27 Aprile 2025
II Domenica di Pasqua
At 5,12-16; Salmo Responsoriale Dal Salmo 117 (118); Ap 1,9-11a.12-13.17-19; Gv 20,19-31
Colletta
O Padre di misericordia,
che in questo giorno santo raduni il tuo popolo
per celebrare il memoriale
del Signore morto e risorto,
effondi il tuo Spirito sulla Chiesa
perché rechi a tutti gli uomini
l’annuncio della salvezza e della pace.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Benedetto XVI (Regina Coeli 11 Aprile 2010): L’odierna domenica conclude l’Ottava di Pasqua, come un unico giorno “fatto dal Signore”, contrassegnato con il distintivo della Risurrezione e della gioia dei discepoli nel vedere Gesù. [...].
Di misericordia e di bontà divina è ricca la pagina del Vangelo di san Giovanni (20,19-31) di questa Domenica. Vi si narra che Gesù, dopo la Risurrezione, visitò i suoi discepoli, varcando le porte chiuse del Cenacolo. Sant’Agostino spiega che "le porte chiuse non hanno impedito l’entrata di quel corpo in cui abitava la divinità. Colui che nascendo aveva lasciata intatta la verginità della madre poté entrare nel cenacolo a porte chiuse" (In Ioh. 121,4: CCL 36/7, 667); e san Gregorio Magno aggiunge che il nostro Redentore si è presentato, dopo la sua Risurrezione, con un corpo di natura incorruttibile e palpabile, ma in uno stato di gloria (cfr Hom. in Evag., 21,1: CCL 141, 219). Gesù mostra i segni della passione, fino a concedere all’incredulo Tommaso di toccarli. Come è possibile, però, che un discepolo possa dubitare? In realtà, la condiscendenza divina ci permette di trarre profitto anche dall’incredulità di Tommaso oltre che dai discepoli credenti. Infatti, toccando le ferite del Signore, il discepolo esitante guarisce non solo la propria, ma anche la nostra diffidenza.
La visita del Risorto non si limita allo spazio del Cenacolo, ma va oltre, affinché tutti possano ricevere il dono della pace e della vita con il “Soffio creatore”. Infatti, per due volte Gesù disse ai discepoli: “Pace a voi!”, e aggiunse: “Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro, dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati”. È questa la missione della Chiesa perennemente assistita dal Paraclito: portare a tutti il lieto annuncio, la gioiosa realtà dell’Amore misericordioso di Dio, "perché – come dice san Giovanni – crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome" (20,31).
I Lettura: La prima lettura ci offre l’immagine di una Chiesa sospinta e sostenuta dalla potenza dello Spirito Santo il quale opera prodigi, miracoli e guarigioni suscitando tra la folla timore ed esaltazione. È sottolineata anche l’azione taumaturgica di Pietro, in questo modo si compiono le parole del Maestro divino: «In verità, in verità io vi dico: chi crede in me, anch’egli compirà le opere che io compio e ne compirà di più grandi di queste, perché io vado al Padre» (Gv 14,12).
II Lettura: Una domenica, il “giorno del Signore”, Giovanni, in catene nell’isola di Patmos “a causa della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1,9), contempla estatico il Risorto: il Primo e l’Ultimo, il Vivente. Il Messia, nella visione giovannea, «appare nelle funzioni di giudice escatologico, come in Dn 7,13-14 [Cf. Dn 10,5-6]. I suoi attributi sono descritti per mezzo di simboli: sacerdozio [rappresentato dall’abito lungo; Cf. Es 28,4; Es 29,5; Zc 3,4]; regalità [fascia d’oro; Cf. 1Mac 10,89; 11,58]; eternità [capelli bianchi; Cf. Dn 7,9]; scienza divina [occhi fiammeggianti per “scrutare gli affetti e i pensieri”: Cf. Dn 2,23]; stabilità [piedi di bronzo, Cf. Dn 2,31-45]. La sua maestà è terrificante [splendore delle gambe, del volto, potenza della voce]» (Bibbia di Gerusalemme).
Vangelo
Otto giorni dopo venne Gesù.
L’apparizione di Gesù intende presentare la sua nuova condizione, non più legata al mondo fisico, e la nuova modalità di relazione con lui, che si realizza primariamente nella celebrazione eucaristica. Gesù risorto, spalancate le porte della paura, sta in mezzo ai suoi discepoli, colmando il loro cuore di pace e di gioia. Anche Tommaso, il discepolo incredulo, verrà guadagnato alla fede nella risurrezione: un percorso che sfocia in una confessione di fede unica in tutto il Nuovo Testamento, che identifica il Risorto con Dio. In quel giorno gli Apostoli ricevono lo Spirito Santo e il mandato di andare in tutto il mondo a portare la Buona Novella e a rimettere i peccati. La conclusione del Vangelo ne svela lo scopo catechistico: è stato scritto perché i lettori credano che Gesù Cristo è il Figlio di Dio e perché, credendo, abbiano la vita nel suo nome.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 20,19-31
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Parola del Signore.
I doni del Risorto: la pace, lo Spirito Santo, la missione, la fede - «La sera di quel giorno, il primo della settimana» (Gv 20,19), Gesù si ferma in mezzo ai suoi discepoli segregati nel cenacolo per timore dei Giudei: è il Risorto presente nella sua Chiesa che è sotto il suo potere e la sua protezione (Cf. Ap 1,20). Conforta gli Apostoli con il dono della pace, «quella che egli aveva promesso per il suo ritorno [Cf. Gv 14,27-28]. Mostrando le mani e il costato, il Risorto non dimostra soltanto la sua identità con il Gesù crocifisso; egli fa vedere la sorgente da cui proviene la pace che è frutto della Pasqua» (Valerio Mannucci).
Nell’Antico Testamento la pace è uno stato tranquillo di benessere esteriore visto come dono di Dio. Una condizione di normalità di tutte le cose che provoca ordine, euforia, felicità. La pace è «soprattutto il bene messianico per eccellenza, destinato a realizzarsi in modo inscindibile dalla giustizia. Per questo essa si realizza pienamente nel Nuovo Testamento» (Bruno Liverani). Per l’apostolo Paolo la pace è una Persona, Gesù: «Egli infatti è la nostra pace, colui che di due ha fatto una cosa sola, abbattendo il muro di separazione che li divideva, cioè l’inimicizia, per mezzo della sua carne» (Ef 2,14).
La pace che Gesù dona ai suoi discepoli va vissuta come relazione d’amore non solo all’interno della Chiesa, ma anche come rapporto pacifico con tutti (Cf. Rom 14,19) e questo perché la pace è frutto dello Spirito Santo (Cf. Gal 5,22) il quale oltre a presiedere la vita nuova del cristiano non tollera divisioni o disordini.
La pace non va mai separata dalla giustizia, che è pure dono dell’amore misericordioso di Dio (Cf. Giac 3,17-18). Alla pace e alla giustizia poi si accompagna la gioia che insieme formano l’essenza del Regno di Dio (Cf. Rom 4,17).
La pace è il dono più grande che un cuore umano possa custodire e bisogna essere perseveranti nel custodirla, sino alla fine della vita terrena.
«Essere trovati nella pace nell’ultimo giorno equivale ad essere pronti per l’entrata definitiva nel Regno: essa definisce, perciò, la situazione di salvezza del cristiano [Cf. 2Pt3,14]. Si comprende, allora, in pieno perché gli operatori di pace sono beatificati dal Signore [Cf. Mt 5,9], essi, che l’hanno ricevuta come dono di Dio nello Spirito e l’hanno fatta fruttificare in opere d’amore, otterranno nell’ultimo giorno la benedizione che spetta ai figli di Dio» (B. L.).
Il Risorto, subito dopo, dà ai suoi discepoli anche il dono della missione. La presenza di Gesù e il dono della pace hanno spalancato le porte della casa dove si trovavano rinchiusi i discepoli per paura dei Giudei: è sceso nel cuore degli Apostoli il fuoco del coraggio (Cf. Ger 20,9).
Poi, Gesù alita sui discepoli e dona loro lo Spirito Santo, principio della nuova creazione (Gen 1,2; 2,7; Ez 37,9; Sap 15,11; Mt 3,16; Gv 1,33; 14,26; 19,30). Era necessario che al dono della missione si accompagnasse il dono dello Spirito Santo perché inscindibili l’uno dall’altro: «II nostro vangelo, infatti, non si diffuse fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con la potenza dello Spirito Santo» (1Ts 1,5). Gesù dona lo Spirito Santo per una missione molto particolare: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,22-23). Dona loro il potere di rimettere i peccati perché la missione della Chiesa, come quella del Cristo, è totalmente orientata alla salvezza degli uomini (Cf. Gv3,1.6-17; 5,20-30; ecc.).
Infine, Gesù mostrando il costato ferito e le mani e i piedi piagati per vincere l’incredulità di Tommaso indica alla Chiesa e al mondo il cammino per arrivare alla fede: bisogna partire dal Crocifisso, è dalla contemplazione amorosa del Crocifisso risorto che sgorga la fede: «Attraverso la via della croce si arriva alla gloria: teologia della croce per essere teologia della gloria. Gesù mostra le mani, quelle mani ferite, perforate dai chiodi, il segno dell’amore; mostra il costato squarciato, segno ancora più grande dell’amore: il cuore trafitto. La morte è dimostrazione massima dell’amore. La risurrezione è amore» (Don Carlo De Ambrogio).
Solo chi muore amando entra nella vita del Risorto (Cf. 1Gv 3,14).
La fede nella risurrezione del Cristo - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura pastorale del Vangelo di Giovanni - III Vol): Gv 20 contiene anche un forte e stimolante messaggio per la vita spirituale dei seguaci del Cristo: l’amore di Maria, di Pietro e dell’altro discepolo per Gesù è presentato come esemplare per tutti i credenti; parimenti la tematica della fede occupa un posto di primo piano in questa pericope.
Gv 20 che descrive le apparizioni di Gesù risorto, sembra racchiuso da una grande inclusione tematica formata dall’associazione dei verbi vedere e credere. In effetti nel brano iniziale troviamo la frase: l’altro discepolo... VIDE E CREDETTE (Gv 20,8), mentre il passo finale è chiuso dall’espressione: Beati coloro che NON AVENDO VISTO, CREDERANNO (Gv 20,29).
In realtà in questo capitolo è rappresentato drammaticamente il processo della fede nel Cristo risorto. La scoperta del sepolcro vuoto e la costatazione dell’ordine che regnava nella tomba di Gesù, fa sbocciare nel cuore del discepolo amato la fede nella risurrezione del Signore (Gv 20,8s).
Nel caso di Maria Maddalena e dei discepoli presenti nel cenacolo non si parla di fede, perché costoro videro il Cristo risorto (Gv 20,15-20).
Invece il brano incentrato in Tommaso, mostra in modo vivo come questo apostolo sia passato dall’incredulità più ostinata alla fede più viva nel Signore risorto.
Come spesso avviene nel nostro vangelo, l’autore che si rivela sempre un fine artista, rappresenta in modo drammatico la nascita della fede nel cuore dell’incredulo Tommaso.
L’assenza di questo discepolo dal cenacolo, quando venne il Risorto, offre l’occasione per la proclamazione ostentata dell’incredulità dell’apostolo; egli non dà credito alla dichiarazione degli amici, perché replica loro di non credere, se non quando vede con i propri occhi e tocca con le proprie mani (Gv 20,25). Tommaso rifiuta la testimonianza degli altri discepoli, non si fida di loro, perché li ritiene vittime di un’allucinazione; egli vuol vedere il Maestro e costatare di persona se sia proprio lui, con le cicatrici dei chiodi e del colpo di lancia; i suoi colleghi potrebbero aver visto un fantasma.
Gesù accoglie la sfida di Tommaso e otto giorni dopo la prima apparizione, mostrandosi nuovamente nel cenacolo, si rivolge subito all’apostolo incredulo, invitandolo a portare il dito nelle cicatrici delle mani e a mettere la mano nel suo fianco, per diventare credente (Gv 20,26s).
La professione di fede di Tommaso nella divinità del Maestro costituisce il vertice dello sviluppo drammatico della scena: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Nel cuore del discepolo incredulo si è accesa la fede più profonda: risorgendo dai morti, Gesù ha dimostrato nel modo più chiaro e convincente di essere il Signore Iddio, come Jahvé.
La fede di Tommaso è autentica e sincera, essa però ha avuto bisogno del segno concreto di vedere il Risorto.
A questo punto nella mente dell’evangelista sorge il problema della fede di coloro che non potranno vedere il Signore Gesù: costoro potranno credere?
Non solo sarà possibile la fede, ma essa si rivelerà superiore a quella dei primi discepoli. Il Cristo risorto infatti proclama beati coloro che crederanno, senza aver visto (Gv 20,29).
Giovanni tuttavia non considera inutili i segni, operati da Gesù, in rapporto alla fede: essi possono favorire il suo nascere e il suo approfondimento; per tale scopo egli ha scritto il suo vangelo: affinché i lettori credano che Gesù è il Cristo e il Figlio di Dio (Gv 20,30s).
La fede nella messianicità divina di Gesù trova il suo alimento nella meditazione dei segni compiuti dal Signore, tra i quali il più strepitoso consiste nella risurrezione dai morti il terzo giorno (Cf. Gv 2,18ss)
O Dio, che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono - Penitenzieria Apostolica (Decreto - 29 Giugno 2002): [...] la Misericordia Divina sa perdonare anche i peccati più gravi, ma nel farlo muove i fedeli a concepire un dolore soprannaturale, non meramente psicologico, dei propri peccati, così che, sempre con l’aiuto della grazia divina, formulino un fermo proposito di non peccare più. Tali disposizioni dell’animo conseguono effettivamente il perdono dei peccati mortali quando il fedele riceve fruttuosamente il sacramento della Penitenza o si pente dei medesimi mediante un atto di perfetta carità e di perfetto dolore, col proposito di accostarsi quanto prima allo stesso sacramento della Penitenza: infatti Nostro Signore Gesù Cristo nella parabola del figliuol prodigo ci insegna che il peccatore deve confessare la sua miseria a Dio dicendo: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio” [Lc 15, 18-19], avvertendo che questo è opera di Dio: “era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” [Lc 15,32]. Perciò con provvida sensibilità pastorale il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, per imprimere profondamente nell’animo dei fedeli questi precetti ed insegnamenti della fede cristiana, mosso dalla dolce considerazione del Padre delle Misericordie, ha voluto che la seconda Domenica di Pasqua fosse dedicata a ricordare con speciale devozione questi doni della grazia, attribuendo a tale Domenica la denominazione di “Domenica della Divina Misericordia” [Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Decr. Misericors et miserator, 5 Maggio 2000]”.
Tommaso d’Aquino (In Jo. ev. ex p ., XX): … soffiò su di loro ... : un gesto simile appare nella Genesi (2,7). Era allora uno spirito di vita naturale che l’uomo ha poi depravato, ma che il Cristo ha ricreato dandoci lo Spirito Santo.
Il Santo del Giorno - 27 Aprile 2025 - Santa Zita. La straordinaria santità vissuta in casa con la porta sempre aperta ai bisognosi: È tra le mura domestiche, nelle relazioni quotidiane, nelle pieghe della vita ordinaria che si rivela la profondità della vita divina, la ricchezza dell’amore infinito di Dio. Santa Zita è icona, modello e testimone di questa «santità casalinga» vissuta sulla soglia di casa. La sua dedizione al lavoro quotidiano da domestica, unita a un amore profondo per gli ultimi e i bisognosi, l’hanno resa particolarmente cara ai lucchesi e non solo. Era nata nel 1218 da una famiglia povera di Monsagrati, in diocesi di Lucca, e da quando aveva dodici anni si trovò al servizio come domestica della nobile famiglia dei Fatinelli, che all’inizio non lesinarono angherie e rimproveri. Il senso del dovere, assieme al carattere gioioso e umile, oltre alla capacità di esprimere nei gesti e nelle parole la propria fede cristiana, le fecero guadagnare la fiducia dei padroni di casa, che alla fine le affidarono la direzione della casa. Tutto questo, però, le costò anche l’invidia degli altri domestici. A chi aveva bisogno dava sempre ciò che possedeva, senza mai sottrarre nulla dal posto di lavoro, e copriva le mancanze dei colleghi. Morì nel 1278 e venne da subito venerata come santa dai lucchesi. Dal 1955 è patrona dei domestici e di coloro che sono addetti alla cura della casa. (Matteo Liut)
Dio onnipotente, la forza del sacramento pasquale
che abbiamo ricevuto sia sempre operante nei nostri cuori.
Per Cristo nostro Signore.