12 Ottobre 2025
 
XXVIII Domenica T. O.
 
2Re 5,14-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo 97; 2Tm 2,8,13; Lc 17,11-19
 
Colletta
O Dio, che nel tuo Figlio
liberi l’uomo dal male che lo opprime
e gli mostri la via della salvezza,
donaci la salute del corpo e il vigore dello spirito,
affinché, rinnovati dall’incontro con la tua parola,
possiamo renderti gloria con la nostra vita.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Omelia 13 Ottobre 2019)
 
«La tua fede ti ha salvato» (Lc 17,19). È il punto di arrivo del Vangelo odierno, che ci mostra il cammino della fede. In questo percorso di fede vediamo tre tappe, segnalate dai lebbrosi guariti, i quali invocano, camminano e ringraziano.
Anzitutto, invocare. I lebbrosi si trovavano in una condizione terribile, non solo per la malattia che, diffusa ancora oggi, va combattuta con tutti gli sforzi, ma per l’esclusione sociale. Al tempo di Gesù erano ritenuti immondi e in quanto tali dovevano stare isolati, in disparte (cfr Lv 13,46). Vediamo infatti che, quando vanno da Gesù, “si fermano a distanza” (cfr Lc 17,12). Però, anche se la loro condizione li mette da parte, invocano Gesù, dice il Vangelo, «ad alta voce» (v. 13). Non si lasciano paralizzare dalle esclusioni degli uomini e gridano a Dio, che non esclude nessuno. Ecco come si accorciano le distanze, come ci si rialza dalla solitudine: non chiudendosi in sé stessi e nei propri rimpianti, non pensando ai giudizi degli altri, ma invocando il Signore, perché il Signore ascolta il grido di chi è solo.
Come quei lebbrosi, anche noi abbiamo bisogno di guarigione, tutti. Abbiamo bisogno di essere risanati dalla sfiducia in noi stessi, nella vita, nel futuro; da molte paure; dai vizi di cui siamo schiavi; da tante chiusure, dipendenze e attaccamenti: al gioco, ai soldi, alla televisione, al cellulare, al giudizio degli altri. Il Signore libera e guarisce il cuore, se lo invochiamo, se gli diciamo: “Signore, io credo che puoi risanarmi; guariscimi dalle mie chiusure, liberami dal male e dalla paura, Gesù”. I lebbrosi sono i primi, in questo Vangelo, a invocare il nome di Gesù. Poi lo faranno anche un cieco e un malfattore sulla croce: gente bisognosa invoca il nome di Gesù, che significa Dio salva. Chiamano Dio per nome, in modo diretto, spontaneo. Chiamare per nome è segno di confidenza, e al Signore piace. La fede cresce così, con l’invocazione fiduciosa, portando a Gesù quel che siamo, a cuore aperto, senza nascondere le nostre miserie. Invochiamo con fiducia ogni giorno il nome di Gesù: Dio salva. Ripetiamolo: è pregare, dire “Gesù” è pregare. La preghiera è la porta della fede, la preghiera è la medicina del cuore.
La seconda parola è camminare. È la seconda tappa. Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano: «Mentre essi andavano furono purificati», dice il Vangelo (v. 14). Vengono guariti andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita. È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto. La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli. La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman (cfr 2 Re 5,14-17). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti.
C’è un altro aspetto interessante nel cammino dei lebbrosi: si muovono insieme. «Andavano» e «furono purificati», dice il Vangelo (v. 14), sempre al plurale: la fede è anche camminare insieme, mai da soli. Però, una volta guariti, nove vanno per conto loro e solo uno torna a ringraziare. Gesù allora esprime tutta la sua amarezza: «E gli altri dove sono?» (v. 17). Sembra quasi che chieda conto degli altri nove all’unico che è tornato. È vero, è compito nostro – di noi che siamo qui a “fare Eucaristia”, cioè a ringraziare –, è compito nostro prenderci cura di chi ha smesso di camminare, di chi ha perso la strada: siamo custodi dei fratelli lontani, tutti noi! Siamo intercessori per loro, siamo responsabili per loro, chiamati cioè a rispondere di loro, a prenderli a cuore. Vuoi crescere nella fede? Tu, che sei oggi qui, vuoi crescere nella fede? Prenditi cura di un fratello lontano, di una sorella lontana.
Invocare, camminare e ringraziare: è l’ultima tappa. Solo a quello che ringrazia Gesù dice: «La tua fede ti ha salvato» (v. 19). Non è solo sano, è anche salvo. Questo ci dice che il punto di arrivo non è la salute, non è lo stare bene, ma l’incontro con Gesù. La salvezza non è bere un bicchiere d’acqua per stare in forma, è andare alla sorgente, che è Gesù. Solo Lui libera dal male, e guarisce il cuore, solo l’incontro con Lui salva, rende la vita piena e bella. Quando s’incontra Gesù nasce spontaneo il “grazie”, perché si scopre la cosa più importante della vita: non ricevere una grazia o risolvere un guaio, ma abbracciare il Signore della vita. E questa è la cosa più importante della vita: abbracciare il Signore della vita.
 
Prima Lettura: Il tono che l’autore sacro dà al brano è apologetico: Iahvè è l’unico vero Dio, il quale ha rapporti unici di elezione con Israele. Ma risalta anche la rottura di una concezione particolaristica di Dio: l’amore e la misericordia di Iahvè si espandono su tutte le creature fino ad abbracciare anche i pagani. La conversione di Naaman il Siro è siglata e confermata da un impegno preciso, quello di osservare il primo comandamento nel culto esclusivo di Dio (Cf. Es 19,5; 34,14; Dt 5,9).
 
Seconda Lettura - Bibbia per la formazione cristiana: Continua il commiato e il testamento.
Timòteo è un anello dell’interminabile catena di testimoni che annunciano il vangelo.
L’ha ricevuto dagli apostoli in forma pubblica e ufficiale e ora lo deve trasmettere senza contaminazioni. È una esigenza del suo servizio. Soltanto così la tradizione cristiana sarà degna di fede e potrà nutrire la vita dei credenti.
Nei vv. 11-13 del secondo capitolo viene probabilmente ripreso un altro frammento di inno battesimale sul Cristo risorto, di cui viene ricordata l’origine davidica.
Chi vive ciò che medita e medita sul mistero di Gesù, rispecchia nella sua vita Gesù. Timòteo dovrà essere un «memoriale», cioè un ricordo vivente della risurrezione del Signore. Quanti lo vedranno vivere e agire capiranno che Gesù risorto trasforma l’esistenza dell’uomo e la colma di luce, di pace e di gioia.
Anch’essi potranno così raggiungere la salvezza che il Signore offre loro.
L’esortazione di Paolo non potrebbe proporci un programma più affascinante e grandioso.
 
Vangelo
Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.
 
Benedetto XVI (Angelus 14 Ottobre 2007)
 
Il Vangelo di questa domenica presenta Gesù che guarisce dieci lebbrosi, dei quali solo uno, samaritano e dunque straniero, torna a ringraziarlo (cfr Lc 17, 11-19). A lui il Signore dice: “Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Lc 17, 19). Questa pagina evangelica ci invita ad una duplice riflessione. Innanzitutto fa pensare a due gradi di guarigione: uno, più superficiale, riguarda il corpo; l’altro, più profondo, tocca l’intimo della persona, quello che la Bibbia chiama il “cuore”, e da lì si irradia a tutta l’esistenza. La guarigione completa e radicale è la “salvezza”. Lo stesso linguaggio comune, distinguendo tra “salute” e “salvezza”, ci aiuta a capire che la salvezza è ben più della salute: è infatti una vita nuova, piena, definitiva. Inoltre, qui Gesù, come in altre circostanze, pronuncia l’espressione: “La tua fede ti ha salvato”. È la fede che salva l’uomo, ristabilendolo nella sua relazione profonda con Dio, con se stesso e con gli altri; e la fede si esprime nella riconoscenza. Chi, come il samaritano sanato, sa ringraziare, dimostra di non considerare tutto come dovuto, ma come un dono che, anche quando giunge attraverso gli uomini o la natura, proviene ultimamente da Dio. La fede comporta allora l’aprirsi dell’uomo alla grazia del Signore; riconoscere che tutto è dono, tutto è grazia. Quale tesoro è nascosto in una piccola parola: “grazie”!
Gesù guarisce dieci malati di lebbra, infermità allora considerata una “impurità contagiosa” che esigeva una purificazione rituale (cfr Lv 14, 1-37). In verità, la lebbra che realmente deturpa l’uomo e la società è il peccato; sono l’orgoglio e l’egoismo che generano nell’animo umano indifferenza, odio e violenza. Questa lebbra dello spirito, che sfigura il volto dell’umanità, nessuno può guarirla se non Dio, che è Amore. Aprendo il cuore a Dio, la persona che si converte viene sanata interiormente dal male.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,11-19
 
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
 
Parola del Signore.
 
La tua fede ti ha salvato!
 
La guarigione dei dieci lebbrosi, oltre a mettere in evidenza il comportamento esemplare di un non ebreo (vedi la Parabola del buon Samaritano: Lc 10,29-37), afferma anche il carattere universale della salvezza. Il racconto è molto simile a quello di Lc 5,12-16, dove Gesù, per la prima volta, si trovò dinanzi a uno di quei paria esclusi dal consorzio umano. La lebbra, in quanto ritenuta conseguenza del peccato, era considerata un castigo di Dio e solo lui poteva donare la guarigione.
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversa la Samaria e la Galilea. Questa annotazione topografica, molto generica e dal valore teologico, serve a Luca per indicare che Gesù si trovava in un territorio a popolazione mista.
I dieci lebbrosi si fermano a distanza così come prevedevano le rigidissime leggi che regolavano la loro vita: «Il lebbroso colpito da piaghe porterà vesti strappate e il capo scoperto; velato fino al labbro superiore andrà gridando: Impuro! Impuro! Sarà impuro finché durerà in lui il male; è impuro, se ne starà solo, abiterà fuori dell’accampamento» (Lv 13,45-46; Cf. Lv 13,9-17). Dei dieci lebbrosi, nove erano Giudei e uno Samaritano. È notorio che i Giudei odiavano i Samaritani (Sir 50,25-26; Gv 4,9; 8,48; Mt 10,5; Lc 9,52-55; 10,33; 7,16), eppure ora, accomunati dalla lebbra, sono soci solidali di un stesso destino di dolore.
Gesù maestro, unico caso in cui epistata (maestro), frequente nel vangelo di Luca, si trovi sulla bocca di qualcuno che non è discepolo di Gesù.
Gesù non impone le mani sui lebbrosi, non proferisce parola, ma li invita a presentarsi ai sacerdoti, così come prescriveva la legge di Mosè.
Ed è in questo viaggio, gravido di speranza, che i dieci si ritrovano sanati.
I nove Ebrei continuano il loro cammino senza preoccuparsi di ringraziare il loro benefattore: nella loro arroganza ritengono la guarigione come un premio meritato per la loro condotta. Il Samaritano ritorna sui suoi passi «lodando Dio a gran voce», come i pastori (Cf. Lc 2,20), il paralitico (Cf. Lc 5,25), la donna curva (Cf. Lc 13,13), il cieco (Cf. Lc 18,43), il centurione (Cf. Lc 23,47), lo storpio guarito da Pietro e Giovanni (Cf. At 3,9). La lode è la «forma di preghiera che più immediatamente riconosce che Dio è Dio! Lo canta per se stesso, gli rende gloria perché EGLI È, a prescindere da ciò che fa. È una partecipazione alla beatitudine dei cuori puri, che amano Dio nella fede prima di vederlo nella gloria» (CCC 2639).
In questa cornice di gioia e di gratitudine il Samaritano, guarito nella carne, grazie alla sua fede, ottiene «anche la salvezza spirituale, che costituiva il dono più importante nell’incontro con Gesù, l’inviato del Padre per la proclamazione e l’inaugurazione del regno» (Angelico Poppi).
Gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero? Gesù ancora una volta deve ammettere, con tanta amarezza, che purtroppo la vera fede ha radici fuori dai confini d’Israele. Nel Vangelo di Luca, la maggior disponibilità degli stranieri ad accogliere il Regno (il centurione romano, Naaman il Siro, il lebbroso samaritano) è preludio della salvezza universale che la Chiesa, nel nome di Cristo, avrebbe portato a tutte le nazioni.
La tua fede ti ha salvato: il dono gratuito della salvezza trova campo fecondo di rigogliosa crescita solo in un cuore pieno di fede.
 
Pierre Grelot (Dizionario di Teologia Biblica)
 
Lebbra
 
Nella stessa categoria della lebbra propriamente detta (nega’, parola che significa anzitutto «piaga, colpo»), la Bibbia raggruppa sotto nomi diversi parecchie affezioni cutanee particolarmente contagiose, e persino la muffa delle vesti e dei muri (Lev 13, 47 ...; 14, 33 ...).
 
1. La lebbra, impurità e castigo divino. - Per la legge, la lebbra è una impurità contagiosa; perciò il lebbroso è escluso dalla comunità sino alla sua guarigione ed alla sua purificazione rituale, che esige un sacrificio per il peccato (Lev 13 - 14). Questa lebbra è la «piaga» per eccellenza con cui Dio colpisce (naga’) i peccatori. Israele ne è minacciato (Deut 28, 27. 35). Gli Egiziani ne sono colpiti (Es 9, 9 ss), e così pure Maria (Num 12, 10-15) ed Ozia (2 Cron 26, 19-23). Essa è quindi, per principio, un segno del peccato. Tuttavia, se il servo sofferente è colpito (naga’; Vg: leprosum) da Dio, per modo che ci si scosta da lui come da un lebbroso, si è perché, quantunque innocente, egli porta i peccati degli uomini che saranno guariti in virtù delle sue piaghe (Is 53, 3-12; cfr. Sal 73, 14)
 
2. La guarigione dei lebbrosi. - Può essere naturale, ma anche avvenire per miracolo, come quella di Naaman nelle acque del Giordano (2 Re 5), segno della benevolenza divina e della potenza profetica. Gesù, quando guarisce i lebbrosi (Mt 8, 1-4 par.; Lc 17, 11-19), trionfa della piaga per eccellenza; ne guarisce gli uomini di cui prende su di sé le malattie (Mt 8, 17).
Purificando i lebbrosi e reinserendoli nella comunità, egli abolisce con un atto miracoloso la separazione tra il puro e l’impuro. Se prescrive ancora le offerte legali, lo fa a titolo di testimonianza: i sacerdoti constateranno in tal modo il suo rispetto della legge e nello stesso tempo il suo potere miracoloso. Unita alle altre guarigioni, quella dei lebbrosi è quindi un segno che egli è proprio «colui che deve venire» (Mt 11, 5 par.). Anche i Dodici, mandati da lui in missione, ricevono l’ordine ed il potere di mostrare con questo segno che il regno di Dio è giunto (Mt 10, 8).
 
Bruno Ramazzotti e Giuseppe Barbaglio (Salvezza in Schede Bibliche Vol. VII)
 
Salvezza
 
La salvezza: terminologia e sguardo d’insieme - Nell’Antico Testamento ebraico, l’idea di salvezza è solitamente significata con la voce yasa’ e derivati. Questo termine ricorre un centinaio di volte - di cui la maggior parte nei salmi - con JHWH come soggetto, e ha il valore fondamentale di «essere ampio, spazioso», di «muoversi senza impedimento, essere al largo», e alla forma causativa, quello di «far stare ed essere al largo, a proprio agio», e quindi «liberare» da una condizione di oppressione, coercizione, schiavitù. È il contrario di «essere alle strette», «essere coartato, compresso, oppresso, in stato di servitù».
Nella versione greca dei LXX abbiamo il verbo sózein, il nome soteria e l’appellativo soter.
Queste voci assumono talvolta un’accezione profana (Cf. 2Re 6,26); comunemente però qualificano l’attività di salvezza che svolge JHWH, al quale è riservato l’appellativo di salvatore, fatta eccezione di pochi casi nei quali designa uomini da lui scelti per salvare il suo popolo oppresso (Cf. Gdc 3,9.15; Ne 9,26-27).
Dove affiora il tema della salvezza, là è presente un riferimento, più o meno esplicito, a un pericolo o a un male che minaccia o mortifica la vita di un individuo o di un popolo e a cui essi vengono sottratti. Ora, siccome per gli antichi un male sommamente temuto e spesso incombente è la sconfitta in guerra, che ha sempre disastrose conseguenze, così la salvezza è non di rado equivalente a vittoria in battaglia, trionfo sugli avversari (Cf. Es 15,2; 1Sam 11,3; 19,5; 2Sam 22,3; Sal 21,2.5-6). Ma si rapporta anche ad altri fatti e ad altre situazioni: si fa parola della liberazione dai molteplici travagli che affliggono l’umana esistenza (Cf. Is 33,2; Ger 30,7-9; Sal 107,13.19); si invoca la liberazione dalla violenza, dall’esilio (Cf. Sal 106,47), dalla morte (Cf. Sal 6,2-5), dal peccato (Cf. Ez 36,29).
Questi dati si precisano attraverso una più dettagliata analisi degli sviluppi anticotestamentari: l’accento è posto prevalentemente su un’azione salvifica in ordine alla vicenda temporale, storica di Israele, ma lo sguardo si rivolge anche a una liberazione, di cui quella attuale è solo premessa e promessa (salvezza escatologica); e a poco a poco l’interesse dalla nazione si sposta agli individui, e, passo più decisivo e importante, affiora, qua e là, la preoccupazione per una salvezza oltre l’esistenza terrena con un rilievo non più temporale, ma etico-spirituale.
Nel Nuovo Testamento il vocabolario della salvezza è ampiamente usato: sozein (salvare) ricorre un centinaio di volte, con prevalenza nei Vangeli; sóteria (salvezza) una cinquantina di volte, e 4 volte to sóterion = la salvezza; sótér (salvatore) soprattutto negli scritti tardivi.
Si ha in vista, talvolta, una liberazione di ordine temporale; ma, solitamente, si esalta l’azione salvifica che Dio svolge nel Cristo per trasformare e rinnovare l’uomo in rapporto a tutto il suo essere e alla stessa sua dimora, il cosmo.
Predilezione per la terminologia della salvezza rivelano Paolo e Luca.
Si constata che Dio raramente appare come soggetto grammaticale o logico di salvare e di salvezza, o come salvatore (Cf. Ef 2,5; pastorali; Gc 4,12; Gd 25). Per lo più, come Salvatore è designato il Cristo (Cf. Lc, Gv, Paolo, 2Pt). L’attività salvatrice è attribuita anche agli uomini come strumenti di Dio e del Cristo (Cf. Rm 11,14; 1Cor 7,16; 1Tm 4,14-16; Gc 5,20; Gd 20ss).
Soggetto di salvare talvolta è la parola di Dio o il Vangelo (Cf. Rm 1,16; 2Tm 3,14-16; Gc 1,18-21; 1Pt 2,2) e in alcuni casi il battesimo (Cf. Tt 3,5; 1Pt 3,21s), in quanto mezzi dell’azione divina di salvezza. Naturalmente la parola di Dio ha potere salutare per i singoli individui se viene accolta con la fede, che, in questo caso, risulta soggetto logico di salvare (Cf. Gv 3,16s; At 16,31; Rm 1,16; 10,8-10).
 
Il Santo del Giorno - 12 Ottobre 2025 - San Felice IV (III) Papa: Del Sannio, papa dal 12 luglio 526 al 20 o 22 settembre 530, fu sepolto sotto il pavimento dell’atrio di S. Pietro in Vaticano, poi nel Poliandro della Basilica. Profondo conoscitore degli scritti di S. Agostino se ne avvalse per condannare il semipelagianesimo.
Costruì la basilica in onore dei Ss. Cosma e Damiano adattando due templi pagani: il Templum Sacrae Urbis e il Tempio di Romolo. Rifece la basilica di S. Saturnino sulla via Salaria. Prima di morire designò il suo successore: Bonifacio II. È così ricordato dal Martirologio Romano alla data 22 settembre: A Roma san felice quarto, Papa, il quale moltissimo si affaticò per la fede cattolica. È raffigurato nel mosaico del catino absidale dei Ss. Cosma e Damiano con pianeta gialla, dalmatica azzurra e pallio disseminato di croci. (Autore Giovanni Sicari)
 
Ti supplichiamo, o Padre d’infinita grandezza:
come ci nutri del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
così rendici partecipi della natura divina.
Per Cristo nostro Signore.