13 Ottobre 2025
Lunedì XXVIII Settimana T. O.
Rm 1,1-7; Salmo Responsoriale Dal Salmo 97 (98); Lc 11,29-32
Colletta
Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, o Signore,
perché, sorretti dal tuo paterno aiuto,
non ci stanchiamo mai di operare il bene.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
La fede come ascolto e visione - Lumen fidei 29: Proprio perché la conoscenza della fede è legata all’alleanza di un Dio fedele, che intreccia un rapporto di amore con l’uomo e gli rivolge la Parola, essa è presentata dalla Bibbia come un ascolto, è associata al senso dell’udito. San Paolo userà una formula diventata classica: fides ex auditu, «la fede viene dall’ascolto» (Rm 10,17). La conoscenza associata alla parola è sempre conoscenza personale, che riconosce la voce, si apre ad essa in libertà e la segue in obbedienza. Perciò san Paolo ha parlato dell’“obbedienza della fede” (cfr Rm 1,5; 16,26). La fede è, inoltre, conoscenza legata al trascorrere del tempo, di cui la parola ha bisogno per pronunciarsi: è conoscenza che s’impara solo in un cammino di sequela. L’ascolto aiuta a raffigurare bene il nesso tra conoscenza e amore.
Per quanto concerne la conoscenza della verità, l’ascolto è stato a volte contrapposto alla visione, che sarebbe propria della cultura greca. La luce, se da una parte offre la contemplazione del tutto, cui l’uomo ha sempre aspirato, dall’altra non sembra lasciar spazio alla libertà, perché discende dal cielo e arriva direttamente all’occhio, senza chiedere che l’occhio risponda. Essa, inoltre, sembrerebbe invitare a una contemplazione statica, separata dal tempo concreto in cui l’uomo gode e soffre. Secondo questa concezione, l’approccio biblico alla conoscenza si opporrebbe a quello greco, che, nella ricerca di una comprensione completa del reale, ha collegato la conoscenza alla visione.
È invece chiaro che questa pretesa opposizione non corrisponde al dato biblico. L’Antico Testamento ha combinato ambedue i tipi di conoscenza, perché all’ascolto della Parola di Dio si unisce il desiderio di vedere il suo volto. In questo modo si è potuto sviluppare un dialogo con la cultura ellenistica, dialogo che appartiene al cuore della Scrittura. L’udito attesta la chiamata personale e l’obbedienza, e anche il fatto che la verità si rivela nel tempo; la vista offre la visione piena dell’intero percorso e permette di situarsi nel grande progetto di Dio; senza tale visione disporremmo solo di frammenti isolati di un tutto sconosciuto.
Prima Lettura: José Maria González-Ruiz : La fede è un impulso liberatore: Paolo si presenta alla comunità di Roma con quel «timore e trepidazione» con cui si era presentato alla comunità di Corinto (1Cor 2,3). In primo luogo, egli è «servo di Gesù Cristo». L’insistenza paolina, condivisa dal secondo vangelo, sull’unicità della sovranità di Cristo si applica in modo speciale all’ambito interno della Chiesa: qui tutti sono «servi di Gesù Cristo»; i responsabili o dirigenti della comunità non dovranno mai osare sacrilegamente presentarsi come «sostituti» o «surrogati» di Gesù, che è sempre presente nella Chiesa a partire dal momento della sua risurrezione.
Paolo afferma che, da parte di Dio, non vi è discriminazione, poiché egli si rivela a ogni uomo e a tutti gli uomini. Questo vuol dire che «gli ambiti chiusi della rivelazione divina» (giudaismo e cristianesimo) non possono pretendere d’avere il monopolio della presenza di Dio, che sorpassa qualsiasi istituzione ecclesiale.
Paolo è stato aggregato agli apostoli, «prescelto per annunziare il vangelo di Dio». La sua chiamata alla corresponsabilità viene sempre dall’alto: non è mai una autorità rivale con lo stesso Gesù. Effettivamente, «Gesù, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti».
L’antitesi «carne-Spirito» non si riferisce, come nell’antropologia greca, a due parti dell’uomo, corpo e anima, ma a due situazioni di tutto l’uomo: «carne» è l’esistenza frustrata da uno sbocco totale nella morte, e «spirito» è l’esistenza umana riabilitata o in via di riabilitazione dalla morte. Cristo adottò la situazione-carne per terminare, con la sua risurrezione, nella situazione-spirito. Dal momento della risurrezione, non fu costituito «Figlio di Dio» semplicemente, poiché lo era dall’eternità, ma «Figlio di Dio nel potere», cioè vincitore effettivo della morte nello stesso seno dell’esistenza umana frustrata.
Paolo, in virtù della sua missione apostolica, partecipa di questi « poteri del Risuscitato », e quindi offre la fede ai gentili. E la fede è un atteggiamento che trascina tutto l’uomo a « sottomettersi a Dio » come salvatore della sua indigenza. La fede è un impulso totalmente liberatore e autoliberatore.
Vangelo
Non sarà dato alcun segno a questa generazione, se non il segno di Giona.
I farisei avevano chiesto a Gesù un segno, cioè un miracolo che esprimesse e giustificasse la sua autorità. Gesù non soddisfa la loro richiesta, ma risponde ricordando due fatti registrati nella sacra Scrittura: la conversione dei Niniviti, e il viaggio della Regina di Saba che da terre lontane giunge a Gerusalemme per ascoltare le parole sapienti di Salomone. Ora, nella pienezza del tempo, vi è uno più grande di Giona, e nel giorno del Giudizio gli abitanti di Ninive, conosciuti per la loro sanguinaria violenza, saranno i giudici di Israele. Un capovolgimento paradossale: i Niniviti che erano ciechi aprirono con docilità gli occhi dell’anima alla predicazione di Giona e vennero restituiti alla Luce, i farisei che affermavano di vedere restarono nel buio della loro cecità e si fissarono nel loro peccato (Gv 9,).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,29-32
In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone. Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».
Parola del Signore.
Il segno di Giona - Rosanna Virgili: Il discorso sul segno è la risposta che Gesù dà al gruppo della folla che gli chiedeva n segno dal cielo (cf v. 16). Gesù non vuole che nessuno si sottragga alla responsabilità di capire, valutare e scegliere, con la propria intelligenza e la propria facoltà di giudizio, in merito a lui; non concede la facile delega di un segno eclatante che sollevi la folla dall’impegno della fede. «Non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona» (v. 29), cioè l’annuncio della necessità di convertirsi nel momento attuale. Chi segue Gesù deve ascoltare e riflettere, usare sapienza verso una parola di sapienza (cf v. 49). La parola di lui è già il più grande “segno” della sua identità. A proposito di ciò grande è ancora la lezione dei niniviti: essi trovarono la salvezza per la loro città, proprio perché ascoltarono la parola di Giona. Questa fu la loro sapienza, portatrice di vita. La regina del Sud, con cui si identifica la regina di Saba, è un altro esempio di intelligenza e saggezza: pur essendo ella stessa un simbolo della sapienza dell’Oriente, ella volle conoscere il re Salomone per ammirarne la sapienza, proclamando beati coloro che erano nel suo regno (cf 1Re 10,1-13). Gesù ben più sapiente di Salomone e, quindi, la stessa regina di Saba sorgerà ad accusare la generazione presente per la sua incapacità di riconoscere il vero “segno” e di cambiare la sua mente (metanoéo, v. 32). Gesù non indulge al gioco ozioso del miracolismo, ma è sapienza (= Salomone) e profezia (Giona). Questo Gesù è il segno che essi devono “riconoscere” e che li espone al giudizio di Dio.
Segni nella vita di Gesù - Paul Ternant (Dizionario di Teologia Biblica): Fedele alla promessa divina di un rinnovamento delle antiche meraviglie (Mt 11,4s; Is 35,5s; 26,19), Gesù moltiplica i miracoli che, pur accreditandone la parola, rientrano nello stesso tempo nei segni avvenimenti salvifici e nella mimica profetica (cfr. Mc 8,23ss): sono soprattutto questi miracoli, uniti alla sua autorità personale e a tutta la sua attività, a costituire «i segni dei tempi» (Mt 16,3), cioè gli indizi dell’inizio dell’era messianica. Ma all’opposto di Israele nel deserto (Es 17,2.7; Num 14,22), egli si rifiuta di tentare Dio, esigendo da lui dei segni a proprio vantaggio (Mt 4,7; Deut 6,16), e di soddisfare quelli che, avidi di prodigi spettacolari, gli domandano un segno per tentarlo (Mt 16,1ss). Così i Sinottici, eco della sua riservatezza, evitano a proposito dei miracoli di usare la parola «segni», a cui ricorrono i suoi avversari (Mt 12,38 par.; Lc 23, 8). Certo Dio, fornisce dei segni dell’avvento della salvezza ai poveri, come Maria (Lc 1,36ss), o i pastori (2,12). Però non può offrire ai Giudei i segni che essi si aspettano: ciò significherebbe pervertire la sua missione. Questi ciechi dovrebbero cominciare a prestare attenzione al «segno di Giona» secondo Lc 11,29-32, cioè alla predicazione di penitenza di Gesù. Sarebbero allora in grado di decifrare i «segni dei tempi», senza pretenderne altri per convenienza, e sarebbero preparati a ricevere la testimonianza del più decisivo di essi, il «segno di Giona» secondo Mt 12, 40, cioè la risurrezione di Cristo. Ogni riserbo concernente l’uso della parola semèion scompare nella narrazione giovannea (salvo Gv 4,48), sia negli Atti Che nelle lettere. Per Giovanni, la visione dei segni avrebbe dovuto indurre i contemporanei di Gesù a credere in lui (Gv 12,37-38): questi segni rendevano manifesta la sua gloria (Gv 2,11) a uomini provati (Gv 6,6), come Jahve aveva manifestato la propria (Num 14,22), imponendo al popolo la prova del deserto (Deut 8,2). Essi li preparavano così a vedere (Gv 19,37 ; Zac 12, 10), grazie alla fede, il segno del Trafitto elevato sulla Croce fonte di vita (12,33), che realizza la figura del serpente guaritore eretta da Mosè su uno «stendardo» (Num 21,8: ebr. nes; gr. semèion; Gv 3,14), per la salvezza del popolo dell’esodo. Ai cristiani convertiti da questo sguardo di fede (cfr. Gv 20,29) e raffigurati dai Greci che chiesero di vedere Gesù (Gv 12,21.32s), il sangue e l’acqua che sgorgano dal Trafitto (Gv 19,34) appaiono allora i simboli della vita dello Spirito e della realtà del sacrificio che ce ne apre l’accesso grazie ai sacramenti del battesimo, della penitenza, dell’eucaristia. E di questi gesti salvifici del Risorto, vero tempio da cui scaturisce l’acqua viva (Gv 2,19; 7,37ss; 19,34; cfr. Zac 14,8; Ez 47,1s), i segni anteriori di Gesù (Gv 5,14; 6; 9; 13,1-10) appariranno a loro volta le prefigurazioni.
Nicola di Lira (Postilla super Lucam, XI): La Regina dell’Austro sorgerà: la Regina dell’Austro rappresenta l’anima razionale, che, se governa bene le forze inferiori secondo il dettame della legge di natura, è detta Regina. E se fa questo col fervore della carità, è giustamente chiamata Regina dell’Austro, perché l’Austro simboleggia proprio il calore della carità. E questa Regina viene al vero Salomone: Gesù Cristo, offrendogli, per mezzo della devozione, l’oro della sapienza, le gemme delle virtù e gli aromi dell’onore, usandoli tutti per la gloria di Dio.
Il Santo del Giorno - 13 Ottobre 2025 - San Teofilo di Antiochia Vescovo. E noi abbiamo occhi e cuore per cogliere il vero amore?: Sappiamo percepire l’amore che ci circonda, l’amore di chi ci è accanto? E l’amore di Dio? Abbiamo cuore e occhi pronti ad accogliere la sua presenza? Perché Dio si mostra «a coloro che possono vederlo, quando hanno aperti gli occhi dell’anima e tutti hanno i loro bravi occhi», anche se «qualcuno li ha velati, incapaci di vedere la luce del sole». È questo l’insegnamento, antico quanto prezioso, di san Teofilo di Antiochia. Il vescovo vissuto nel secondo secolo indica la via per trovare Dio e, in particolare nei «Libri ad Autolico», ripercorre la fitta trama di «cercatori della verità» del sapere antico, fino a culminare nell’annuncio del Dio di Gesù Cristo. Si tratta di una via che ognuno può percorrere nella propria anima per raggiungere una meta, appunto, che va solo scoperta con gli occhi giusti e che esiste anche se noi non siamo capaci di vederla. Formatosi alla scuola dei pensatori classici, Teofilo era nato nella regione tra il Tigri e l’Eufrate in una famiglia non cristiana; convertitosi al cristianesimo dopo aver studiato le Scritture, divenne vescovo di Antiochia forse nel 169. Per vedere Dio, scriveva nella lettera indirizzata all’amico pagano, bisogna curare gli occhi dell’anima, troppo spesso oscurati dai peccati. E la cura è Dio stesso, che «per mezzo del Verbo e della sapienza guarisce e dà la vita». (Avvenire)
Ti supplichiamo, o Padre d’infinita grandezza:
come ci nutri del Corpo e Sangue del tuo Figlio,
così rendici partecipi della natura divina.
Per Cristo nostro Signore.