6 Aprile 2025
V Domenica di Quaresima
Is 43,16-21; Salmo Responsoriale Dal Salmo 125 (126); Fil 3,8-14; Gv 8,1-11
Colletta:
Dio di misericordia,
che hai mandato il tuo Figlio unigenito
non per condannare ma per salvare il mondo,
perdona ogni nostra colpa,
perché rifiorisca nel cuore
il canto della gratitudine e della gioia.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Papa Francesco (Angelus 7 Aprile 2019): E Gesù congeda la donna con queste parole stupende: «Va’ e d’ora in poi non peccare più» (v. 11). E così Gesù apre davanti a lei una strada nuova, creata dalla misericordia, una strada che richiede il suo impegno di non peccare più. È un invito che vale per ognuno di noi: Gesù quando ci perdona ci apre sempre una strada nuova per andare avanti. In questo tempo di Quaresima siamo chiamati a riconoscerci peccatori e a chiedere perdono a Dio. E il perdono, a sua volta, mentre ci riconcilia e ci dona la pace, ci fa ricominciare una storia rinnovata. Ogni vera conversione è protesa a un futuro nuovo, ad una vita nuova, una vita bella, una vita libera dal peccato, una vita generosa. Non abbiamo paura a chiedere perdono a Gesù perché Lui ci apre la porta a questa vita nuova. La Vergine Maria ci aiuti a testimoniare a tutti l’amore misericordioso di Dio che, in Gesù, ci perdona e rende nuova la nostra esistenza, offrendoci sempre nuove possibilità.
I Lettura: Il vaticinio è rivolto a Israele, popolo «sordo» e «cieco» (Cf. Is 43,8), perché si affranchi dalla paura e si apra alla speranza. La «cosa nuova» che Dio sta preparando per il suo popolo è la fine della prigionia. Con potenza Dio trasformerà interiormente Israele e lo renderà capace di dargli gloria: «Il popolo che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi». Come Dio, ai tempi dell’esodo, rese asciutto il Mar Rosso per far transitare Israele, così ora aprirà «nel deserto una strada»; immetterà «fiumi nella steppa», che serviranno a dissetare il suo popolo. Il Signore Dio, per tale prodigio, sarà glorificato dalle bestie selvatiche della steppa e lodato dal suo popolo. Tale unisono di lodi sta a significare che la salvezza del popolo eletto coinvolge l’intero universo.
II Lettura: Agli eterni litigiosi, Giudei e Giudeo-cristiani, incapaci di staccarsi dall’osservanza della Legge, Paolo dichiara che per lui ormai conta solo Gesù Cristo, la sua «sublime conoscenza», la fede in lui, «la comunione alle sue sofferenze... nella speranza di giungere alla risurrezione dei morti». Paolo poggia la speranza di giungere alla risurrezione dei morti su due preziosi elementi: da una parte, perché, per pura benevolenza, è stato conquistato da Cristo Gesù; dall’altra lui, l’apostolo, si sforza di correre «verso la mèta» per conquistare Cristo. Una somma di sforzi: tutto è grazia, tutto è generosa adesione umana.
Vangelo
Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei.
Da molti esegeti, per motivi di critica testuale e letteraria, la storia dell’“adultera perdonata” è ritenuta un masso erratico proveniente dalla tradizione sinottica. La pericope, al di là della questione dell’adulterio, mette in risalto la misericordia di Gesù perfettamente in sintonia con l’amore misericordioso del Padre celeste: «Io non godo della morte del malvagio, ma che il malvagio si converta dalla sua malvagità e viva» (Ez 33,11). Gesù non è venuto «per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47; Cf. Gv 8,15): l’invito perentorio rivolto alla donna adultera di non peccare più è una forte spinta a uscire fuori dalla miseria del peccato per incominciare una vita nuova. In questa luce, il racconto giovanneo, è un appello rivolto a tutti gli uomini perché, smettendo di giudicarsi a vicenda, sentano il bisogno di essere salvati da Dio.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 8,1-11
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adultèrio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adultèrio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».
Parola del Signore.
Gli conducono una donna sorpresa in adulterio - Il conflitto tra i farisei, gli scribi e Gesù non è ancora esploso in tutta la sua violenza, sarà la risurrezione di Lazzaro a fare precipitare irreversibilmente la situazione: «... quel giorno dunque decisero di ucciderlo» (Gv 11,53). Pur tuttavia i rapporti sono molto tesi e i sinedriti tallonano il giovane Rabbi, lo spiano per coglierlo in fallo «per poi accusarlo» (Mc 3,2). Per raggiungere il loro obiettivo, gli scribi e i farisei, conducono, quindi, a Gesù una donna sorpresa in adulterio, un reato che la Legge mosaica condannava con la pena capitale (Dt 22,22; Lev 20,10). In genere, la Legge mosaica non determinava il modo, la morte veniva inferta o per strangolamento o per spada o per lapidazione; solo per la fidanzata infedele categoricamente veniva intimata la pena della lapidazione (Cf. Dt 22,23 ss).
I farisei pongono l’adultera nel mezzo perché sia ben visibile a tutti. Mostrano in questo modo la loro poca sensibilità verso i loro simili: la donna, anche se colta in flagrante adulterio, ai loro occhi, doveva restare pur sempre una persona. Si autodenùnciano come uomini gretti, abietti, disposti a tutto pur di raggiungere i loro obiettivi illeciti.
La povera donna è solo un’esca, perché, come ci suggerisce il Vangelo, le reali squallide intenzioni dei farisei sono tese unicamente a cogliere in fallo Gesù, «per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo» (Gv 8,6).
II gioco maligno, d’altronde mai riuscito (Cf. Mt 22,15-22), era di una estrema semplicità: se Gesù avesse assolto la donna l’avrebbero accusato di infrangere la Legge di Mosè; se l’avesse condannata, oltre a perdere la sua buona fama di uomo misericordioso, avrebbe infranto la legge di Roma in quanto soltanto i suoi tribunali avevano il diritto di comminare pene capitali. In ogni caso, avrebbero avuto modo di accusarlo o al Sinedrio o a Pilato.
I farisei da Gesù già rimproverati in altre simili occasioni, avevano dimenticato prestamente il monito loro rivolto: imparate «che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13).
La lezione non l’avevano imparata tanto d’insistere in pratiche disumane come la lapidazione. Nonostante l’arroganza e l’insistenza degli interlocutori, Gesù è tranquillo, imperturbabile, lo dimostra chinandosi e mettendosi a scrivere col dito per terra (Gv 8,6). Inutile investigare per conoscere cosa scrivesse Gesù: il verbo katagraph significa tracciare segni, disegnare, ma anche mettere per iscritto un’accusa. I Padri della Chiesa interpretano questo gesto con Geremia 17,13, dove è minacciata la rovina per quanti sono infedeli a Dio: «O speranza di Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva».
Poiché gli accusatori della donna non si rassegnano, Gesù dà prova della sua saggezza e della sua misericordia con una risposta lapidaria: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei» (Gv 8,7). Se tutti siamo peccatori (Cf. Rom 3,9ss; 5,12) e «tale è la condizione dell’uomo, come può un peccatore infierire contro chi è stato vittima della stessa debolezza umana? [...]. L’espressione scagli per primo una pietra riecheggia Dt 13,1 dove si ordina che i testimoni oculari devono dar inizio all’esecuzione della condanna a morte. Dopo una risposta tanto saggia, Gesù non guarda più gli accusatori, ma di nuovo si china per scrivere sulla terra. Evidentemente il Maestro ha sconcertato gli avversari; essi aspettavano che prendesse posizione sulla questione legale; invece ha ricordato ai giudici che non sono senza peccato e quindi non possono condannare. Il gesto del Maestro, di chinarsi per non fissare gli accusatori, vuol porre i giudici dinanzi alle loro responsabilità e invitarli a una decisone sincera e libera» (S. Panimolle).
I farisei e gli scribi, disorientati e disarmati dalla sapienza divina, non possono fare altro che allontanarsi, cominciando «dai più anziani»: questo particolare sembra ispirarsi alla storia di Susanna e dei «due anziani pieni di perverse intenzioni» (Dan 13,1ss). Sgombrato il campo, Gesù rimane solo con l’adultera: è l’incontro «dell’innocenza con chi ha commesso peccato: la scena diventa una illustrazione plastica dell’invito al pentimento. Dio odia il peccato e ama il peccatore; tale atteggiamento si attua in Gesù. Il quale, benché non giudichi e non condanni, invita la donna a non peccare più [...]. La legge condanna il peccato non perché gli uomini si giudichino a vicenda, ma perché essi sentano il bisogno di essere salvati da Dio. Gesù porta in sé questa salvezza: odia infinitamente il peccato, ama infinitamente il peccatore. Questo è possibile soltanto a Dio» (P. Giuseppe Ferraro s.j.).
La storia dell’adultera, posta alla fine del cammino quaresimale, suggerisce ai credenti l’esperienza gioiosa che essi fanno nel sacramento della Penitenza. Un invito pressante a fare Pasqua.
Il perdono di Dio e il perdono dell’uomo - Giuseppe Barbaglio (Perdono, Schede Bibliche Pastorali): Nella preghiera di gruppo insegnata da Gesù ai suoi discepoli una supplica è: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12); «Perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore» (Lc 11,4).
C’è dunque un inscindibile nesso tra il perdono concessoci da Dio e il perdono nostro al prossimo.
La cosa sta particolarmente a cuore a Matteo che fa seguire al Padre nostro, in particolare all’invocazione del perdono divino, la seguente affermazione: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (6,14-15). Si noti che il perdono atteso da Dio e condizionato al perdono del prossimo sembra in prospettiva escatologica; in altre parole, saremo accolti misericordiosamente nel regno di Dio il giorno ultimo, se nella storia avremo perdonato i torti del nostro prossimo.
Da parte sua, Marco che non ha il Padre nostro conosce però il detto seguente di Cristo: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (11,25).
Si deve allora ritenere che il perdono di Dio sia in tutto condizionato al nostro perdono accordato al prossimo?
Nella parabola del servo spietato, attestata in Mt 18,23-35, Gesù illustra il dovere del perdono illimitato da concedere al fratello. Il racconto parabolico tiene dietro al dialogo tra Gesù e Pietro: alla domanda del discepolo quante volte dovrà perdonare al fratello, sino a sette volte, il maestro risponde: sino a 77 volte (Mt 18,21-22). Il primo evangelista allude qui al feroce Lamec e alla sua vendetta indiscriminata, per dire che il comandamento di Gesù (perdono illimitato, sino a 77 volte) annulla la legge della giungla instaurata dalla stirpe dei cainiti (Cf. Gn 4,23-24). Nella versione di Luca, più fedele al detto originario di Gesù, si parla di perdono sino a 7 volte, numero simbolico di pienezza e di completezza, dunque indicante perdono illimitato (Lc 17,4).
Nella parabola poi Gesù mette in stretto rapporto il condono ricevuto e il condono da accordare. Il servo spietato, che ha ottenuto, al di là di ogni attesa, il condono di un debito enorme (il prezzo di sessanta milioni di giornate lavorative), è moralmente obbligato a condonare al suo collega un debito normale, corrispondente al prezzo di cento giornate lavorative: «Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te?» (18,33).
Ma colui che è stato perdonato non sa essere «perdonatore» del fratello; perciò sarà condannato con durezza.
Ed ecco la conclusione redazionale dell’evangelista: «Così anche il Padre mio celeste farà a ciascuno di voi [= giudizio di condanna], se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (v. 35).
La prospettiva è senza dubbio quella escatologica del rendiconto, precisamente della condanna, se nella storia non si avrà perdonato di cuore al fratello.
Ma nella parabola di Gesù l’accento sta sulla connessione tra perdono ricevuto e perdono da accordare; in altre parole, chi è stato beneficiario del perdono divino dovrà coerentemente sentirsi obbligato a perdonare a sua volta al prossimo.
Dunque all’inizio c’è il perdono di Dio, perdono ricevuto senza alcun merito. Quest’esperienza poi suscita e fonda il dovere di perdonare al fratello e nel giudizio ultimo infine il perdono di Dio sarà condizionato dal perdono nostro al prossimo. In breve, il perdono da accordare al fratello sta tra due perdoni di Dio, quello storico e quello escatologico; dal primo esso è fondato e giustificato, riguardo al secondo si pone come condizione sine qua non.
Non peccare più - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Pastorale del Vangelo di Giovanni): La clemenza che Dio manifesta nel perdonare non deve diventare un incentivo a continuare nella vita di peccato, ma anzi rappresenta uno stimolo a mutare radicalmente condotta: è invito pressante a una conversione sincera. Gesù non minimizza la gravità della colpa dell’adultera; anzi, dopo che le ha usato misericordia, l’ammonisce a non peccare più (Gv 8,11).
Il perdono dei peccati, il giudizio di misericordia deve essere l’occasione per iniziare una vita nuova, segnata dalla fedeltà e dall’amore. Questo fatto deve farci riflettere sul modo come noi spesso ci accostiamo al sacramento della penitenza. Forse capita anche a noi di farlo con tanta leggerezza.
Quando il rito della riconciliazione non segna l’inizio di una profonda sincera conversione, vuoi dire che non è ricevuto in modo degno. Il perdono sacramentale delle colpe deve rappresentare un momento di serio ravvedimento e approdare ad un impegno concreto di vita nuova.
Bonaventura (In Jo., VIII): A chi chiede cosa scrivesse, Agostino risponde che scrisse quello che poi rese noto. Ambrogio dice invece che scrisse: Terra, terra, scrivi questi uomini sterili (Ger. 22,29-30); la Glossa dice che scriveva i loro peccati, e altri dicono che scriveva delle lettere nelle quali ciascuno poteva leggere i propri peccati.
Il Santo del giorno - 6 Aprile 2025 - Santa Nicoletta Boylet, Vergine: È nata quando ormai i genitori - il carpentiere Roberto Boylet e sua moglie Caterina - non speravano più di avere figli. L’hanno chiamata Nicoletta (familiarmente Colette) in onore di Nicola di Bari, alla cui intercessione si attribuiva la sua nascita. Colette intraprende la sua complicata esperienza religiosa a 18 anni, dopo la morte dei genitori. E la conclude a 25 su consiglio del francescano Enrico di Baume, tornando fra le Clarisse, perché si sente chiamata alla riforma degli Ordini istituiti da san Francesco. Nel 1406, a Nizza, riceve il velo da Benedetto XIII, che l’autorizza a riformare i monasteri dell’Ordine e a fondarne di nuovi. Per alcuni anni, lei vede fallire gli sforzi di riforma, e solo nel 1410 ha il suo primo monastero rinnovato a Besançon, seguito poi da altri 16. Colette muore a Gand nel 1447. (Avvenire)
Dio onnipotente,
fa’ che rimaniamo sempre membra vive di Cristo,
noi che comunichiamo al suo Corpo e al suo Sangue.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
ORAZIONE SUL POPOLO
Benedici, o Signore, il tuo popolo,
che attende il dono della tua misericordia,
e porta a compimento i desideri
che tu stesso hai posto nel suo cuore.
Per Cristo nostro Signore.