero alle città penitenti c’è un ultimo invito alla conversione comunitaria e personale per un duplice motivo: perché il regno di Dio ha il primato assoluto e perché la semplice appartenenza al popolo israelita non garantisce l’ingresso nel regno. Questo vale anche per noi cristiani, membri battezzati della Chiesa. Sarebbe molto pericoloso non dare ascolto a Gesù oggi.
Ma c’è molta differenza tra il percepire l’urgenza della conversione come una fredda minaccia a come un invito liberatore. Nel caso della minaccia, l’imminenza del giudizi di Dio crea angoscia; nel caso dell’invito liberatore, invece, si tratta di un richiamo stimolante che genera gioia perché ci libera della zavorra che sta impedendoci di crescere come persone e come credenti.
Non crediamo che la conversione riguardi solo i grandi peccatori e i miscredenti. Anche se forse siamo cristiani da tutta la vita, abbiamo sempre bisogno di convertirci. L’«uomo vecchio» che portiamo dentro si oppone costantemente all’«uomo nuovo» liberato da Cristo. Per questo la conversione a Dio e ai valori evangelici del suo regno è fatica continua di tutta l’esistenza, compito silenzioso di ogni giorno. Non saremo mai convertiti abbastanza, perché l’amore cristiano non arriva mai alla fine della tappa; la meta sta sempre più in là.
La conversione continua è, quindi, una materia sempre pendente. Abbiamo bisogno di convertirci ogni giorno dal peccato profondo che si annida nel nostro cuore con molteplici manifestazioni: egoismo e superbia, aggressività e violenza, menzogna e lussuria, indifferenza e classismo, doppiezza, apatia e disperazione ... per diventare altruisti e generosi, umili e pacifici, sinceri e casti, servizievoli e accoglienti, solidali con gli altri e testimoni di speranza per tutti.
 
Fino agli inferi precipiterai! - Hans Bietenhard: In base al NT l’inferno è considerato luogo di punizione solo dopo il giudizio universale. Però sotto l’influsso di concezioni extrabibliche subentrò, nell’insegnamento cristiano, la metafisica dell’eternità al posto dell’escatologia: il luogo di punizione futura si trasformò in luogo di punizione dell’aldilà; l’anima immortale è sottoposta al giudizio subito dopo la morte e, se trovata colpevole, sottoposta alla punizione. Questo luogo di castigo nell’aldilà venne descritto in modo fantastico, con l’aiuto di concezioni extrabibliche. Per il periodo che seguì, ebbe molta importanza, per es., l’apocalisse di Pietro (2 sec. d.C.) che esercitò il suo influsso anche sulla «Divina Commedia» di Dante. Questo tema ha sempre eccitato in modo vivace la pietà e la fantasia popolare. Soprattutto il fuoco dell’inferno ha avuto una grande attrazione (nelle saghe delle alpi svizzere incontriamo invece l’idea che l’inferno o il purgatorio siano un ghiacciaio, il ghiacciaio Aletsh!, ove le « povere anime » devono sopportare la loro punizione). I predicatori si servivano di queste immagini per suscitare nei loro uditori la paura dell’inferno, e spingerli alla conversione (cf. anche gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola). La predicazione dovrebbe impegnarsi a ripulire da tutte le escrescenze tradizionali il contenuto dei concetti biblici e far capire che nella bibbia « regno dei morti » e inferno sono due cose diverse. Per molti sarebbe utile sapere che le sadiche e fantastiche e spesso ridicole descrizioni delle pene dell’inferno non hanno alcun aggancio con il NT. L’opposizione al discorso «popolare» sull’inferno è molto più profonda. Molti cristiani considerano urtante questo discorso e non sono in grado di conciliarlo con il messaggio di un Dio benigno e buono, manifestatosi in Gesù Cristo. Per essi il discorso delle pene eterne dell’inferno contrasta con il messaggio di Dio che è amore. Ma allora, per poter trasmettere il messaggio dell’amore di Dio è forse necessario eliminare dalla predicazione il discorso sull’inferno, come non cristiano, oppure come poco cristiano? Chi pensa in questo modo, abbia ben chiaro che il messaggio dell’amore di Dio non significa un impoverimento di Dio né può diventare tale: Dio è e resta un Dio santo. Anche nel messaggio di Gesù incontriamo una chiarezza estrema: si tratta della salvezza temporale ed eterna. Accogliere o rifiutare il messaggio di Gesù ha conseguenze temporali ed eterne, conduce alla gioia del regno di Dio oppure allontana da essa. La meta della vita può acquistare o perdere il suo ultimo, profondo significato. Gesù descrive l’estrema serietà di questa decisione parlando di «tenebre che ci sono fuori e ove ci saranno gemiti e stridore di denti» (Mt 8, 12). In questo detto non c’è la parola inferno e neppure la descrizione di tormenti. Il terribile sta nella definitiva esclusione dalla salvezza e dalla comunità con Dio e con Cristo: questo è l’inferno.

Richard Gutzwiller (Meditazioni su Luca): «Chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato», Il no, esternamente, è diretto solo ai discepoli di Gesù. Ma dietro di loro sta l’autorità di Cristo, Uomo­Dio, e dietro Cristo c’è Dio stesso, il Santo, l’Infinito. Lo stesso capita oggi. Il rifiuto esteriormente riguarda la Chiesa. Perciò ha sempre un’apparente giustificazione. Poiché l’incredulo può farsi forte delle deficienze umane dei messaggeri della fede, dell’insufficienza della loro vita spirituale, del metodo di predicazione, umano, troppo umano, delle ipoteche storiche che gravano sulla Chiesa, e di molte altre cose. E tuttavia in un certo senso egli dice di no al Cristo Signore incarnato. È lui che vive ed agisce nella Chiesa. È l’invisibile mistero della Chiesa visibile, è il contenuto divino della sua forma umana. La Chiesa che annuncia la fede non è solo istituzione, movimento spirituale, autorità legiferante; in essa è presente, come sua propria essenza, Cristo glorioso. Perciò il no colpisce lui stesso. E poiché egli è l’Uomo-Dio, il no dell’incredulità è un rigettare Dio. Ma chi rigetta Dio, è da Dio rigettato.
Propriamente parlando, egli rigetta se stesso. Il no che egli lancia a Dio, gli è rimandato come un’eco.
 
Fino agli inferi precipiterai: “Non ingannatevi, o diletti. Se, infatti, non vi fosse la geenna in qual modo gli apostoli giudicheranno le dodici tribù di Israele? Per qual motivo Paolo direbbe: Non sapete che giudicheremo gli angeli? Quanto più le cose del mondo [1Cor 6,3]? Come Cristo avrebbe potuto dire: I niniviti sorgeranno nel giudizio e condanneranno questa generazione [Mt 12,41]? E: Nel giorno del giudizio Sodoma sarà trattata con maggior demenza [Mt 11,24)? Perché, dunque, scherzi e ti trastulli? Perché inganni te stesso e illudi la tua anima, o uomo? Per quale motivo combatti contro la bontà di Dio? Egli, infatti, ha preparato e minacciato la geenna, non perché noi vi cadessimo, ma affinché, grazie alla paura di essa, divenissimo migliori Vi sarà, infatti, un accurato esame delle più piccole cose, tanto per quanto concerne i peccati che le buone azioni. Dovremo rendere, perciò, ragione degli sguardi impuri, della parola oziosa e ridicola, della crapula, dell’ira e dell’ubriachezza; viceversa, riceveremo la mercede per le opere buone: per un bicchiere d’acqua fresca, per una parola buona e per una sola lacrima... Come, dunque, osi affermare che colui che passa in rassegna con tanta cura le nostre azioni, abbia minacciato invano la caduta nella geenna? Te ne scongiuro, non mandare in perdizione te stesso e coloro che credono in te con una speranza così vana. Se non credi alle nostre parole, infatti, esamina i giudei, i greci, tutti gli eretici, e tutti ti risponderanno a una voce che vi sarà il giudizio e la retribuzione. Non bastano gli uomini? Interroga gli stessi demoni e li udrai gridare: Perché sei venuto qui prima del tempo a tormentarci? [Mt 8,29]. Grazie alla comune testimonianza di tutti costoro, perciò, persuadi la tua mente a non vaneggiare affinché non impari per sua esperienza che la geenna esiste, ravvedendoti, invece, potrai sfuggire a quei tormenti e conseguire i beni futuri.” (Giovanni Crisostomo, Omelie sulla Lettera ai Romani, 31,4-5).
 
Il Santo del Giorno - 3 Ottobre 2025 - San Dionigi l’Areopagita. Lo scandalo della risurrezione che non trova posto tra i «comfort»: A cosa ci serve Dio? Non possiamo non porci questa domanda in una società che pare soddisfare ogni nostra esigenza. Ma il messaggio che porta il Risorto è qualcosa che non rientra in nessuno “schema”, nessuna confortevole “interfaccia” di controllo della nostra vita. La risurrezione dai morti rappresenta un vero e proprio “scandalo” più grande per la ragione, il mistero più difficile da accettare per il cuore. Una verità che richiede il coraggio della fede, l’audacia di andare oltre i dubbi, rinunciare alle proprie sicurezze e contraddire il sentire della cultura “dominante”. Così fece san Dionigi l’Areopagita, che incontrò il Risorto grazie all’annuncio di san Paolo ad Atene. Secondo il capitolo 17 degli Atti degli Apostoli, infatti, l’apostolo aveva parlato davanti ai saggi sull’Areopago. All’inizio il suo discorso aveva affascinato i presenti, esponenti di una cultura da sempre sinonimo di impegno nella ricerca della verità con i mezzi della ragione e ben disposti verso tradizioni religiose diverse, ma poi Paolo era stato deriso quando aveva cominciato a parlare di Risurrezione. Dionigi, invece, fu tra coloro che si unirono all’Apostolo delle genti e la tradizione lo vorrebbe primo vescovo di Atene. Per alcuni il santo celebrato oggi, invece, sarebbe un teologo del V secolo che usò il nome di Dionigi come pseudonimo. (Avvenire)
 
Questo sacramento di vita eterna
ci rinnovi, o Padre, nell’anima e nel corpo,
perché, annunciando la morte del tuo Figlio,
partecipiamo alla sua passione
per diventare eredi con lui nella gloria.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.