25 OTTOBRE 2025
SABATO DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
Rm 8,1-11; Salmo Responsoriale Dal Salmo 23 (24); Lc 13,1-9
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
donaci di orientare sempre a te la nostra volontà
e di servirti con cuore sincero.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Angelus, 7 Marzo 2010): Nel brano del Vangelo odierno, Gesù viene interpellato circa alcuni fatti luttuosi: l’uccisione, all’interno del tempio, di alcuni Galilei per ordine di Ponzio Pilato e il crollo di una torre su alcuni passanti (cfr. Lc 13,1-5). Di fronte alla facile conclusione di considerare il male come effetto della punizione divina, Gesù restituisce la vera immagine di Dio, che è buono e non può volere il male, e mettendo in guardia dal pensare che le sventure siano l’effetto immediato delle colpe personali di chi le subisce, afferma: “Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo” (Lc 13,2-3). Gesù invita a fare una lettura diversa di quei fatti, collocandoli nella prospettiva della conversione: le sventure, gli eventi luttuosi, non devono suscitare in noi curiosità o ricerca di presunti colpevoli, ma devono rappresentare occasioni per riflettere, per vincere l’illusione di poter vivere senza Dio, e per rafforzare, con l’aiuto del Signore, l’impegno di cambiare la vita. Di fronte al peccato, Dio si rivela pieno di misericordia e non manca di richiamare i peccatori ad evitare il male, a crescere nel suo amore e ad aiutare concretamente il prossimo in necessità, per vivere la gioia della grazia e non andare incontro alla morte eterna. Ma la possibilità di conversione esige che impariamo a leggere i fatti della vita nella prospettiva della fede, animati cioè dal santo timore di Dio. In presenza di sofferenze e lutti, vera saggezza è lasciarsi interpellare dalla precarietà dell’esistenza e leggere la storia umana con gli occhi di Dio, il quale, volendo sempre e solo il bene dei suoi figli, per un disegno imperscrutabile del suo amore, talora permette che siano provati dal dolore per condurli a un bene più grande.
(Omelia 7 Marzo 2010): La conclusione del brano evangelico riprende la prospettiva della misericordia, mostrando la necessità e l’urgenza del ritorno a Dio, di rinnovare la vita secondo Dio. Riferendosi ad un uso del suo tempo, Gesù presenta la parabola di un fico piantato in una vigna; questo fico, però, risulta sterile, non dà frutti (cfr Lc 13,6-9).
Il dialogo che si sviluppa tra il padrone e il vignaiolo, manifesta, da una parte, la misericordia di Dio, che ha pazienza e lascia all’uomo, a tutti noi, un tempo per la conversione; e, dall’altra, la necessità di avviare subito il cambiamento interiore ed esteriore della vita per non perdere le occasioni che la misericordia di Dio ci offre per superare la nostra pigrizia spirituale e corrispondere all’amore di Dio con il nostro amore filiale.
Prima Lettura - La Bibbia di Navarra Rm 8,1-13: La situazione dell’uomo dopo il peccato originale è caratterizzata da due poli di attrazione: o cerca Dio al di sopra di tutte le cose e lotta, con la grazia di Dio, contro le inclinazioni della propria concupiscenza; oppure si lascia vincere e guidare dalle passioni disordinate della carne. Il primo modo di comportarsi è la vita secondo lo spirito; il secondo, la vita secondo la carne. «Sulla terra sono possibili solo due modi di vivere: o si vive vita soprannaturale o vita animale» (Amici di Dio, n. 200).
La grazia santificante è la radice della vita «secondo lo Spirito» di cui parla l’Apostolo in questo passo. Non si tratta semplicemente di essere in grazia, né si riduce ad alcune pratiche di pietà. La vita secondo lo spirito - vita spirituale o soprannaturale - è un vivere secondo Dio, che informa tutta la condotta del cristiano: i pensieri, le aspirazioni, i desideri e le opere si conformano a ciò che il Signore gli chiede in ogni momento e si realizzano per impulso dello Spirito Santo.
La fonte da cui scaturisce la vita «secondo la carne», è invece la triplice concupiscenza, conseguenza del peccato originale: «Tutto quello che è nel mondo, la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi e la superbia della vita non viene dal Padre, ma dal mondo» (1Gv 2,16). Nella vita presente non è possibile estirpare del tutto questa radice, che ininterrottamente produce nuovi germogli. Il cristiano è stato liberato dal peccato originale per mezzo del battesimo (cap. 6) e dalla sottomissione ai precetti cerimoniali della Legge mosaica con la venuta di Cristo (cap. 7); ma questo nemico della nostra vita in Gesù Cristo - quale è la concupiscenza della carne - rimane attivo anche dopo aver ricevuto il battesimo e dopo che già siamo sotto la legge dello Spirito. «E necessario sottomettersi allo spirito, donarci di cuore e sforzarci per mantenere la carne al posto che le compete. In tal modo la nostra carne diventerà spirituale. Diversamente, se cediamo alla vita comoda, quest’ultima degraderà la nostra anima al livello della carne e la farà divenire carnale» (Omelie sulla Lettera ai Romani, 13).
Vangelo
Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
Non sempre è da cercare un nesso diretto tra colpa e morte, tra peccato e infortunio, questo è l’insegnamento di Gesù. Tali fatti di violenza sono invece chiari appelli alla conversione, perché ciò che conta è non andare incontro ad una morte ancora più terribile, quella che porta all’eterna separazione da Dio.
La parabola del fico sterile è un chiaro riferimento alla pazienza di Dio, ma potrebbe alludere al ritardo del giudizio finale di Dio e all’importanza di prepararvisi.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 13,1-9
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Parola del Signore.
Perché deve sfruttare il terreno? - In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei... Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?». Nella riflessione biblica il tema della retribuzione ha fatto un lungo cammino, che ha portato a graduali e interessanti scoperte.
Dalla concezione di una retribuzione terrena collettiva, il popolo è responsabile in solido delle proprie azioni (il bene degli uni ricade sugli altri e così il male, i meriti e le colpe dei padri si riversano sui figli), gradualmente si arriva a una nozione di retribuzione individuale. In questa ultima riflessione, ancora imperfetta, la retribuzione che Dio dà all’uomo, è concepita come temporale; si chiude cioè nell’arco della vita terrena. Dio infatti premia o punisce con cose facilmente controllabili: ricchezza, fecondità della sposa, rispetto e amicizia dei vicini ai buoni; mancanza di prole, malattia, povertà agli empi.
Una novità interessante, ma inficiata dalla esperienza quotidiana: infatti, spesso molti empi prosperano, molti giusti soffrono. Sarà il libro della Sapienza, e soprattutto il Nuovo Testamento, a dare una risposta a questo problema: la retribuzione è spostata nella vita ultraterrena. Si chiude così il ciclo. Ma rimane sempre sottinteso che la ricompensa «che Dio dà all’uomo è un puro dono che l’uomo non può mai meritare completamente. Il rischio del fariseismo è continuamente presente. L’uomo ha sempre la tentazione di misurare la retribuzione divina sul metro delle opere che compie. L’esempio classico lo incontriamo nella parabola del fariseo e del pubblicano [Lc 18,9ss.]. Il fariseo, che pretendeva la sua giustificazione da Dio ostentando le sue opere buone, viene da [Gesù] riprovato. L’uomo non può ricevere la salvezza dalle sue opere, perché è nel peccato. La salvezza la dà solo Dio [Rm 3,23-26]» (Giuseppe Manni).
Sulla carneficina perpetrata da Pilato e sui fatti della Torre di Siloe e sulla questione della retribuzione, Gesù non assume alcuna posizione e non dà un giudizio né sui mandanti, né sulle vittime, sposta soltanto il problema: «No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
In questo modo, Gesù invita gli interlocutori a cambiare vita: invece di investigare è meglio convertirsi perché alla fine si potrebbe condividere la sorte di quei malcapitati morti sotto il ferro romano e sotto le pietre di una torre diruta. Anche due fatti di cronaca possono celare segni ammonitori, quindi, più che dare un giudizio sulla vita degli altri è meglio guardare alla propria condotta, sopra tutto se essa è in sintonia con la volontà di Dio. L’accento va quindi spostato sull’urgenza della conversione. E a questo proposito narra la parabola dell’albero di fichi che un tale aveva piantato nella sua vigna.
L’immagine del fico infruttuoso era abbastanza nota e ricorreva spesso nella predicazione profetica quando si voleva denunciare l’infedeltà del popolo di Dio (Cf. Ger 8,13; Mi 7,1; Os 9,16). Nel brano lucano però si fa cenno anche alla vigna e potrebbe alludere alla pazienza di Dio (Cf. Is 5,1-7). Due rimandi non casuali e con i quali si vogliono sfatare due equivoci: «quello di chi pensa che ormai è troppo tardi e che la pazienza di Dio si è logorata nell’attesa, e quello di chi pensa che c’è sempre tempo e che la pazienza di Dio è senza limiti. La risposta è un’altra: Dio è certamente paziente, ma noi non possiamo programmare o fissare scadenze alla sua pazienza» (C. Ghidelli).
Mentre nel Vangelo di Matteo il fico infruttuoso viene maledetto da Gesù (Cf. Mt 21,19ss.), qui, nel racconto lucano la parabola è interrotta prima della fine, per cui non si conosce la sorte del fico sterile. Forse si vuole alludere a una futura conversione d’Israele. Per Gesù c’è ancora spazio per il ritorno d’Israele: «Non voglio infatti che ignoriate, fratelli, questo mistero, perché non siate presuntuosi: l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato» (Rm 11,25-26).
Xavier Léon-Dufour: L’opposizione tra carne e spirito corrisponde soltanto apparentemente a quella che i Greci ponevano tra anima e corpo, tra purità ed impurità. In effetti, essa si ispira direttamente all’opposizione semitica tra terrestre e celeste, ma è trasformata da una duplice esperienza: quella dello Spirito Santo che è dato ai cristiani e quella del peccato a cui la carne ci ha trascinati.
a) La lotta tra carne e spirito - La scoperta dell’antitesi letteraria che caratterizza questa lotta avviene in due tappe, segnate dalle lettere ai Galati ed ai Romani. I credenti sono figli di Abramo per mezzo di Sara secondo lo spirito e non per mezzo di Agar secondo la carne, dichiara Paolo (Gal 4, 21-31). Il VT ed il NT si distinguono come due periodi antitetici della storia della salvezza, caratterizzati dalla legge e dalla fede. Di qui deriva la distinzione tra due mondi ai quali il credente partecipa: la carne appare come il residuo del peccato che la legge ha moltiplicato, lo spirito come la personificazione di tutto ciò che era buono nel progetto della legge e che fu portato a compimento dal dono dello Spirito. Tra queste due potenze l’antagonismo è irriducibile nel cuore del cristiano (Gal 5, 17): egli può vivere secondo la carne, deve vivere secondo lo spirito, donde il rischio continuo di pervertire una situazione che tuttavia è stabilita dallo Spirito Santo. Nei capitoli 7 ed 8 della lettera ai Romani Paolo mostra come agiscono le due fonti della morte e della vita. Queste due potenze, che abitano successivamente nell’uomo (Rom 7, 17- 20; 8, 9 ss), determinano nel credente, che pur tuttavia ha eliminato il peccato per mezzo di Cristo, un duplice modo di vivere (8, 4-17). La possibilità di vivere secondo la carne è la traccia in noi del peccato, è ciò tramite la carne, in cui un tempo ha dimorato il peccato.
b) La dominazione della carne. - Presa come norma dell’esistenza, la carne detta all’uomo la sua condotta. Acquista una reale autonomia, ereditando la potenza del peccato, con le sue prerogative, con i suoi desideri; rende suoi schiavi coloro che obbediscono alla «legge del peccato» (Rom 7, 25). Con insolenza (Col 2, 23), essa manifesta allora i suoi desideri (Rom 8, 5 ss), le sue concupiscenze (Rom 13, 14; Gal 3, 3; 5, 13. 16 s), produce opere cattive (Gal 5, 19). Questa è l’esistenza secondo la carne (Rom 7, 5), tanto che lo stesso intelletto diviene carnale (Col 2, 18; cfr. 1 Cor 3, 3). E così pure il corpo, che tuttavia, nel caso, è neutrale: dominato dalla carne, esso si chiama «il corpo della carne» (Col 2, 11), si identifica con il «corpo di peccato» (Rom 6, 6), è veramente plasmato dalla «carne di peccato» (Rom 8, 3).
c) Il trionfo di Cristo. - Ma il peccato è stato vinto da Cristo che, prendendo «questo corpo di carne» (Col 1, 22), è divenuto peccato (2 Cor 5, 21); venuto in una carne di condizione peccaminosa, egli ha condannato il peccato nella stessa carne (Rom 8, 3). Ormai il cristiano ha crocifisso, in Cristo, la carne (Gal 5, 24); la lotta che egli conduce (6, 8) non ha un esito fatale, ma è una vittoria assicurata, nella misura in cui, ritrovando la sua condizione autentica di creatura, il credente non confida nella carne, nella sua debolezza, bensì nella forza della morte del Salvatore, fonte dello spirito di vita.
Moderazione nel condannare - Gregorio Nazianzeno (Sermo 32, 30): Non è la stessa cosa strappare uno sterpo o un fiore e uccidere un uomo. Sei immagine di Dio e parli a un’immagine di Dio. Tu che giudichi sarai a tua volta giudicato (Mt 7,1); e giudichi il servo di un altro (Rm 14,4), che è governato da un altro. Esamina bene tuo fratello, come se tu dovessi essere misurato con la stessa misura. Attento a non tagliare e gettar via temerariamente un membro, nell’incertezza, perché le membra sane non abbiano ad averne un detrimento. Riprendi, rimprovera, scongiura. Hai la regola della medicina. Sei discepolo di Cristo mite e benigno, che portò le nostre infermità (Is 53,4). Se incontri una prima resistenza, aspetta con pazienza; alla seconda, non perdere la speranza, c’è ancora tempo per una cura; al terzo scontro cerca d’imitare quel benevolo agricoltore e chiedi al Signore che non sradichi il fico infruttuoso (Lc 13,8), che lo curi, che lo concimi, attraverso la confessione. Forse si cambierà e porterà frutto e accoglierà Gesù che torna da Betania.
Il Santo del Giorno 25 Ottobre 2025 - San Gaudenzio di Brescia: Annunciare il messaggio dirompente di Cristo è missione che appartiene a tutti i battezzati e per alcuni diventa una strada verso la santità. E questa fu la via seguita dall’ottavo vescovo di Brescia, san Gaudenzio, che – quasi “novello Giona” – fu quasi “trascinato” sulla cattedra episcopale della città, dopo la morte di Filastrio, per insistenza dei fedeli e grazie all’intervento di sant’Ambrogio che nel 390 lo ordinò vescovo. Non c’è biografia, ma a noi sono giunti una ventina di sermoni di Gaudenzio, trascritti su richiesta di diverse voci, che sentivano in quelle parole tutta la profondità del Vangelo. Quando venne scelto come vescovo fu persino inviata una delegazione in Terra Santa, dove egli era pellegrino. Esperto della vita dell’Oriente cristiano, nel 406 fu incaricato da papa Innocenzo I di recarsi a Costantinopoli assieme ad altri quattro vescovi. Il patriarca Giovanni Crisostomo, infatti, era stato mandato in esilio per la seconda volta e il Pontefice inviò una delegazione per incontrare l’imperatore Arcadio, promuovere un Concilio e ottenere la libertà per il patriarca. L’impresa fallì, ma Gaudenzio tornò con delle reliquie, che divennero il cuore della basilica da lui chiamata “Concilio dei santi”. Morì tra il 411 e il 412, venendo da subito indicato come santo dai fedeli della comunità bresciana. (Avvenire)
La partecipazione ai doni del cielo, o Signore,
ci ottenga gli aiuti necessari alla vita presente
nella speranza dei beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.