11 Ottobre 2025
Sabato XXVII Settimana T. O.
Gl 4,12-21; Salmo Responsoriale Dal Salmo 96 (97); Lc 11,27-28
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
che esaudisci le preghiere del tuo popolo
oltre ogni desiderio e ogni merito,
effondi su di noi la tua misericordia:
perdona ciò che la coscienza teme
e aggiungi ciò che la preghiera non osa sperare.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Beato il grembo: Redemptoris Mater 20: Il Vangelo di Luca registra il momento in cui “una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse”, rivolgendosi a Gesù: “Beato il grembo che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!” (Lc 11,27). Queste parole costituivano una lode per Maria come Madre di Gesù secondo la carne. La Madre di Gesù non era forse conosciuta personalmente da questa donna; infatti, quando Gesù iniziò la sua attività messianica, Maria non lo accompagnava e continuava a rimanere a Nazaret. Si direbbe che le parole di quella donna sconosciuta l’abbiano fatta in qualche modo uscire dal suo nascondimento. Attraverso quelle parole è balenato in mezzo alla folla, almeno per un attimo, il vangelo dell’infanzia di Gesù. È il vangelo in cui Maria è presente come la madre che concepisce Gesù nel suo grembo, lo dà alla luce e lo allatta maternamente: la madre-nutrice, a cui allude quella donna del popolo. Grazie a questa maternità, Gesù - figlio dell’Altissimo (cfr. Lc 1,32) - è un vero figlio dell’uomo. È “carne”, come ogni uomo: è “il Verbo (che) si fece carne” (cfr. GV 1,14). È carne e sangue di Maria! Ma alla benedizione, proclamata da quella donna nei confronti della sua genitrice secondo la carne, Gesù risponde in modo significativo: “Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28). Egli vuole distogliere l’attenzione dalla maternità intesa solo come un legame della carne, per orientarla verso quei misteriosi legami dello spirito, che si formano nell’ascolto e nell’osservanza della parola di Dio.
I Lettura: Yahveh giudicherà in Giosafat - Epifanio Gallego (Commento della Bibbia Liturgica): La presente lettura è tutto quello che la liturgia ha conservato dei capitoli 3-4, nettamente escatologici e apodittici.
Scritti in tempi posteriori ai due primi, questi capitoli sono strettamente legati a essi tanto dal punto di vista letterario, sebbene siano scritti in prosa, quanto dal punto di vista circostanziale e specialmente teologico. Nella mente del profeta, rimane come uno sfondo tipico la piaga delle cavallette e il suo preannunzio del giorno di Yahveh. Tuttavia né lui né la tradizione giudaica né il cristianesimo nascente seppero differenziare chiaramente l’epoca messianica escatologica, di durata sconosciuta, dall’atto chiave di detta epoca: il giudizio di Yahveh.
Per questo, le immagini e i simboli terrificanti si moltiplicano spietatamente con un drammatismo pari alla loro imprecisione.
Come un esercito di cavallette, con denti ben affilati per divorare il popolo eletto, trasformando «i loro aratri in spade», perfetto contrappunto della pace idilliaca dei tempi messianici proclamata da Is 2,4, Yahveh ordina che tutte le nazioni si riuniscano nella Valle della decisione - questo è il significato di Giosafat - nella valle vicina al torrente Cedron, cimitero giudaico fin dalla più remota antichità. Era normale che la mente del profeta situasse il giudizio di Dio sulle nazioni nel «cimitero del giudizio».
Sulle «folle e folle» là riunite e sul clamore assordante che si eleva domina la figura di Yahevh che si asside per giudicare. Sole, luna e stelle si coprono di vergogna e, al ruggito del Signore, « remano i cieli e la terra».
Sarebbe infantile cercare di sceneggiare queste immagini icastiche, queste iperboli letterarie, tutto questo magnifico quadro apocalittico, come se si trattasse d’un bel flash fotogenico. Esse non sono il messaggio, ma la sua rappresentazione. Il contenuto teologico è il castigo dei peccatori in quel giorno e la salvezza del popolo eletto.
Lo stesso Gioele non pensava a quello che noi, oggi, chiamiamo «giudizio universale», sebbene il nostro concetto possa essere incluso nella sua aperta prospettiva, Dopo tante circostanze di terrore delle quali le cavallette erano state la prefigurazione, giungerà il trionfo definitivo per Israele e Giuda. Gerusalemme sarà nuovamente santa, cioè non contaminata dai gentili. Torna il domma dell’inviolabilità di Sion e del suo tempio. E con tutto questo, la «conoscenza» del Signore: «Saprete che io sono il Signore vostro Dio». In definitiva, sempre gli stessi temi, gli stessi ideali, le stesse speranze tanto da parte di Dio quanto da parte del popolo.
A coronamento di questo trionfo finale, la terra riavrà una fertilità paradisiaca, che i profeti già avevano trasformata in messianica. E vi sarà specialmente quell’acqua fecondante che sgorga dal tempio del Signore come i fiumi del paradiso e quella presenza del Signore in mezzo al suo popolo per sempre: « Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).
Siamo ormai all’epoca messianica; è ormai giunto il giorno del giudizio, ma non come poté immaginarlo Gioele o qualsiasi altro profeta, violento e terribile, ma silenzioso, intimo, personale. Ognuno, infatti, giudica - salva o condanna - se stesso nella misura in cui accetta o rifiuta Cristo e la sua dottrina. Così è terminato il giudizio discriminatorio annunziato dai profeti: «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare (condannare) ... chi non crede è già stato condannato» (Gv 3,17-18).
Vangelo
Beato il grembo che ti ha portato! Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio.
Gesù parla con autorità, ma le sue parole sono dolci, penetrano nel cuore degli uomini schiudendoli alla luce, alla verità, alla grazia, apparecchiandoli alla santità, alla salvezza, all’incontro con Dio. La sua è una parola che guarisce le menti e i cuori. Forse proprio per questo una donna esclama Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato! Gesù corregge l’estimatrice e porta più in alto la sua lode: Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano. È la Parola del Signore la fonte della vera beatitudine, è lei che genera una nuova vita, risana quella malata, ridona la pace e permette la conversione dei cuori. Sì, ascoltare e vivere la parola ci rende beati.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,27-28
In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».
Parola del Signore.
La vera beatitudine - Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 27 Una donna... gli disse; Matteo e Marco, dopo l’eloquente accenno al ritorno dello spirito immondo, con il quale il Salvatore ammonisce gli Ebrei (Scribi e Farisei) di non rifiutare il suo aiuto per non cadere sotto il dominio tirannico di Satana, narrano la venuta dei parenti del Maestro e la dichiarazione che egli, in quella stessa occasione, ha fatto per designare coloro che ritiene suoi veri parenti (cf. Mt., 12, 46-50; Mc., 3, 31-35; Lc., 8, 19-20). Luca invece, avendo già descritto questa scena, inserisce nell’attuale contesto un episodio analogo ad essa, cioè quello della donna che proclama beata la madre del Redentore. Beato il seno che ti ha portato...; la donna dichiara fortunata la madre che ha generato ed allattato Gesù. L’espressione di questa donna, presa da profonda ammirazione per le parole e le opere del Maestro, rivela in modo trasparente sentimenti di una delicata sensibilità femminile e di un sincero compiacimento materno; nell’ebraismo la maternità costituiva una segnalata benedizione di Dio ed un motivo di gioioso orgoglio per la donna.
28 Beati piuttosto coloro ...; il Salvatore non rigetta il complimento rivoltogli dalla donna, ma preferisce correggerlo indicando alla folla una prospettiva religiosa superiore: la semplice parentela umana non ha importanza per lui; invece gli è cara, poiché ha sommo valore religioso, la parentela spirituale che consiste nell’ascoltare e praticare la parola di Dio. La parola di Dio: espressione preferita dal terzo evangelista; gli altri due Sinottici nel testo parallelo hanno: «la volontà di Dio». L’episodio, che ha una sua particolare suggestività, è riferito unicamente da Luca; questo scrittore, come già sappiamo, ama segnalare la presenza delle donne ed i loro sentimenti pieni di benevola attenzione e di delicatezza verso il Maestro.
Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano! Ascoltare e osservare significa compiere ciò che Dio Padre chiede ai suoi figli attraverso la vita di ogni giorno: lavoro, famiglia, professione, impegni sociali, politici ... una vita sinceramente cristiana, seria e impegnata, fortemente radicata nella concretezza del quotidiano, non con la testa tra le nuvole di gratificanti sogni. Il brano evangelico ci ricorda la “casa costruita sulla roccia o sulla sabbia” (Mt 7,21-27): chi ascolta la parola di Gesù costruisce la sua casa sulla roccia, ed è beato; come dire che la “beatitudine”, la salvezza eterna, dipende dall’ascolto della Parola; se non ascolta l’uomo costruisce la sua eterna rovina. La furia degli elementi della natura, ricordata nel racconto della “casa costruita sulla roccia”, in Ez 13,1-16 sta ad indicare l’ira di Dio che si abbatte rovinosamente su tutto quanto era stato costruito dai falsi profeti (cfr. Mt 7,15-20): «Di’ a quegli intonacatori di mota: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, una grandine grossa, si scatenerà un uragano ed ecco, il muro è abbattuto ... Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre; demolirò il muro che avete intonacato di mota, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso e saprete che io sono il Signore» (Ez 13,11-14). Ritornando al nostro brano, allora, si può dire: colui che non ascolta va incontro all’ira di Dio! Per l’evangelista Luca l’ascolto delle parole di Gesù e il metterle in pratica è fonte di beatitudine, praticamente è la condizione per entrare nel regno dei cieli. Si può dire che Luca crea volutamente un nesso strettissimo tra l’insegnamento di Gesù, la sua Parola e l’ascolto, ma non più della Torah (Dt 6,4-9), bensì del Vangelo. In questo emerge la novità della concezione della salvezza, il quale, benché in sintonia con la mentalità pragmatica dei giudei insista sul “fare” più che sull’ascolto della parola, ripone il conseguimento della vita eterna nell’ascolto-accoglienza della Parola, la seconda Persona della Trinità. Si può così dire che Gesù mette al centro del suo insegnamento l’uomo e lo riveste con il manto regale della libertà, è libero di ascoltare o di non ascoltare; è libero di imboccare la strada della beatitudine, o di imboccare la via delle eterna perdizione.
Maria è benedetta per la sua fede: «Allorché il Signore, attraverso i segni e i prodigi che compiva, andava rivelando ciò che nascondeva nella carne fino a riempire tutti di stupore e di ammirazione, qualcuno in mezzo alla folla, particolarmente preso dall’entusiasmo, esclamò: Beato il seno che ti ha portato. E lui: Beati piuttosto quelli che ascoltano la parola di Dio e la custodiscono. Come a dire: «Anche mia madre, che tu chiami beata, è beata appunto perché custodisce la parola di Dio, non perché in lei il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi [Gv l, 14]; ma perché custodisce il Verbo stesso di Dio per mezzo del quale è stata fatta, e che in lei si è fatto carne. Non si limitino gli uomini al godimento della prole temporale; godano piuttosto di congiungersi spiritualmente con Dio.» (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni 10,3).
Il Santo del Giorno - 11 Ottobre 2025 - San Giovanni XXIII - Il dialogo e la tenerezza per dare speranza: «La luce che splende sopra di noi, che è nei nostri cuori, che è nelle nostre coscienze, è luce di Cristo»: era la sera dell’11 ottobre 1962, il giorno in cui si aprì il Concilio ecumenico Vaticano II e così san Giovanni XXIII salutava la folla che aveva partecipato alla fiaccolata organizzata per l’evento di quel giorno. E poi pronunciò parole rimaste nella storia: «Tornando a casa, troverete i bambini; date una carezza ai vostri bambini e dite: “Questa è la carezza del Papa”». E poi: «Il Papa è con noi specialmente nelle ore della tristezza e dell’amarezza». In queste parole si coglie il senso della santità di Angelo Giuseppe Roncalli, Papa del dialogo con il mondo, Papa dalla tenerezza infinita. Era nato a Sotto il Monte, nella Bergamasca, il 25 novembre 1881; prete nel 1905, fu cappellano militare nel primo conflitto mondiale. Nel 1921 era visitatore apostolico in Bulgaria e poi in Turchia; nel 1944 arrivò a Parigi come nunzio. Nel 1953 divenne patriarca di Venezia e 5 anni più tardi diventava il 261° Pontefice. Firmò otto encicliche, tra le quali anche la «Mater et magistra» del 1961, sulla Dottrina sociale della Chiesa, e la «Pacem in terris» del 1963, contenente un potente appello «a tutti gli uomini di buona volontà» per la costruzione della pace e del giusto ordine sociale. Morì il 3 giugno 1963, è beato dal 2000 e santo il 27 aprile 2014.
Concedi a noi, Padre onnipotente,
che, inebriati e nutriti da questi sacramenti,
veniamo trasformati in Cristo
che abbiamo ricevuto come cibo e bevanda di vita.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.