23 OTTOBRE 2025
 
GIOVEDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
 
Rm 6,19-23; Salmo Responsoriale Dal Salmo 1; Lc 12,49-53
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
donaci di orientare sempre a te la nostra volontà
e di servirti con cuore sincero.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Gaudete et Exsultate 14. Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova. Sei una consacrata o un consacrato? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un lavoratore? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro al servizio dei fratelli. Sei genitore o nonna o nonno? Sii santo insegnando con pazienza ai bambini a seguire Gesù. Hai autorità? Sii santo lottando a favore del bene comune e rinunciando ai tuoi interessi personali.
15. Lascia che la grazia del tuo Battesimo fruttifichi in un cammino di santità. Lascia che tutto sia aperto a Dio e a tal fine scegli Lui, scegli Dio sempre di nuovo. Non ti scoraggiare, perché hai la forza dello Spirito Santo affinché sia possibile, e la santità, in fondo, è il frutto dello Spirito Santo nella tua vita (cfr Gal 5,22-23). Quando senti la tentazione di invischiarti nella tua debolezza, alza gli occhi al Crocifisso e digli: “Signore, io sono un poveretto, ma tu puoi compiere il miracolo di rendermi un poco migliore”. Nella Chiesa, santa e composta da peccatori, troverai tutto ciò di cui hai bisogno per crescere verso la santità. Il Signore l’ha colmata di doni con la Parola, i Sacramenti, i santuari, la vita delle comunità, la testimonianza dei santi, e una multiforme bellezza che procede dall’amore del Signore, «come una sposa si adorna di gioielli» (Is 61,10).
16. Questa santità a cui il Signore ti chiama andrà crescendo mediante piccoli gesti. Per esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, incontra una vicina e inizia a parlare, e vengono le critiche. Ma questa donna dice dentro di sé: “No, non parlerò male di nessuno”. Questo è un passo verso la santità. Poi, a casa, suo figlio le chiede di parlare delle sue fantasie e, anche se è stanca, si siede accanto a lui e ascolta con pazienza e affetto. Ecco un’altra offerta che santifica. Quindi sperimenta un momento di angoscia, ma ricorda l’amore della Vergine Maria, prende il rosario e prega con fede. Questa è un’altra via di santità. Poi esce per strada, incontra un povero e si ferma a conversare con lui con affetto. Anche questo è un passo avanti.
 
Prima Lettura - Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): Paolo quasi si scusa di avere adoperato l’immagine troppo umana e pedestre della «schiavitù essa però è la più adatta per far capire ai cristiani che essi non devono più prestare il loro corpo alla tirannia delle passioni ma «giustizia» per realizzare frutti «santificazione»(v. 19). Già basta il tempo di «schiavitù» concesso al «peccato». 
21-23 Né i cristiani abbiano timore o rimpianto a lasciare la vecchia schiavitù; che vantaggio infatti hanno fin qui avuto, o ne potranno avere per l’avvenire? «Vergogna» e «morte», sia temporale che eterna (v. 21). Al contrario, diventando «servi di Dio», essi hanno la più ampia possibilità di compiere opere di santità e meritarsi così la «vita eterna» (v. 22).
Il v. 23 conclude in formula lapidaria l’esito diverso del servizio reso al «peccato» o alla «giustizia». Il peccato viene personificato e presentato come il capo di una soldatesca, a cui esso va distribuendo il meritato «salario»: la «morte». Al contrario, è totalmente «dono di Dio la vita eterna in Cristo Gesù, Signore nostro». Paolo non nega che anche la vita eterna sia un salario, cioè un premio meritato con la fedeltà al proprio servizio; anzi proprio questo pensiero emerge dalla contrapposizione. Ciò non toglie però che essa sia fondamentalmente e sopra-tutto un «dono» di Dio, perché raggiungibile solo inserendoci nel piano della grazia e perché le stesse opere buone che la meritano non sono attuabili se non in unione con Cristo: «Cum Deus coronat merita tua, non coronat nisi sua dona» (S. Agostino).
 
Vangelo
Non sono venuto a portare pace sulla terra, ma divisione.

Gesù è in cammino verso Gerusalemme e parla ai suoi discepoli della sua missione che porterà al mondo pace e salvezza, ma che dovrà passare attraverso il crogiuolo della abnegazione, della rinunzia e della sofferenza. La pace che Gesù dona agli uomini non è pacifismo, ma è un frutto che si può cogliere soltanto sull’albero della croce. Il Vangelo è tutt’altro che comodo: accoglierlo comporta il rinnegamento di sé, la piena vittoria sul peccato e l’esigenza di fedeltà alla parola data a Dio e al suo Cristo. Il battesimo che Gesù deve ricevere è la sua Passione. Egli è angosciato «non per timore della propria morte, ma per il ritardo del compimento della nostra redenzione» (Sant’Ambrogio).
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 12,49-53

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
 
Parola del Signore.
 
Sono venuto a portare il fuoco sulla terra - Il brano si divide distintamente in due parti. Nella prima Gesù parla ai discepoli del significato profondo della sua missione sulla terra; nella seconda si rivolge alla folla biasimandola per l’ostinata incapacità a decidersi nei suoi riguardi con intelligenza e giustizia.
Gesù ‘sale’ verso la Città santa dove l’attendono la morte ignominiosa di croce e la gloria, durante questo tragitto ammaestra e prepara i discepoli al compimento del suo mistero pasquale.
Il fuoco nelle manifestazioni divine «è spesso un segno della presenza di Iahvé e ne rivela la santità sotto il duplice aspetto, attraente e terribile: Iahvé si manifesta all’uomo e gli parla, ma esige santità e purità» (Roberto Tufariello). Invece, il fuoco che Gesù ha portato sulla terra è un po’ più misterioso: può essere il fuoco del giudizio escatologico, che purifica o castiga secondo ci si schiera pro o contro il Cristo.
Potrebbe essere invece il fuoco dello Spirito Santo che discende sui credenti immersi nelle acque salutari del Battesimo: un dono promesso e inviato da Gesù a compimento della sua missione di salvezza (cfr. At 1,5). Un’altra ipotesi potrebbe essere quella del fuoco purificatore della Passione e della morte attraverso il quale Gesù brama di passare per portare a compimento la sua missione di salvezza. In questo modo fuoco e battesimo si saldano in un binomio inscindibile. Infatti, il battesimo che Gesù deve ricevere va inteso nel senso generico del termine battesimo, che in greco significa «immersione». Nella Passione, Gesù sarà come immerso in un mare indicibile di dolori.
Il linguaggio di Gesù ricorda «quello di Giovanni Battista, quando presentava il Messia appunto come colui che avrebbe battezzato i credenti “in Spirito Santo e fuoco” [Gv 3,16]. È tuttavia difficile sapere se in questo caso è al giudizio o allo Spirito che si riferisce il fuoco, per quanto concerne il testo di Luca. Ma un battesimo di nuovo tipo attende il Messia: il martirio. Gesù non ha certo un desiderio di morte; però il martirio non gli fa paura. E gli va incontro, perché la prova che segnerà la fine della sua missione terrena è indispensabile perché possa venire lo Spirito Santo - sotto forma di lingue di fuoco: At 2,3 - e possa continuare il tempo della Chiesa, un tempo di prova per tutti coloro che crederanno in lui» (Hugues Cousin).
La pace che Gesù dona al mondo non è una pace a buon mercato, perché comporta lacerazioni, divisioni, rotture di relazioni con gli amici, con i familiari, anche con i più intimi: «Gesù è un “segno di contraddizione” [Lc 2,34] che, senza volere le discordie, le provoca necessariamente per le esigenze di scelta che richiede» (Bibbia di Gerusalemme).
 
Sono venuto a gettare fuoco - Roberto Tufariello (Fuoco in Schede Bibliche Pastorali Vol. III): Il fuoco è un elemento presente fin dal tempo di Abramo nella storia delle relazioni tra Dio e il suo popolo; esso però «ha soltanto valore di segno, che bisogna superare per trovare Dio». Nelle teofanie, il fuoco è spesso un segno della presenza di Iahvé e ne rivela la santità sotto il suo duplice aspetto, attraente e temibile: Iahvé si manifesta all’uomo e gli parla, ma esige santità e purità.
Nei sacrifici, il fuoco è il segno della benevolenza e dell’amore di Dio, che accetta e gradisce l’offerta della creatura e la sua volontà di purificazione.
Il fuoco è anche il simbolo della collera divina, il fuoco dell’ira che divora gli empi e punisce il popolo eletto, quando si comporta da peccatore impenitente.
Gesù è annunciato da Giovanni Battista come il vagliatore che getta la paglia nel fuoco e come colui che battezza nello Spirito santo e nel fuoco: «Io vi battezzo con l’acqua per farvi convertire; ma colui che viene dopo di me è più potente di me ed io non sono degno neanche di portargli i calzari; lui vi battezzerà con lo Spirito santo e col fuoco. Ha in mano il suo ventilabro e monderà la sua aia, e raccoglierà il suo grano nel granaio e brucerà la pula con un fuoco inestinguibile» (Mt. 3,11-12).
Giovanni, nella sua predicazione, presentava il regno dei cieli, ormai imminente (Mt. 3,1-2), come una discriminazione ed un giudizio che si compiono in base alle opere di ognuno. L’era messianica è un tempo di discriminazione che purifica l’aia, ammassando il grano da una parte e gettando invece la paglia nel fuoco. Il messia dunque è il vagliatore; è il santificatore e, nello stesso tempo, il giudice. Egli inaugura il giorno di Iahvé, che porta la salvezza ai credenti, ma che riserva il fuoco della geenna a chi rifiuta la grazia. Dopo questa attestazione del Battista in suo favore, Gesù riceve il battesimo nel Giordano.
Questo atto dà inizio alla sua azione redentrice, ed è anche un segno precursore della sua passione e morte sulla croce, l’altro battesimo che egli attende di ricevere (Mc. 10,38).
Nel vangelo di Luca, il battesimo di sangue che Gesù deve ricevere è accostato alla sua missione di portare il fuoco sulla terra (Lc. 12,49-50). È questo il solo testo in cui Gesù paragona la sua opera all’azione del fuoco. Il battesimo che egli riceverà sulla croce, accenderà un fuoco nel mondo.
L’offerta sul Calvario, infatti, è la prova del fuoco, in cui la vittima pura viene consumata e diviene purificante per gli uomini, ai quali porta il dono della grazia e della vita nuova. Attraverso il batte-simo di sangue di Gesù, «il fuoco è acceso»; esso diventerà operante per i credenti grazie all’azione dello Spirito. Per questo occorre essere battezzati nello Spirito santo e nel fuoco.
La chiesa ormai vive di questo fuoco che infiamma il mondo grazie al sacrificio di Cristo.
Tale fuoco ardeva nel cuore dei pellegrini di Em-maus, mentre ascoltavano il Maestro risorto: «Ed essi si dissero l’un l’altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?» (Lc. 24,32). È disceso sui discepoli nel giorno della Pentecoste (Atti 2,3), realizzando per essi il battesimo nello Spirito e nel fuoco (cfr. Atti 1,5).
La vita cristiana è anch’essa sotto il segno del fuoco: non più quello del Sinai, ma quello che consuma l’olocausto delle nostre vite in un culto accetto a Dio (Ebr. 12,18.28-29).
Per coloro che hanno accolto il fuoco dello Spirito, la distanza tra l’uomo e Dio è superata da Dio stesso, che si è interiorizzato perfettamente nell’uomo. In questo senso è necessario essere «salati» per mezzo del fuoco, il fuoco del giudizio e quello dello Spirito, attraverso i quali si condanna l’uomo vecchio e si entra a far parte del regno come  fedeli: «Perché ciascuno sarà salato col fuoco. Buona cosa è il sale: ma se il sale diventa insipido, con che cosa gli darete sapore? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace tra voi» (Mc. 9,49-50).
 
Ho un battesimo...: Catechismo degli Adulti 226-227: La consapevolezza di Gesù: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi. L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle. Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.

Ambrogio: In Lucam, VII, 132-133: Fuoco sono venuto a portare sulla terra: non si tratta certo di fuoco che consuma i buoni, ma del fuoco che suscita la buona volontà... Questo fuoco divino divora tutte le cose del mondo accumulate dalla voluttà, brucia le opere effimere della carne... Il Signore medesimo è fuoco, dato che Egli stesso ha detto: lo sono il fuoco che brucia e non si consuma (Es. 3,2; 24,17; Dt. 4,24; Eb. 12,29); il fuoco del Signore è infatti la Luce eterna, ed è a questo fuoco che si accendono le fiaccole delle quali poco prima ha detto: Siate pronti ... con le fiaccole accese in mano (Le. 12,35).
La fiaccola è necessaria, perché i giorni di quest’esistenza sono come notte ... ma il Signore verrà nel fuoco (ls. 66,15-16) per consumare tutte le colpe al momento della resurrezione, ricolmare con la sua presenza i desideri di ciascuno, e proiettare la sua luce sui meriti e sui misteri.
 
Il Santo del Giorno - 23 Ottobre 2025 - San Giovanni da Capestrano - Con il cuore e con le mani nei conflitti per fermarli: Dentro alle guerre per disinnescare la violenza e costruire la pace vera, quella dove a ogni essere umano è riconosciuta la propria dignità. Così i cristiani affrontano i conflitti, accompagnati da un Dio che è entrato nella morte vincendone l’oscurità. Questo fu lo stile di san Giovanni da Capestrano che visse il proprio ministero di sacerdote sui fronti più delicati dell’Europa del XIV secolo. Era nato a Capestrano, nell’Aquilano, nel 1386 da padre nobile tedesco e madre abruzzese. Studiò poi a Perugia diritto, diventando in seguito governatore della città per volere di Ladislao I di Napoli. Un’esperienza di prigionia, però, lo spinse a cambiare vita e a seguire la strada della consacrazione religiosa tra i Frati Minori. Conobbe san Bernardino da Siena e decise di seguirne l’esempio scegliendo il monogramma di Cristo come stemma. Il Papa lo inviò suo legato in Austria, in Baviera, in Polonia, dove si allargava sempre di più la piaga degli Ussiti. In Terra Santa promosse l’unione degli Armeni con Roma. A 70 anni, nel 1456, si trovò alla battaglia di Belgrado, attaccata dai Turchi. Per 11 giorni e 11 notti non abbandonò mai il campo. Tre mesi dopo, il 23 ottobre, Giovanni morì a Ilok, in Croazia. È stato canonizzato da Alessandro VII il 16 ottobre 1690. Nel 1984 san Giovanni Paolo II lo proclamò patrono dei cappellani militari. (Avvenire)
 
La partecipazione ai doni del cielo, o Signore,
ci ottenga gli aiuti necessari alla vita presente
nella speranza dei beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.