28 OTTOBRE 2025
Santi Simone e Giuda Apostoli
Ef 2,19-22; Salmo Responsoriale dal Salmo 18 (19); Lc 6,12-19
Colletta
O Dio, che per mezzo degli apostoli
ci hai fatto giungere alla conoscenza del tuo nome,
per l’intercessione dei santi Simone e Giuda
concedi alla tua Chiesa di crescere sempre
con l’adesione di nuovi popoli alla fede.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Udienza Generale 28 Ottobre 2012): Simone riceve un epiteto che varia nelle quattro liste: mentre Matteo e Marco lo qualificano “cananeo”, Luca invece lo definisce “zelota”. In realtà, le due qualifiche si equivalgono, poiché significano la stessa cosa: nella lingua ebraica, infatti, il verbo qanà’ significa “essere geloso, appassionato” e può essere detto sia di Dio, in quanto è geloso del popolo da lui scelto (cfr Es 20,5), sia di uomini che ardono di zelo nel servire il Dio unico con piena dedizione, come Elia (cfr 1 Re 19,10). È ben possibile, dunque, che questo Simone, se non appartenne propriamente al movimento nazionalista degli Zeloti, fosse almeno caratterizzato da un ardente zelo per l’identità giudaica, quindi per Dio, per il suo popolo e per la Legge divina. Se le cose stanno così, Simone si pone agli antipodi di Matteo, che al contrario, in quanto pubblicano, proveniva da un’attività considerata del tutto impura. Segno evidente che Gesù chiama i suoi discepoli e collaboratori dagli strati sociali e religiosi più diversi, senza alcuna preclusione. A Lui interessano le persone, non le categorie sociali o le etichette! E la cosa bella è che nel gruppo dei suoi seguaci, tutti, benché diversi, coesistevano insieme, superando le immaginabili difficoltà: era Gesù stesso, infatti, il motivo di coesione, nel quale tutti si ritrovavano uniti. Questo costituisce chiaramente una lezione per noi, spesso inclini a sottolineare le differenze e magari le contrapposizioni, dimenticando che in Gesù Cristo ci è data la forza per comporre le nostre conflittualità. Teniamo anche presente che il gruppo dei Dodici è la prefigurazione della Chiesa, nella quale devono avere spazio tutti i carismi, i popoli, le razze, tutte le qualità umane, che trovano la loro composizione e la loro unità nella comunione con Gesù.
Per quanto riguarda poi Giuda Taddeo, egli è così denominato dalla tradizione, unendo insieme due nomi diversi: infatti, mentre Matteo e Marco lo chiamano semplicemente “Taddeo” (Mt 10,3; Mc 3,18), Luca lo chiama “Giuda di Giacomo” (Lc 6,16; At 1,13). Il soprannome Taddeo è di derivazione incerta e viene spiegato o come proveniente dall’aramaico taddà’, che vuol dire “petto” e quindi significherebbe “magnanimo”, oppure come abbreviazione di un nome greco come Teodòro, Teòdoto. Di lui si tramandano poche cose. Solo Giovanni segnala una sua richiesta fatta a Gesù durante l’Ultima Cena. Dice Taddeo al Signore: «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». E’ una questione di grande attualità, che anche noi poniamo al Signore: perché il Risorto non si è manifestato in tutta la sua gloria ai suoi avversari per mostrare che il vincitore è Dio? Perché si è manifestato solo ai suoi Discepoli? La risposta di Gesù è misteriosa e profonda. Il Signore dice: “Se uno mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,22-23). Questo vuol dire che il Risorto dev’essere visto, percepito anche con il cuore, in modo che Dio possa prendere dimora in noi. Il Signore non appare come una cosa. Egli vuole entrare nella nostra vita e perciò la sua manifestazione è una manifestazione che implica e presuppone il cuore aperto. Solo così vediamo il Risorto.
Prima Lettura: I cristiani di Efeso che provengono dal mondo pagano un tempo esclusi dalla cittadinanza d’Israele, ora, mediante il battesimo, non sono più stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio, edificati sopra il fondamento degli apostoli e di profeti. I profeti, qui si tratta di quelli del Nuovo Testamento (Ef 3,5; 4,11; At 11,27), costituiscono con gli apostoli, “la generazione dei primi testimoni che hanno ricevuto la rivelazione del piano divino (Ef 3,5) e che hanno predicato il vangelo [cfr. Lc 11,49, Mt 23,34, Mt 10,41). Sono dunque come il fondamento sul quale si edifica la chiesa” (Bibbia di Gerusalemme).
Vangelo
Ne scelse dodici ai quali diede anche il nome di apostoli.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,12-19
In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.
Parola del Signore.
Silvano Fausti (Una comunità legge il Vangelo di Luca): La creazione dei Dodici è la settima azione potente di Gesù, dove si compie e trova riposo tutto il suo lavoro: è il mondo nuovo, l’umanità che nell’ascolto entra nel giorno di Dio e raggiunge il suo riposo. I Dodici sembrano piccola cosa di fronte alla vastità del mondo al quale sono inviati. Ma è stile costante di Dio operare tutto attraverso poco (cf. Gdc 7,1-8). La sua azione è sempre sacramentale: in un piccolo segno d’amore, dona una realtà infinita, se stesso come amore. Questa sacramentalità, per cui l’infinito opera nella piccolezza, è necessaria perché Dio è infinito e l’uomo finito, ma fatto per l’infinito. Ma è anche necessaria per rispettare la libertà dell’uomo che Dio ama e dal quale vuole essere amato in libertà. Il piccolo non si impone: solo si propone e può essere accolto a meno.
Non bisogna mai dimenticare l’efficacia reale e infinita del piccolo segno, né a livello personale né a livello ecclesiale. Si cadrebbe in deliri di onnipotenza, vecchi come il peccato di Gn 3!
La chiamata all’apostolato, mattino della piccola chiesa che sta sorgendo (cf. 12,32), nasce dalla notte di preghiera di Gesù. Come a dire che la chiamata che fonda la chiesa nasce dalla sua comunione con il Padre fin dentro la notte, cioè dall’obbedienza e dall’amore a lui fino alla morte. Ed è una chiamata alla tessa comunione, fine di ogni apostolato.
Xavier Lèon-Dufour (Apostoli Dizionario di Teologia Biblica): Nel NT numerose persone ricevono il titolo di apostolo: i dodici discepoli, scelti da Gesù per fondare la sua Chiesa (Mt 10, 2; Apoc 21, 14), e così pure Paolo, apostolo delle nazioni per eccellenza ( Rom 11, 13), son ben conosciuti. Ma, secondo l’uso antico di Paolo, Silvano, Timoteo (1 Tess 2, 7) e Barnaba (1 Cor 9, 6) portano lo stesso titolo di Paolo; a fianco di Pietro e dei Dodici, ecco «Giacomo e gli Apostoli» (1 Cor 15, 5 ss; cfr. Gal 1, 19), per non parlare del carisma dell’apostolato (1 Cor 12, 28; Ef 4, 11), né dei «falsi apostoli» e degli «arciapostoli» che Paolo denuncia (2 Cor 11, 5. 13; 12, 11). Un uso così esteso di questo titolo solleva un problema: quale rapporto c’è tra questi diversi «apostoli»? Per risolverlo, in mancanza di una definizione neotestamentaria dell’apostolato che convenga a tutti, bisogna collocare al loro posto le diverse persone che portano questo titolo, dopo aver raccolto le indicazioni concernenti il termine e la funzione non specificatamente cristiana. Il sostantivo apòstolos è ignoto al greco letterario (salvo Erodoto e Giuseppe che sembrano riflettere la lingua popolare), ma il verbo da cui deriva (apostello), «inviare», ne esprime bene il contenuto, che è precisato dalle analogie del VT e dagli usi giudaici. Il VT conosce l’uso degli ambasciatori che devono essere rispettati come il re che li manda (2 Sam 10); i profeti esercitano missioni dello stesso ordine ( cfr. Is 6, 8; Ger 1, 7; Is 61, 1 ss), benché non ricevano mai il titolo di apostolo. Ma il giudaismo rabbinico, dopo il 70, conosce l’istituzione di inviati speciali (šelîhîm), il cui uso sembra molto anteriore, secondo i testi stessi del NT. Paolo «domanda lettere per le sinagoghe di Damasco» al fine di perseguitare i fedeli di Gesù (Atti 9, 2 par.): è un delegato ufficiale munito di lettere ufficiali (cfr. Atti 28, 21 s). La Chiesa eredita questo uso quando, da Antiochia e da Gerusalemme, manda Barnaba e Sila con le loro lettere (Atti 15, 22), oppure fa di Barnaba e Paolo i suoi delegati (Atti 11, 30; 13, 3; 14, 26; 15, 2); Paolo stesso manda due fratelli che sono gli apòstoloi delle Chiese (2 Cor 8, 23). Secondo la frase di Gesù, che ha degli antecedenti nella letteratura giudaica, l’apostolo rappresenta colui che lo manda: «Il servo non è maggiore del suo padrone, né l’apòstolos maggiore di colui che l’ha mandato» (Gv 13, 16). Così, a giudicare dall’uso dell’epoca, l’apostolo non è in primo luogo un missionario, od un uomo dello spirito, e neppure un testimone: è un emissario, un delegato, un plenipotenziario, un ambasciatore.
DODICI E L’APOSTOLATO - Prima di dar diritto ad un titolo, l’apostolato fu una funzione. Di fatto soltanto al termine di una lenta evoluzione alla cerchia ristretta dei Dodici fu attribuito in modo privilegiato il titolo di apostolo (Mt 10, 2), messo poi, in epoca tarda, sulle labbra di Gesù (Lc 6, 13). Ma se questo titolo di onore non appartiene che ai Dodici, si vede pure che altri esercitano con essi una funzione che può essere qualificata come «apostolica».
1. I dodici apostoli. – Fin dall’inizio della sua vita pubblica Gesù volle moltiplicare la sua presenza e diffondere il suo messaggio per mezzo di uomini che fossero altri se stesso. Chiama i quattro primi discepoli perchè siano pescatori d’uomini (Mt 4, 18-22 par.); ne sceglie dodici perché siano «con lui» e perché, come lui, annuncino il vangelo e scaccino i demoni ( Mc 3, 14 par. ); li manda in missione a parlare in suo nome (Mc 6, 6-13 par.), muniti della sua autorità: «Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato» (Mt 10, 40 par.); sono incaricati di distribuire i pani moltiplicati nel deserto (Mt 14, 19 par), ricevono un’autorità speciale sulla comunità che devono dirigere (Mt 16, 18; 18, 18). In una parola, essi costituiscono i fondamenti del nuovo Israele, di cui saranno i giudici nell’ultimo giorno (Mt 19, 28 par.); ed è questo che il numero 12 del collegio apostolico simboleggia. Ad essi il risorto, sempre presente con essi sino alla fine dei secoli, dà l’incarico di ammaestrare e di battezzare tutte le nazioni (Mt 28, 18 ss). L’elezione di un dodicesimo apostolo in sostituzione di Giuda appare quindi indispensabile perchè la figura del nuovo Israele si ritrovi nella Chiesa nascente (Atti 1, 15-26). Essi dovranno essere i *testimoni di Cristo, cioè attestare che il Cristo risorto è quel medesimo Gesù con il quale sono vissuti (1, 8. 21); testimonianza unica che conferisce al loro apostolato (inteso qui nel senso più stretto del termine) un carattere unico. I Dodici sono per sempre il fondamento della Chiesa: «Il muro della città poggia su dodici basamenti che portano ciascuno il nome di uno dei dodici apostoli dell’ agnello» ( Apoc 21, 14).
2. L’apostolato della Chiesa nascente. – Se i Dodici sono gli apostoli per eccellenza, nel senso che la Chiesa è «apostolica», l’apostolato della Chiesa, inteso in un senso più largo, non si limita tuttavia all’azione dei Dodici. Come Gesù, «apòstolos di Dio» (Ebr 3, 1), ha voluto istituire un collegio privilegiato che moltiplichi la sua presenza e la sua parola così i Dodici comunicano ad altri non già il privilegio intrasmissibile che li costituisce per sempre corpo dei testimoni del risorto, bensì l’esercizio della loro missione apostolica. Già nel VT Mosè aveva trasmesso a Giosuè la pienezza dei suoi poteri (Num 27, 18), ed anche Gesù ha voluto che l’ufficio pastorale affidato ai Dodici continui attraverso i secoli: pur conservando un legame speciale con essi, la sua presenza di risorto trascenderà infinitamente la loro cerchia ristretta. Del resto, già nella sua vita supplica, Gesù stesso ha aperto la via a questa estensione della missione apostolica. Accanto alla tradizione prevalente che raccontava la missione dei Dodici, Luca ha conservato un’altra tradizione, secondo la quale Gesù «designò ancora 72 altri [discepoli] e li mandò davanti a sé» (Lc 10, 1). Stesso oggetto di missione che per i Dodici, stesso carattere ufficiale: «Chi ascolta voi, ascolta me, chi rigetta voi rigetta me, e chi rigetta me, rigetta colui che mi ha mandato» (Lc 10, 16; cfr. Mt. 10, 40 par.). Nel pensiero di Gesù la missione apostolica non è quindi limitata a quella dei Dodici. I Dodici stessi agiscono in questo spirito. Al momento della scelta di Mattia essi sanno che un buon numero di discepoli possono soddisfare alle condizioni necessarie ( Atti 1, 21 ss): Dio non designa propriamente un apostolo della stessa fama di Paolo (14, 4. 14); e se i Sette non sono chiamati apostoli (6, 1-6), possono tuttavia fondare una nuova Chiesa: così Filippo in Samaria, quantunque i suoi poteri siano limitati da quelli dei Dodici (8, 14-25). L’apostolato, rappresentante ufficiale del risorto nella Chiesa, rimane per sempre fondato sul collegio «apostolico» dei Dodici, ma viene esercitato da tutti gli uomini ai quali questi conferiscono autorità.
Ambrogio (In Lucam, V, 41) - … salì sul monte …: sale il monte chi cerca Dio, sale sulla cima chi implora, per la sua ascesa, l’aiuto di Dio. Tutte le anime grandi, tutte le anime levate raggiungono la vetta… Non coi passi del tuo corpo, ma con le tue azioni levate sali questa montagna. Segui Gesù, in modo che tu stesso possa divenire un monte.
Il Santo del Giorno - 28 Ottobre 2025- Santi Simone e Giuda, Apostoli - Il cuore che sa amare è aperto alla vita di Dio: Il cuore che sa amare è pronto a riconoscere lo sguardo di Dio e ad ascoltare la sua voce, per questo chi vive nell’amore non teme nulla, perché percepisce l’abbraccio dell’Infinito. È questo il senso della risposta che Gesù dà alla domanda dell’apostolo Giuda Taddeo (o Giuda di Giacomo): “Perché ti sei manifestato a noi e non al mondo?”. Chiunque ami, nota il maestro, è pronto ad accogliere Dio. La Chiesa oggi celebra questo apostolo assieme a Simone, che era di Cana ed era soprannominato “lo zelota”, probabilmente perché aveva militato tra le fila del movimento che sognava una rivolta violenta contro i Romani per cambiare la storia. Sia Giuda (il cui soprannome Taddeo significa “magnanimo”) che Simone per la tradizione morirono martiri, il segno più grande di un amore al quale hanno offerto la propria vita fino alla fine. (Autore Matteo Liut)
O Signore, che ci hai accolti alla tua mensa
nel ricordo della passione dei santi apostoli Simone e Giuda,
per il tuo Spirito operante in questi misteri
confermaci sempre nel tuo amore.
Per Cristo nostro Signore.