20 Ottobre 2025
LUNEDÌ DELLA XXIX SETTIMANA DEL TEMPO ORDINARIO
Rm 4,20-25; Salmo Responsoriale Lc 1,68-75; Lc 12,13-21
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
donaci di orientare sempre a te la nostra volontà
e di servirti con cuore sincero.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Un cuore saggio: Benedetto XVI (Angelus, 1 Agosto 2010): Cari fratelli e sorelle, in questi giorni ricorre la memoria liturgica di alcuni Santi [...]. Questi uomini hanno acquistato “un cuore saggio” (Sal 89,12), accumulando ciò che non si corrompe e scartando quanto è irrimediabilmente mutevole nel tempo: il potere, la ricchezza e gli effimeri piaceri. Scegliendo Dio hanno posseduto ogni cosa necessaria, pregustando fin dalla vita terrena l’eternità (cfr. Qo 1-5). Nel Vangelo dell’odierna domenica, l’insegnamento di Gesù riguarda proprio la vera saggezza ed è introdotto dalla domanda di uno della folla: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità» (Lc 12,13). Gesù, rispondendo, mette in guardia gli ascoltatori dalla brama dei beni terreni con la parabola del ricco stolto, il quale, avendo accumulato per sé un abbondante raccolto, smette di lavorare, consuma i suoi beni divertendosi e s’illude persino di poter allontanare la morte. «Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”» (Lc 13,20). L’uomo stolto nella Bibbia è colui che non vuole rendersi conto, dall’esperienza delle cose visibili, che nulla dura per sempre, ma tutto passa: la giovinezza come la forza fisica, le comodità come i ruoli di potere. Far dipendere la propria vita da realtà così passeggere è, dunque, stoltezza. L’uomo che confida nel Signore, invece, non teme le avversità della vita, neppure la realtà ineludibile della morte: è l’uomo che ha acquistato “un cuore saggio”, come i Santi.
Prima Lettura: La fede di cui parla l’apostolo Paolo comprende, come verità fondamentali, la morte redentrice di Cristo e la sua risurrezione, poiché i due eventi sono indissolubilmente uniti, come due aspetti della misericordia e della giustizia di Dio.
Vangelo
Quello che hai preparato, di chi sarà?
Gesù invita i discepoli a diventare «prudenti come i serpenti e semplici come le colombe» (Mt 10,16) in modo da comprendere che la loro vita non dipende dall’abbondanza dei beni, ma dall’amore misericordioso e dal perdono di Dio. Gesù non condanna la ricchezza, ma il modo di gestirla soprattutto quando esso fa dimenticare che quello che conta sta al di là della morte.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 12,13-21
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Parola del Signore.
«Beato il ricco che si trova senza macchia e che non corre dietro all’oro. Chi è costui? Lo proclameremo beato» (Sir 31,8-9) - Un tale chiede a Gesù di far da giudice in una questione di eredità che in innumerevoli casi è fonte di litigi e perniciose divisioni. Gesù, non acconsentendo di fare da mediatore o da giudice, ricusa un ruolo che era molto ambito dalle guide spirituali d’Israele le quali ben volentieri si avventuravano in queste vicende: essendo attaccate al denaro erano pronte ad assumere questo compito più per guadagno che per giustizia (Cf. Mc 12,40; Lc 20,47).
Così commenta Nicola di Lira: «Col fatto che il Signore non volle intromettersi nella divisione dell’eredità tra i fratelli, si vuole mostrare che i predicatori del Vangelo non devono interessarsi della determinazione degli affari di questo mondo».
La risposta di Gesù all’anonimo interlocutore, come sempre, tout court, va al cuore del problema: mettendo in evidenza il vero motivo della disputa sulla eredità, invita l’uomo a tenersi «lontano da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni».
L’uomo della parabola è stolto non perché agogna il riposo dopo la fatica o perché ha saputo approfittare della insperata fortuna che lo ha messo tra le file dei ricchi, ma perché non ha elevato mai il pensiero a Dio; perché ha escluso Dio dalla sua vita, fonte della ricchezza vera e datore di «ogni buon regalo e ogni dono perfetto» (Gc 1,17; Cf. Gv 3,27).
L’uomo ricco della parabola, dando eccessivo peso ai beni terreni come se tutto dipendesse dalla loro abbondanza, si è chiuso in una triste avventura umana dalla quale è stato bandito il Cielo.
La risposta di Gesù è in sintonia con gli insegnamenti sapienziali. Già Ben Sirach suggeriva ai suoi lettori: «Chi ama l’oro non sarà esente da colpa, chi insegue il denaro ne sarà fuorviato. Molti sono andati in rovina a causa dell’oro, e la loro rovina era davanti a loro. È una trappola per quanti ne sono infatuati, e ogni insensato vi resta preso» (31,5-7).
Lo stolto, secondo l’Antico Testamento, è colui che «non informa la condotta alle regole insegnate dai saggi. Anzi, egli si oppone alla verità che la creazione stessa gli manifesta e rifiuta un ordine che gli sarebbe invece salutare. Alla base del suo comportamento vi è una lacuna nella “conoscenza”, una errata valutazione della realtà» (A. Z.).
Lo stolto è «colui che si comporta male con Dio e con gli uomini» (Bibbia di Gerusalemme); è il ficcanaso che si immischia in tutto (Cf. Prov 17,24); è colui che nega l’esistenza di Dio e la sua provvidenza (Cf. Sir 5,3); lo stolto è l’uomo ribelle, scettico e libertino (Cf. Sir 22,9-11); stolto è il popolo che abbandona il suo vero Dio per mettersi tra le braccia di idoli che sono inutili e vani (Cf. Ger 2,11). Lo stolto è colui che non si domina, che non controlla le sue passioni (Cf. Prov 29,11 ).
La rovina dello stolto sarà improvvisa, «in un attimo, crollerà senza rimedio» (Prov 6,15).
Il peccato dell’uomo ricco della parabola non sta nella cupidigia, infatti, non ha cercato affannosamente di arricchirsi: è solo un uomo che è stato baciato dalla fortuna; non è nemmeno un uomo perverso o vizioso: in un’ultima analisi, è semplicemente un uomo che fa progetti e vuol godersi la sua fortuna. Il suo vero errore sta nel fatto di non attendere «alle cose del cielo» (Cf. Col 3,1-2): il pesante metallo aureo, come sporco cerume, ha occluso l’udito dello spirito impedendogli di captarle.
Oltre ad essere sordo è anche un povero cieco pur dicendo di vedere (Cf. Gv 9,39): una cecità che lo trascina ad escludere Dio dalla sua vita e ad assolutizzare e a riporre la sua fiducia in quello che è soltanto transeunte, fumo, apparenza.
Tradotto nel linguaggio biblico, questo agire è idolatria perché «pur conoscendo Dio» non gli ha «dato gloria né gli ha reso grazie» e «vaneggiando nei suoi ragionamenti si è ottenebrata la sua mente ottusa» (Cf. Rom 1,21).
Ha invertito ruoli e valori. Invece di dare lode a Dio, dal quale dipende la sorte di ogni uomo, ha esaltato le creature e i valori terreni che, come la scena di questo mondo (Cf. 1Cor 7,31), passeranno inesorabilmente. È come quel tale che dopo una pesca abbondante invece di ringraziare Dio «offre sacrifici alle sue sciabiche e brucia incenso alle sue reti, perché, grazie a loro, la sua parte è abbondante e il suo cibo succulento» (Abacuc 1,16).
L’uomo della parabola è stolto perché invece di procurarsi un tesoro inesauribile presso Dio ha pensato solo di accumulare per sé.
In ultima istanza, Gesù ha voluto porre l’anonimo interlocutore dinanzi al suo vero destino; gli ha insegnato che il pensare alla morte personale è più importante del tesoreggiare: questo significa arricchirsi dinanzi a Dio. La prospettiva, quindi, è «quella della morte personale: è in questo momento che i beni della terra vengono meno e che importa disporre di tesori indefettibili... Il discepolo di Gesù si preoccupa del tesoro di cui potrà disporre in cielo presso Dio, nel momento in cui Dio gli chiederà l’anima» (J. Dupont). E questa è sapienza cristiana!
Roberto Osculati (L’evangelo di Luca): Ancora una volta dalla folla sale una richiesta e con questa immagine letteraria si vuole affrontare un altro equivoco riguardo a Gesù e alla sua dottrina: egli dovrebbe intervenire come giudice in una questione di eredità e forse si allude così all’ordinamento economico della società. Il denaro ed il possesso di beni materiali costituiscono un aspetto fondamentale della vita collettiva ed occorre prendere posizione su questi temi essenziali.
Luca affronta qui uno degli argomenti che più lo attraggono, la libertà dalle ricchezze, cui ha già alluso ripetute volte.
Gesù fu del tutto svincolato dagli interessi economici, lo stesso chiese ad apostoli e discepoli, così devono seguirlo le sue comunità sparse nel mondo. Si tratta di un altro carattere escatologico dell’evangelo, per il quale è imminente un universo privo di proprietà, quale era immaginato alle origini. Per la Bibbia la ricchezza individuale è molto spesso un fenomeno secondario e deleterio, nato dalla colpa ed origine continua di malvagità.
Soprattutto il profetismo guardava con insofferenza la vita sedentaria di Israele, fondata sulla proprietà di case e terre, sul formarsi di una società dall forti disuguaglianze economiche, sul costituirsi di caste militari e burocratiche ad imitazione dei grandi o piccoli regni vicini. Questa evoluzione dall’iniziale vita nomadica alla monarchia generava in Israele fortissime tensioni, lo coinvolgeva nella politica internazionale, dominata dall’Egitto, dall’Assiria e da Babilonia, sarebbe stata causa della rovina del regno davidico e dell’esilio.
L’etica della povertà, della generosità, della fiducia professata dall’ evangelo cristiano, è poi in contrasto con i lussi e le miserie delle città dove è presente la comunità dei discepoli. Anche la filosofia delle genti aveva riflettuto su questi problemi e spesso aveva sottoposto la ricchezza ad una critica molto serrata. Socrate, il cini mo e lo stoicismo avevano insegnato la superiorità della libertà e della coscienza dell’individuo su tutte le strutture del possesso del benessere materiale.
L’ evangelista si pone all’incrocio tra la sapienza biblica e quella delle genti nel proclamare la superiorità della vita personale sull’abbondanza dei beni e sull’illusione di far dipendere il significato della propria esistenza dal benessere materiale. La ricchezza infatti appartiene ad un mondo fallace, insipiente, transitorio e chi crede di affidare ad essa la propria persona soccomberà con la sua scomparsa ormai imminente. L’immagine del ricco stolido, capace di accrescere e conservare le proprietà materiali, ma non in grado di provvedere a se stesso, è un ammonimento rivolto a chiunque ritenga di dare solidità alla propria vita attraverso l’ abbondanza esteriore.
È necessario invece raccogliere beni in un altro ordine di realtà, non in quello provvisorio cui la morte pone un limite insuperabile, altrimenti capita quello che Bonaventura afferma: “il granaio era pieno, m ail cuore era vuoto” (Bonaventura, Commentario all’evnìangelo di Luca XII,28).
Illusioni e pericoli della ricchezza - É. BEAUCAMP e J. GUILLET - Se Dio arricchisce i suoi amici, non ne consegue che ogni ricchezza sia frutto della sua benedizione. L’antica sapienza popolare non ignora che esistono fortune ingiuste; ma, si ripete, i beni male acquistati non gíovano (Prov 21, 6; 23, 4 s; cfr. Os 12, 9) e l’empio ammassa per far infine ereditare il giusto (Prov 28, 8). Di fatto è male acquistata la ricchezza che finisce per escludere la massa degli uomini dai beni della terra, riservandoli a pochi privilegiati: « Guai a coloro che aggiungono casa a casa ed uniscono campo a campo, al punto da occupare tutto lo spazio, restando i soli abitanti del paese » (Is 5, 8); « le loro case sono piene di rapine, perciò sono diventati importanti e ricchi, grossi e grassi » (Ger 5, 27 s). Empi, ancora, i ricchi che credono di poter fare a meno di Dio: confidano nei loro beni e se ne fanno una fortezza (Prov 10, 15), dimenticando Dio, la sola fortezza valida (Sal 52, 9). Un paese « pieno d’argento e d’oro... di cavalli e di carri innumerevoli » diventa presto « un paese ripieno di idoli » (Is 2, 7 s). « Chi confida nella ricchezza, vi si inabisserà » (Prov 11, 28; cfr. Ger 9, 22). Invece di rafforzare l’alleanza, i doni-divini possono offrire l’occasione di rinnegarla: « Sazi, i i loro cuori si gonfiarono, e perciò mi hanno dimenticato » (Os 13, 6; cfr. Deut 8, 12 ss). Israele dimentica Costantemente donde gli vengono i beni di cui è ricolmo (Os 2) e corre a prostituirsi con gli ornamenti di cui è debitore all’amore del suo Dio (Ez 16). È difficile rimanere fedeli nella prosperità, perché il grasso chiude il cuore (Deut 31, 20; 32, 15; Giob 15, 27; Sal 73, 4-9). È sapienza diffidare dell’argento e dell’oro, quand’anche si fosse re (Deut 17, 17), e ripetere la preghiera in cui Agur riassume dinanzi a Dio la sua esperienza: « Non darmi né povertà né ricchezza; lasciami gustare la mia porzione di pane; per tema che, sazio, io non ti rinneghi e dica: «Chi è Jahve?, oppure che, nella miseria, non rubi e non profani il nome del mio Dio » (Prov 30, 8 s). Il NT fa sue tutte le riserve del VT nei confronti della ricchezza. Le invettive di Giacomo contro i ricchi pasciuti e la loro ricchezza imputridita eguagliano quelle dei profeti più violenti (Giac 5, 1-5).
« Ai ricchi di questo mondo » si raccomanda « di non montare in superbia, di non porre la loro fiducia in ricchezze precarie, ma in Dio che ci provvede con larghezza di tutto » (1 Tini 6, 17). « L’orgoglio della ricchezza » è il mondo, e non si può amare Dio ed il mondo (1 Gv 2, 15 s).
« Ai ricchi di questo mondo » si raccomanda « di non montare in superbia, di non porre la loro fiducia in ricchezze precarie, ma in Dio che ci provvede con larghezza di tutto » (1 Tini 6, 17). « L’orgoglio della ricchezza » è il mondo, e non si può amare Dio ed il mondo (1 Gv 2, 15 s).
Basilio il Grande (Omelia sulla parola di Luca, 12,18: «Demolirò» (passim): Sta’ ben attento che a te non capiti la stessa fine del ricco stolto. Questa parabola è stata scritta perché cerchiamo di non diventare simili a lui. Prendi esempio, uomo, dalla terra e, come lei, porta il tuo frutto, per non apparire inferiore a lei che è inanimata. La terra produce i frutti, alimentandoli con i suoi succhi, non per il proprio vantaggio, ma per servire te.
Tu invece, quando fai della beneficenza, in definitiva raccogli per te stesso, perché i frutti delle opere buone tornano a vantaggio di chi le compie. Hai dato qualcosa a chi aveva fame? Quello che hai dato diventa veramente tuo e ti ritorna moltiplicato. Come il grano, caduto a terra, torna in guadagno per chi semina, così anche il pane deposto nel seno del povero rende col tempo un frutto copioso. Che il termine della tua mietitura sia per te l’inizio della semina celeste, come dice la Scrittura: Seminate per voi secondo giustizia (Os 10,12)
Il Santo del Giorno - 20 Ottobre 2025 - Sant’Adelina di Mortain Badessa: Sorella del beato Vitale, abate di Savigny (Manche), e da lui avviata alla vita religiosa, Adelina fu la prima badessa del monastero fondato a Mortain nel 1105 o 1115 dal conte Guglielmo di Mortain. In esso si seguiva la Regola di san Benedetto, con l’aggiunta di osservanze cistercensi. Per il colore del loro abito le religiose erano chiamate le «Dame Bianche» (Albae Dominae). Adelina morì verso il 1125. Cominciò ad essere onorata come beata in occasione di una solenne traslazione dei suoi resti, di quelli di suo fratello Vitale e di altri religiosi di Savigny. È commemorata il 20 ottobre. (Philippe Rouillard)
La partecipazione ai doni del cielo, o Signore,
ci ottenga gli aiuti necessari alla vita presente
nella speranza dei beni eterni.
Per Cristo nostro Signore.