29 Ottobre 2025
 
Mercoledì XXX Settimana T. O.
 
Rm 8,26-30; Salmo Responsoriale dal Salmo 12 (13); Lc 6,12-19
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
accresci in noi la fede, la speranza e la carità,
e perché possiamo ottenere ciò che prometti,
fa’ che amiamo ciò che comandi.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica 2736 Siamo convinti che «nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare» (Rm 8,26)? Chiediamo a Dio «i beni convenienti»? Il Padre nostro sa di quali cose abbiamo bisogno, prima che gliele chiediamo, ma aspetta la nostra domanda perché la dignità dei suoi figli sta nella loro libertà. Pertanto è necessario pregare con il suo Spirito di libertà, per poter veramente conoscere il suo desiderio.
2737 « Non avete perché non chiedete; chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri » (Gc 4,2-3). 200 Se noi chiediamo con un cuore diviso, « adultero », 201 Dio non ci può esaudire, perché egli vuole il nostro bene, la nostra vita. « O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: "Fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi"? » (Gc 4,5). Il nostro Dio è « geloso » di noi, e questo è il segno della verità del suo amore. Entriamo nel desiderio del suo Spirito e saremo esauditi.
 
Prima Lettura - Giuliano Vigini (Il Nuovo Testamento): 8,26-27 Questo è l’unico brano di Paolo in cui si presenta l’intercessione dello Spirito Santo. Come Cristo intercede nei cieli, così lo Spirito intercede per i credenti nelle difficoltà della vita terrena. Egli viene in soccorso alla loro debolezza e, in particolare, alla loro incapacità di pregare e perfino di sapere che cosa chiedere a Dio nella preghiera nell’ora della prova e della sofferenza.
8,26 L’azione di intercessione dello Spirito avviene “con gemiti inesprimibili”: espressione spesso considerata un’allusione al canto in lingue dei fedeli (cfr. 1 Cor 12-14), e che, come 8,23 (“gemiamo interiormente”), si riferirebbe alla preghiera in lingue praticata dai corinzi. E più probabile, invece, che essa sia da intendere come supplica dello Spirito che Dio solo può percepire e comprendere, mentre resta “muta” (alalétos, senza parole) per l’uomo, andando al di là di ogni sua capacità di comprensione.
8,27 “Colui che scruta i cuori” è Dio (cfr., ad es., 1Sam 16,7; 1Re 8,39; Sal 7,10; 139,23).
8,29 Quelli che “da sempre ha conosciuto” sono coloro che Dio ha prescelto prima ancora che il mondo fosse (cfr. Ef 1,4), perché riproducessero in sé l’immagine di Cristo, partecipando alla sua risurrezione (cfr. 8,17; 2 Cor 3,18; 4,4-6; Fil 3,20-21).
 
Vangelo
Verranno da oriente a occidente e siederanno a mensa nel regno di Dio.
 
Oggi la liturgia presenta un aspetto fondamentale della salvezza già compiuta in Cristo Gesù, mette in evidenza due temi molto cari al mondo biblico. Da una parte, il Signore Dio apre la porta del suo regno a tutti gli uomini e dall’altra essa si presenta “stretta”, sottintendendo in questo modo il grande impegno necessario per entravi, così come è sottolineato dalla seconda lettura e dalla parte centrale del vangelo. Tutto è grazia, ma il dono esige l’operosa collaborazione dell’uomo.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,22-30
 
In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. 
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».
 
Parola del Signore.
 
Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno L’opera evangelizzatrice di Gesù non conosce riposo. Egli è in cammino alla volta di Gerusalemme, il centro geografico verso cui tende tutta la storia della salvezza: nell’opera lucana, la Città santa è il punto di arrivo dell’itinerario di Gesù (Cf. Lc 9,51; 13,22.33; 17,11; 19,11.28) ed anche il punto di partenza della predicazione del vangelo nel mondo (Atti 1-2).
La domanda del tale era una questione molto dibattuta anche nelle scuole rabbiniche. Gesù non risponde a questa domanda, certamente oziosa e capziosa, e si limita a mettere l’interlocutore in guardia da simili considerazioni che non portano a nulla di concreto. Importante invece è sforzarsi di entrare per la porta stretta.
Più che sforzo il testo greco ha lotta: come dire che tutta la vita cristiana è milizia. La «lotta [agon] accentua l’impegno cosciente delle proprie forze per raggiungere una meta [...]. Il lavoro dell’apostolo non è solamente un adempimento fedele del dovere, ma un agon, collegato a pesi e strapazzi [Col 1,29; lTm 4,10]. Si tratta della meta ultima e immutabile, la sola che valga: [...] il premio della vittoria, che il cristiano sarà in grado di raggiungere solo se si impegna, talvolta con il sacrificio di tutta la vita e mediante la comunione con le sofferenze di Cristo [Cf. Fil 3,15]» (A. Ringward).
All’anonimo interlocutore, Gesù sta dicendo, con estrema chiarezza, che per entrare nel regno di Dio non è solo richiesto il massimo impegno, ma anche la massima rinuncia. Qui siamo molto lontano da quel Vangelo edulcorato, infantile, dove tutto si poggia su un preteso buonismo di Dio che perdona tutti e tutto. Per salvarsi non basterà aver mangiato e bevuto in sua presenza, non sarà sufficiente aver avuto l’onore di averlo ospitato come maestro nelle nostre piazze, non serviranno nemmeno i legami di razza, essere figli di Abramo non servirà a nulla per evitare l’esclusione meritata da una condotta iniqua (Cf. Lc 3,7-9; Gv 8,33s).
Quando il padrone di casa si alzerà ... Il padrone di casa è Cristo Gesù, il quale «chiude la porta alla morte di ogni peccatore, il cui tempo per accumulare meriti è ormai finito, poiché la penitenza dopo la morte è infruttuosa. Per questo Egli dirà ai peccatori: Non vi conosco!» (Nicola di Lira, Postilla super Lucam, XIII).
In Luca, gli operatori di ingiustizia non sono i falsi profeti e guaritori come in Mt 7,21-23, ma i Giudei increduli e i pagani convertiti che non fanno la volontà del Padre.
Gli esclusi, quei Giudei che ritenevano di essere giusti davanti agli uomini (Lc 16,15), piangeranno come disperati e saranno in preda del risentimento e della rabbia quando vedranno i pagani sedere a mensa nel regno di Dio.
Verranno da oriente e da occidente ... Quanto sognato dai profeti, cioè il raduno di tutte le genti nell’unico ovile di Cristo (Cf. Is 2,2-5; 25,6-8; 60,1ss; 66,18-21; Gv 10,16), «incomincia a realizzarsi fin d’ora, nel ministero pubblico di Gesù [Cf. Lc 14,21.23,26; 15,32; 16,9], e troverà più pieno compimento nel ministero apostolico [Cf. Atti degli Apostoli]» (Carlo Ghidelli).
In questo modo e con queste immagini (pianto e stridore di denti ... siederanno a mensa), Gesù proclama ai Giudei, che ritenevano di essere i primi e gli unici destinatari delle promesse messianiche fatte ai profeti, l’universalità della salvezza. L’unica condizione che viene chiesta è la libera e gioiosa risposta alla chiamata misericordiosa di Dio.
Alla fine, sarebbe facile metterci noi cristiani al posto dei Giudei e credere, come lo credeva Israele, che le porte ormai sono per sempre spalancate per tutti. Chi dà per scontata la propria salvezza è un illuso e un povero stolto: non «ci sarà neanche salvezza automatica per i cristiani che rimanderanno al domani la riforma, sempre da riprendere, del loro comportamento. La porta è stretta per tutti: quelli che commettono il male non potranno appellarsi alla loro familiarità superficiale con il Cristo per farsi aprire, quando la porta sarà chiusa» (H. Cousin).
 
Penitenza e opzione fondamentale - Maria Ignazia Danieli (Penitenza in Schede Bibliche Pastorali): Nella odierna civiltà «del benessere», ma anche all’epoca dei grandi profeti biblici, la parola penitenza suona dissueta e lontana. L’aver sottolineato poi a tante riprese, e giustamente, che i termini con cui la bibbia parla di penitenza vogliono sostanzialmente dire «convertirsi; tornare indietro; tornare all’origine della salvezza, cioè al Signore», ha portato oggi a considerare quasi esclusivamente l’aspetto della penitenza come atteggiamento interiore dell’uomo, trasmutazione del suo essere desideroso di ricongiungersi a Dio da cui lo distoglie il peccato.
È certo che quel che conta davanti a Dio è l’orientamento fondamentale della vita. Poiché non siamo noi che scegliamo Dio, ma è lui che ci ha scelti; non siamo noi che lo amiamo per primi, ma è lui che ci ha amati (Gv. 15,16; 1Gv. 4,10; Rom. 5,8), Gesù può chiederci dove poniamo il punto di convergenza della nostra vita, quale è la intensità della nostra risposta al suo dono infinito. La vita conosce solo due possibili dimensioni, che la rivelazione cristiana rende irrefutabili e consapevoli: l’amore di Dio fino al disprezzo di sé (caritas) o l’amore di sé fino al disprezzo di Dio (cupiditas); sono i due amori dai quali, secondo Agostino, si generano le due città, celeste e terrena, mischiate nel crogiuolo del mondo fino a che la forza purificante del fuoco divino avrà tutto assunto e bruciato in sé.
La verità del nostro guardare a Dio, del nostro essere rivolti a lui, della nostra penitenza, consiste nell’aver gettato nella fornace divina il nostro cuore, il nostro pensiero, la nostra volontà (Dt. 6,4ss).
La conversione non si dà senza la rinuncia radicale a se stessi e la opzione fondamentale di vivere di Dio e per Dio (Dt. 30,14-20; Mc. 8,34-35). La opzione interiore necessariamente si traduce in atti esteriori. Ricor­diamo la parola di Gesù nel discorso della montagna: «Se dunque stai offrendo il tuo dono all’altare e lì ti ricordi che il fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e prima va’, riconciliati con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt. 5,23-24).
Per essere di Cristo e, nel Cristo, di Dio, è necessario fare dei gesti esterni, riconciliarsi, qualunque nube di divisione ci fosse tra noi e i fratelli, nella forza della parola del Signore. Siamo tutti un popolo di riconciliati (Cf. Rom. 5,10-11): la parola del vangelo ci dice che bisogna mettersi in sintonia con la grande onda di unità che Gesù è venuto a portare a tutta la creazione: questo il senso della incarnazione e della redenzione. Quando parliamo della riconcilia­zione - che è poi uno dei gesti più veri e significativi della nostra penitenza - sappiamo bene che basta un piccolo gesto per ritrovarsi nell’unico essere, nella verità: ogni faziosità non è solo errore morale, ma una frantumazione dell’essere, una rottura della verità. Per questo abbiamo il dovere di praticare un abito di unità e di mortificazione che esprima il nostro desiderio di dilatazione, la nostra sete di Dio. Tutto questo non avviene senza sforzo, senza penitenza: è stato detto che si va verso una via di spoliazione e di secolarizzazione; ma queste forme che si svuotano di esteriorismi vanno riempite di contenuti. Sempre più si parla di una vita da «cristiano indistinto»; ma se questa è un’esigenza vera, va compiuta ripudiando ciò che è sbagliato ed egoistico, ecco la croce, il sacrificio, la mortificazione: «Non avete ancora resistito fino  al sangue nella lotta  contro  il peccato» (Ebr. 12,4).
Questa frase della lettera agli Ebrei dice il senso cristiano della penitenza che, così intesa, diventa la nostra massima contestazione e insieme il vertice della nostra unità col mondo. Certo la mortificazione non vale nulla senza l’amore, ma al vero amore non si arriva senza mortificazione; e senza mortificazione non si arriva a quella preghiera umile che fa perdere il proprio io nell’Io divino, conforme all’operazione del Signore che è Spirito (Cf. 2Cor. 3,18).                                                                                                                                                                                                     
Lumen gentium 14: Il santo Concilio si rivolge quindi prima di tutto ai fedeli cattolici. Esso, basandosi sulla sacra Scrittura e sulla tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza. Solo il Cristo, infatti, presente in mezzo a noi nel suo corpo che è la Chiesa, è il mediatore e la via della salvezza; ora egli stesso, inculcando espressamente la necessità della fede e del battesimo (cfr. Gv 3,5), ha nello stesso tempo confermato la necessità della Chiesa, nella quale gli uomini entrano per il battesimo come per una porta. Perciò non possono salvarsi quegli uomini, i quali, pur non ignorando che la Chiesa cattolica è stata fondata da Dio per mezzo di Gesù Cristo come necessaria, non vorranno entrare in essa o in essa perseverare. Sono pienamente incorporati nella società della Chiesa quelli che, avendo lo Spirito di Cristo, accettano integralmente la sua organizzazione e tutti i mezzi di salvezza in essa istituiti, e che inoltre, grazie ai legami costituiti dalla professione di fede, dai sacramenti, dal governo ecclesiastico e dalla comunione, sono uniti, nell’assemblea visibile della Chiesa, con il Cristo che la dirige mediante il sommo Pontefice e i vescovi. Non si salva, però, anche se incorporato alla Chiesa, colui che, non perseverando nella carità, rimane sì in seno alla Chiesa col «corpo», ma non col «cuore». Si ricordino bene tutti i figli della Chiesa che la loro privilegiata condizione non va ascritta ai loro meriti, ma ad una speciale grazia di Cristo; per cui, se non vi corrispondono col pensiero, con le parole e con le opere, non solo non si salveranno, ma anzi saranno più severamente giudicati.
 
Il numero di quelli che si salvano - Agostino: Certo son pochi quelli che si salvano. Ricordate la domanda fatta nel Vangelo: “Signore, son pochi quelli che si salvano?” (Lc 13,21). E che cosa risponde il Signore? Non dice: Non sono pochi; né sono molti, ma: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta (ibid.)”. Allora, ha confermato che son pochi, perché solo pochi possono entrare, se la porta è stretta. In altra circostanza, dice anche: “È stretta la via che porta alla vita e pochi ci si mettono; è larga e spaziosa invece la via che porta alla morte, e molti la prendono” (Mt 7,13-14). Come facciamo a sognar moltitudini? Sentitemi, voi pochi. Siete molti a sentire, ma pochi a darmi ascolto. Vedo un’aia, ma cerco il grano. A stento si vedono i chicchi di grano, quando si batte il grano; ma verrà la ventilazione. Son pochi, allora, quelli che si salvano, se si pensa ai molti che si dannano; ma i pochi sono una gran massa. Quando verrà il ventilatore col ventilabro in mano, pulirà l’aia; raccoglierà il grano nei suoi granai; la pula la brucerà in un fuoco inestinguibile (cf. Lc 3,17). La pula non si permetta di irridere il grano: quello che si dice è vero, non trae nessuno in inganno. Siate pure molti tra molti, ma al confronto con altri molti sembrate pochi. Da quest’aia uscirà una massa così grande da riempire il regno dei cieli. Cristo Signore non si può contraddire. Disse che son pochi quelli che entrano per la porta stretta e che molti si perdono per la via larga, e disse anche: “Molti verranno da Oriente e Occidente” (Mt 8,11). Molti, certamente pochi: e pochi, e molti. Vorrà dire alcuni pochi e alcuni molti? No. Proprio quei pochi sono i molti; pochi in confronto di quelli che si perdono, ma tanti, se riferiti alla moltitudine degli Angeli. Sentite, carissimi. L’Apocalisse dice: “Poi vidi gente d’ogni lingua e stirpe e razza, che veniva con palme e in vesti bianche, ed era una moltitudine innumerevole” (Ap 7,9). Questa è la massa dei santi. Con quanto più chiara voce l’aia ventilata, purgata dalla turba degli empi e falsi cristiani, separati quelli che fanno ressa ma non toccano il corpo di Cristo; allontanati, dunque, quelli che si dannano, la massa che sta alla destra, senza timore di alcun male, senza timore di perdere alcun bene, sicura di regnare con Cristo, con quanta fiducia dirà: “So bene quanto è grande il Signore” (Sal 134,5).
 
Il Santo del giorno - 29 Ottobre 2025 - San Narciso: Aveva quasi cent’anni quando venne eletto 30° vescovo di Gerusalemme. Era nato nel 96 da famiglia non israelita. Nonostante l’età, governò a lungo e con fermezza. Presiedette il Concilio in cui si decise che la Pasqua dovesse cadere di domenica. E a lui si attribuisce, proprio nel giorno di Pasqua, il miracolo di aver mutato l’acqua in olio per le lampade della sua chiesa, rimaste a secco. Per il suo rigore furono sparse calunnie sul suo conto. Si allontanò da Gerusalemme e, creduto morto, vennero eletti uno dopo l’altro due successori. Ma lui, alla morte del secondo, ricomparve. L’ultima notizia su di lui è in una lettera del coadiutore sant’Alessandro: si dice che aveva compiuto 116 anni. (Avvenire)
 
Si compia in noi, o Signore,
la realtà significata dai tuoi sacramenti,
perché otteniamo in pienezza
ciò che ora celebriamo nel mistero.
Per Cristo nostro Signore.