18 Maggio 2025
 
V Domenica di Pasqua
 
At 14,21b-27; Salmo Responsoriale dal Salmo 144 (145); Ap 21,1-5a; Gv 13,31-33a.34-35
 
Colletta
O Padre,
che tutto rinnovi nel tuo Figlio glorificato,
fa’ che mettiamo in pratica il suo comandamento nuovo
e così, amandoci gli uni gli altri,
ci manifestiamo al mondo come suoi veri discepoli.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
L’azione caritativa - Apostolicam actuositatem 8: Sebbene ogni esercizio di apostolato nasca e attinga il suo vigore dalla carità, tuttavia alcune opere per natura propria sono atte a diventare vivida espressione della stessa carità; e Cristo Signore volle che esse fossero segni della sua missione messianica (cfr. Mt 11,4-5).
Il più grande dei comandamenti della legge è amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22,37-40). Cristo ha fatto proprio questo precetto della carità verso il prossimo e lo ha arricchito di un nuovo significato, avendo identificato se stesso con i fratelli come oggetto della carità e dicendo: « Ogni volta che voi avete fatto queste cose ad uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Mt 25,40). Egli infatti, assumendo la natura umana, ha legato a sé come sua famiglia tutto il genere umano in una solidarietà soprannaturale ed ha stabilito che la carità fosse il distintivo dei suoi discepoli con le parole: «Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni verso gli altri » (Gv 13,35).
La santa Chiesa, come fin dalle sue prime origini, unendo insieme l’«agape» con la cena eucaristica, si manifestava tutta unita nel vincolo della carità attorno a Cristo, così, in ogni tempo, si riconosce da questo contrassegno della carità, e mentre gode delle iniziative altrui, rivendica le opere di carità come suo dovere e diritto inalienabile. Perciò la misericordia verso i poveri e gli infermi con le cosiddette opere caritative e di mutuo aiuto, destinate ad alleviare ogni umano bisogno, sono da essa tenute in particolare onore.
 
I Lettura: Gli Apostoli sono entrati nella piena comprensione della misteriosa fecondità della Croce: «Esortando [i discepoli] a restare saldi nella fede, dicevano, è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio». Questa affermazione non soltanto denuncia un tempo di persecuzione, ma anche l’accettazione di quella logica, tutta divina, del chicco di grano che deve cadere in terra per morire e così portare frutto (cfr. Gv 12,24). Il buon esito della missione è comunque da addebitare sempre al Risorto che «confermava la parola con i prodigi che l’accompagnavano» (Mc 16,20). Tra i prodigi quello di aprire la porta della fede anche ai pagani. Per grazia di Dio, cadeva così ogni muro frammezzo (politico, sociale, religioso) che divideva i popoli (Ef 2,14). I frutti della Pasqua e dello Spirito nelle prime comunità, «quasi sorprendono gli stessi apostoli. L’esperienza abbraccia anche “le tribolazioni”, che segnano inevitabilmente l’itinerario della missione ma ne costituiscono anche il segreto della fecondità [...]. Ciò che è toccato a Cristo e ai primi evangelizzatori, tocca ora a tutti i credenti [...]. Annuncio e testimonianza di fede vera e fattuale, comportano contrasti e persecuzioni per tutti. È la Pasqua vissuta a livello personale e comunitario» (Valerio Mannucci).
 
II Lettura: La città santa, «la città degli eletti, in totale contrasto con Babilonia (c. 17), è un dono di Dio. La prospettiva è puramente celeste, come in Ap 7,15-17. L’inizio si ispira a Isaia (cc. 51 e 65). Gerusalemme, città di Davide, capitale e centro religioso di Israele (2Sam 5,9; 24,25; 1Re 6,2; Sal122), città di Dio (Sal 46,5), città santa (Is 52,1; Dn 9,24; Mt 4,5; ecc.), il cui cuore era la montagna (Sal 2,6) dove era costruito il tempio (Dt 12,2-3), era considerata in Israele la metropoli futura del popolo messianico (Is 2,1-5; 54,11; 60; Ger 3,17; Sal 87,1; 122; Lc 2,38). Là lo Spirito santo ha fondato la chiesa cristiana (At 1,4; 1,8; 2; 8,1.4; ecc.). Ora essa è trasferita in cielo, dove si compie il disegno salvifico di Dio (Ap 3,12; 11,1; 20,9; 22,19; cfr. Gal 4,26; Fil 3,20; At 2,22-24), quando saranno celebrate le sue nozze con l’Agnello (Ap 19,7-8; cfr. Is 61,10; 62,4-5; Os 1,2; 2,16; ecc.)» (Bibbia di Gerusalemme).
 
Vangelo
Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri.
 
Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Il Vangelo di oggi ci trasmette il testamento di Gesù. È diretto ai suoi discepoli, turbati dalla partenza di Giuda. Ma è anche diretto ai numerosi discepoli che succedono a loro e vivono il periodo di Pasqua alla ricerca di un orientamento. Sono soprattutto essi che trovano qui una risposta alle loro domande: Che cosa è successo di Gesù? Ritornerà? Come incontrarlo? Che cosa fare adesso? Sono alcune delle domande che capita anche a noi di fare.
In fondo, il Vangelo ci dà una risposta molto semplice: è un nuovo comandamento: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati». Ma se ci si dedica a seguire questo comandamento, ci si accorge molto presto che l’amore non si comanda.
Eppure, se si è capaci di impegnarsi ad amare il proprio prossimo per amore di Gesù - come egli stesso ha fatto - si trova ben presto la risposta a parecchie altre domande. Ci si rende conto che il cammino di Gesù è un cammino di vita, per lui ma anche per molte altre persone intorno a lui.
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 13,31-33a.34-35
 
Quando Giuda fu uscito [dal cenacolo], Gesù disse: «Ora il Figlio dell’uomo è stato glorificato, e Dio è stato glorificato in lui. Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Figlioli, ancora per poco sono con voi. Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri».
 
Parola del SIgnore.

Giuseppe Segalla (Giovanni): vv. 31-32: È il primo dei tre detti di Gesù, riportati a commento della scena precedente. - Ora il Figlio dell’uomo -: questo titolo è legato al tema della gloria (12,23) e dell’innalzamento (12,34). - Dio è stato glorificato in lui ... e ... lo glorificherà: il passato (« è stato glorificato ») può essere un aoristo complessivo per inglobare tutta la missione terrena di Gesù fino al compimento della croce. In essa si rivela la gloria di Dio come potenza salvifica. Il futuro (« e lo glorificherà ») si riferisce allora alla futura attività salvifica di Gesù come Signore risorto. Ma il passato potrebbe riferirsi anche solo alla vita terrena di Gesù, e il futuro alla sua prossima glorificazione mediante la croce-risurrezione come « innalzamento ».
34: Un comandamento nuovo vi do: il comandamento dell’amore scambievole che ritorna poi nei discorsi di addio e nella 1Gv (cfr paralleli) è detto « nuovo ». I motivi della « novità» possono essere diversi: « nuovo» perché sta al centro della « nuova» alleanza; « nuovo » perché è fondato sull’amore di Gesù (« affinché»), che dà non solo l’ esempio, ma anche la forza di amore. Solo chi è amato e si sente amato è capace a sua volta di amare. L’amore di Gesù è fondamentale e costituzionale, per così dire. Non è solo un’azione, ma uno stato, una situazione personale, una specie di ambiente, in cui il cristiano può trovare la sua vera atmosfera di amore, nella quale respirare e da cui trarre la forza per una vita di amore ai fratelli. Anche l’esempio, il modello di Gesù rientra in questo aspetto fondamentale, costituzionale dell’ amore fraterno scambievole.
35: Per questo si comprende che l’amore scambievole dei discepoli di Gesù sarà la tessera di riconoscimento dei cristiani (At 4,32), perché è segno concreto di una forza misteriosa, non accessibile all’uomo: la forza dell’amore di Dio che si rivela nel Figlio suo.
 
Il comandamento nuovo - Vincenzo Raffa (Liturgia Festiva): Gesù circondò gli apostoli e i discepoli di un amore nuovo (Gv 15, 15). Prima infatti non avevano sperimentato ancora un amore divino come quello che si verificava nel Cristo presente e operante in mezzo a loro. Era un amore tanto grande da condurre l’amante al sacrificio totale.
L’amore fraterno dei discepoli deve essere sul tipo di quello di Gesù: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Vangelo). È il comandamento nuovo di un amore pure nuovo come quello di Gesù.
Un amore generico per il prossimo era già prescritto nel Vecchio Testamento (Lv 19, 18).
L’amore nuovo era un amore fraterno, che trovava la sua radice e il suo modello in quello di Cristo e quindi aveva i caratteri della divinità e dell’eternità.
Era una realtà non umana e naturale, perché deriva dalla Trinità, si riversa nell’umanità di Cristo e, per il dono dello Spirito Santo, si diffonde nei cuori dei battezzati: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5; cfr. 2 Cor 13, 13; Gal 5, 22; Ef 6, 23; 1 Gv 4, 16 ecc.).
L’amore nuovo è un fiore che sboccia sul terreno della redenzione. È lo stile della dignità filiale divina dei redenti, perché tutti i credenti in Cristo sono figli dell’amore di Dio, dotati della «vera libertà» e chiamati all’«eredità eterna». L’amore nuovo diventa la nota distintiva dei seguaci di Cristo: «Da questo conosceranno che siete miei discepoli ...» (Vangelo).

La carità fraterna - Claude Wiéner (Dizionario di Teologia Biblica): Se la concezione giudaica poteva lasciar credere che l’amore fraterno si giustapponga su un piano di eguaglianza con altri comandamenti, la visione cristiana gli dà il posto centrale, anzi unico.
Da un capo all’altro del NT l’amore del prossimo appare indissociabile dall’amore di Dio: i due comandamenti sono il vertice e la chiave della legge (Mc 12,28-33 par.); la carità fraterna è la realizzazione di ogni esistenza morale (Gal 5,14; 6,2; Rom 13,8s; Col 3,14), è in definitiva l’unico comandamento (Gv 15,12; 2Gv 5), l’opera unica e multiforme di ogni fede viva (Gal 5,6.22): «Chi non ama il fratello che vede, non può amare quel Dio che non vede ... amiamo i figli di Dio quando amiamo Dio» (1 Gv 4,20 s). Non si potrebbe affermare meglio che, in sostanza, non c’è che un solo amore.
L’amore del prossimo è quindi essenzialmente religioso; non è una semplice filantropia. Anzitutto è religioso per il suo modello: imitare l’amore stesso di Dio (Mt 5,44 s; Ef 5,1s.25; 1 Gv 4,11s). Poi, e soprattutto, per la sua sorgente, perché è l’opera di Dio in noi: come potremmo essere misericordiosi come il Padre celeste (Lc 6,36), se il Signore non ce lo insegnasse (1Tess 4,9), se lo Spirito non lo effondesse nei nostri cuori (Rom 5,5; 15,30)? Questo amore viene da Dio ed esiste in noi per il fatto stesso che Dio ci prende come figli (1Gv 4,7).
E, venuto da Dio, esso ritorna a lui: amando i nostri fratelli, amiamo il Signore stesso (Mt 25,40), perché tutti assieme forniamo il corpo di Cristo (Rom 12,5-10; 1 Cor 12,12-17). Questo è il modo in cui possiamo rispondere all’amore con cui Dio ci ha amati per primo (1Gv 3,16; 4,19s).
In attesa della parusia del Signore, la carità è l’esigenza essenziale, in base alla quale gli uomini saranno giudicati (Mr 25,31-46). Questo è il testamento lasciato da Gesù: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 13,34s). L’atto d’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso gli atti dei discepoli. Questo comandamento, benché antico perché legato alle sorgenti stesse della rivelazione (1Gv 2,7s), è nuovo: di fatto Gesù ha inaugurate una nuova era mediante il suo sacrificio, fondando la nuova comunità annunziata dai profeti, donando ad ognuno lo Spirito che crea dei cuori nuovi. Se dunque i due comandamenti sono uniti, si è perché l’amore di Cristo continua ad esprimersi attraverso la carità che i discepoli manifestano tra loro.
 
Vi do un comandamento nuovo …: «Non si è felici nell’opprimere il prossimo, nel voler ottenere più dei deboli, arricchirsi e tiranneggiare gli inferiori. In questo nessuno può imitare Dio, sono cose lontane dalla sua grandezza! Ma chi prende su di sé il peso del prossimo [cfr. Gal 6,2] e in ciò che è superiore cerca di beneficare l’inferiore; chi, dando ai bisognosi ciò che ha ricevuto da Dio, è come un Dio per i beneficati, egli è imitatore di Dio» (Ep. ad Diognetum, 10).
 
Il Santo del Giorno - 18 Maggio 2025 - San Giovanni I. La politica non manipoli il messaggio del Risorto: Il principio dell’incarnazione ci parla di un Dio che condivide il cammino dell’uomo e si affianca a lui nel dare forma alla storia: ecco perché i cristiani sono chiamati a un impegno concreto nella vita politica. Ma quando, invece, è la politica a voler deformare il messaggio del Risorto per difendere propri interessi e vantaggi allora i cristiani devono far sentire la propria voce. Un richiamo a cui oggi ci rimanda la storia di san Giovanni I, Papa dal 523 al 526 e venerato come martire, testimone coerente che non si lasciò usare per gli scopi politici del re d’Italia e re degli Ostrogoti, Teodorico. Toscano d’origine, Giovanni fu scelto come Pontefice in età avanzata; Teodorico, ariano, lo costrinse a recarsi a Bisanzio, alla guida di una delegazione di cui facevano parte legati romani ma anche alcuni vescovi come quelli di Fano, di Ravenna e di Capua, per chiedere la restituzione agli ariani d’Oriente delle chiese che erano state loro sequestrate dall’imperatore Giustino, difensore dell’ortodossia. Il 19 aprile 526 Giovanni fu il primo Papa a celebrare la Pasqua a Costantinopoli, ma al ritorno, avendo scelto di non soddisfare le richieste del re che l’aveva mandato, fu incarcerato a Ravenna dove morì pochi giorni dopo, il 18 o 19 maggio 526. In seguito le sue reliquie vennero traslate nella Basilica di San Pietro. 
 
Assisti con bontà il tuo popolo, o Signore,
e poiché lo hai colmato della grazia di questi santi misteri,
donagli di passare dalla nativa fragilità umana
alla vita nuova nel Cristo risorto.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.