12 APRILE 2025
 
 SABATO DELLA V SETTIMANA DI QUARESIMA
 
 Ez 37,21-28; Salmo Responsoriale Ger 31,10-12b.13; Gv 11,45-56

 

Colletta
O Dio, che hai fatto di tutti i rinati in Cristo
la stirpe eletta e il sacerdozio regale,
donaci il desiderio e la forza di compiere ciò che comandi,
perché il tuo popolo, chiamato alla vita eterna,
sia concorde nella fede e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Evangelium vitae 37: Chiunque crede in Gesù ed entra in comunione con lui ha la vita eterna (cf. Gv 3, 15; 6, 40), perché da lui ascolta le uniche parole che rivelano e infondono pienezza di vita alla sua esistenza; sono le «parole di vita eterna» che Pietro riconosce nella sua confessione di fede: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna; noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6, 68-69). In che cosa consista poi la vita eterna, lo dichiara Gesù stesso rivolgendosi al Padre nella grande preghiera sacerdotale: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo» (Gv 17, 3). Conoscere Dio e il suo Figlio è accogliere il mistero della comunione d’amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo nella propria vita, che si apre già fin d’ora alla vita eterna nella partecipazione alla vita divina.  
38: La vita eterna è, dunque, la vita stessa di Dio ed insieme la vita dei figli di Dio. Stupore sempre nuovo e gratitudine senza limiti non possono non prendere il credente di fronte a questa inattesa e ineffabile verità che ci viene da Dio in Cristo. Il credente fa sue le parole dell’apostolo Giovanni: «Quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!... Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 1-2). Così giunge al suo culmine la verità cristiana sulla vita. La dignità di questa non è legata solo alle sue origini, al suo venire da Dio, ma anche al suo fine, al suo destino di comunione con Dio nella conoscenza e nell’amore di Lui. È alla luce di questa verità che sant’Ireneo precisa e completa la sua esaltazione dell’uomo: «gloria di Dio» è, sì, «l’uomo che vive», ma «la vita dell’uomo consiste nella visione di Dio». Nascono da qui immediate conseguenze per la vita umana nella sua stessa condizione terrena, nella quale è già germogliata ed è in crescita la vita eterna. Se l’uomo ama istintivamente la vita perché è un bene, tale amore trova ulteriore motivazione e forza, nuova ampiezza e profondità nelle dimensioni divine di questo bene. In simile prospettiva, l’amore che ogni essere umano ha per la vita non si riduce alla semplice ricerca di uno spazio in cui esprimere se stesso ed entrare in relazione con gli altri, ma si sviluppa nella gioiosa consapevolezza di poter fare della propria esistenza il «luogo» della manifestazione di Dio, dell’incontro e della comunione con Lui. La vita che Gesù ci dona non svaluta la nostra esistenza nel tempo, ma la assume e la conduce al suo ultimo destino: «Io sono la risurrezione e la vita...; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno» (Gv 11, 25.26). 

I Lettura: Il perdono di Dio aprirà la via del ritorno e Israele riposerà per sempre entro le mura della città santa. A regnare sul popolo eletto sarà un solo re. Israele rigetterà gli idoli, e metterà in pratica le norme e le leggi di Dio. L’alleanza che Dio stipulerà con il suo popolo sarà eterna preconizzando in questo modo il sacrificio del Cristo nel cui sangue Dio sigillerà eternamente la sua alleanza con tutti gli uomini. L’incarnazione del Figlio di Dio compirà perfettamente l’ultima promessa: In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.

Vangelo
Per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.

L’odio ha accecato la mente e il cuore dei farisei. Non si arrendono nemmeno dinanzi a un morto risuscitato. I capi dei sacerdoti e i farisei dalla loro albagia riescono a cavare soltanto progetti di morte. Caifa, come l’asina di Baalam, profetizza: Gesù deve morire, ma non sa che il suo sangue versato sul Calvario dall’alto di una Croce laverà il peccato del mondo intero. Caifa, strumento cieco dello Spirito Santo fa questa bella profezia, e ignaro si fa strumento lodevole a che si realizzi il progetto di salvezza del Signore Dio.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 11,45-56
 
In quel tempo, molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di ciò che Gesù aveva compiuto, [ossia la risurrezione di Làzzaro,] credettero in lui. Ma alcuni di loro andarono dai farisei e riferirono loro quello che Gesù aveva fatto.
Allora i capi dei sacerdoti e i farisei riunirono il sinèdrio e dissero: «Che cosa facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo continuare così, tutti crederanno in lui, verranno i Romani e distruggeranno il nostro tempio e la nostra nazione». 
Ma uno di loro, Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno, disse loro: «Voi non capite nulla! Non vi rendete conto che è conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera!». Questo però non lo disse da se stesso, ma, essendo sommo sacerdote quell’anno, profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione; e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi. Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo. 
Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli. 
Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione salirono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi. Essi cercavano Gesù e, stando nel tempio, dicevano tra loro: «Che ve ne pare? Non verrà alla festa?».

Parola del Signore.

Dopo il miracolo della risurrezione di Lazzaro -  Richard Gutzwiller (Meditazioni su Giovanni): Assai particolareggiata è … la descrizione della reazione che il miracolo ha prodotto sui nemici di Cristo. Anzitutto c’è da considerare l’impotenza dei nemici. Si consultano perplessi: il loro timore è di perdere la nazione, ossia di non aver più il potere ed il dominio su tutta la gente e su tutto il paese. Perciò concludono affermando che un uomo solo deve essere sacrificato per tutto il popolo. 
Giovanni nota espressamente che le parole di Caifa sono stare una specie di profezia, ossia che il sommo sacerdote, nella piena potestà delle sue funzioni, ha affermato una verità della cui importanza non era nemmeno cosciente. Aggiunge poi da parte sua che Gesù non doveva morire solo per il popolo d’Israele, ma per raccogliere tutti i figli di Dio, dispersi nel mondo in una comunità che è la «communio sanctorum»: una società in Cristo, ma dalla portata universale. Tutti i figli di Dio che si trovano nel mondo possono e devono far parte di questa comunità. Ad essa allude anche la parabola del buon Pastore, quando parla di radunare insieme tutte le pecore disperse. La morte di Cristo è cosi presentata da un lato come la conseguenza dell’esasperazione dei suoi nemici: «Da quel giorno dunque decisero di farlo morire», e dall’altro come la libera e spontanea determinazione di Gesù che va alla morte, perché così vuole il Padre e perché intende conseguire la vera vita non solo per sé, ma anche per tutti quelli che appartengono a lui. La sua morte è la base su cui sorgerà la Chiesa.
Perciò l’intero episodio si compone di due stratificazioni, la prima delle quali è costituita dall’avvenimento direttamente concernente Lazzaro, mentre la seconda - più profonda - riguarda Cristo. Sarebbe sbagliato lasciar prevalere tanto la prima quanto la seconda. Se ci si ferma all’avvenimento esterno della risurrezione di Lazzaro, ci si lascia sfuggire il mistero giovanneo; mentre invece, se si considera la risurrezione di Cristo come l’unico e genuino argomento del racconto, si finisce col sentirsi mancare il terreno sotto i piedi si cade nel mi puro e semplice. Accostando appena i due elementi uno all’altro, senza fonderli insieme, non si arriva a quella unità che è essenziale per la comprensione di Giovanni.
La giusta interpretazione è invece quella che accetta l’episodio storico nel suo significate immediato, ma nello stesso tempo, lo considera come il simbolo e l’annuncio di un altro avvenimento rintracciabile nel testo stesso.

Gesù dunque non andava più in pubblico tra i Giudei, ma da lì si ritirò nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove rimase con i discepoli  - Henri van den Bussche (Giovanni): Gesù muore dunque per un nuovo popolo di Dio che sarà costituito, con la sua morte, da persone reclutate non solamente e principalmente nella nazione (giudaica), ma soprattutto in un altro ovile (10,16), nel mondo pagano (12,20.24), dovunque (12,32), che formeranno una sola unità (17,20.23), un solo gregge (10,16). Per Giovanni la morte di Gesù è il brodo di cultura da cui germoglierà la nuova comunità dei credenti. Si prende allora la decisione di uccidere Gesù. Essa è il coronamento di una ostilità che è andata delineandosi sempre più chiaramente nei capitoli precedenti. Gesù deve lasciare la Giudea (7,1), in attesa che venga il suo tempo o la sua Ora (7,6-8). Mostrarsi adesso in pubblico è andare incontro alla morte. Perciò Gesù si ritira in un villaggio ai bordi del deserto di Giudea, a Efraim, probabilmente l’attuale el-Taiyebeh, a circa 20 km. a nord­est di Gerusalemme. Il villaggio è situato in una delle estremità della montagna di Giudea e domina il deserto. La strada da Gerico a Gerusalemme, la strada dei pellegrinaggi, passa per questo deserto. Dal suo ritiro Gesù può veder passare i pellegrini che si recano a Gerusalemme. Perché la festa di Pasqua è vicina. Da quando Gesù ha detto in 7,8 che non andrà alla festa dei Tabernacoli (a questa solennità), il lettore sa che l’approssimarsi della festa della Pasqua significherà l’approssimarsi della fine. Giovanni è attento a mantenere il suo lettore in suspens. Cristiano della fine del primo secolo, parla della Pasqua dei giudei: è già completamente staccato dalla sua antica comunità religiosa (2,13; 6,4).
Già i pellegrini salgono a Gerusalemme per prepararsi alla festa, per santificarsi coi riti di purificazione. Ma in realtà, come nelle altre feste (7,11; 10,22), tutto il loro interesse è rivolto a Gesù: verrà o non verrà? Frattanto il Sinedrio ha posto i suoi agenti per farlo spiare.

Origene (In Jo., XXVIII, 24): Gesù pertanto non andava più apertamente tra i giudei...: nei tempi antichi Egli andava apertamente tra i giudei, allorquando la Parola di Dio abitava tra loro per mezzo dei Profeti... Ora invece Gesù non può andarvi apertamente ed è partito di là per una regione (da intendersi come il mondo intero), vicina al deserto (cioè la Chiesa, quella che prima era deserta), in una città di nome Èfraim, che significa “quella che porta abbondanza di frutti”, ove si trattenne con i suoi discepoli. E questa permanenza di Gesù con i suoi discepoli in una località vicina al deserto, in una città di nome Èfraim, perdura tuttora, perché Egli è presente nell’abbondanza dei frutti spirituali”.  

Il Santo del Giorno - 12 Aprile 2025 - Giuseppe Moscati. La “cattedra dell’amore” è accanto a chi soffre: Prendersi cura di chi soffre significa mostrare al mondo un frammento dell’amore di un Dio che è sceso nella morte e ha condiviso con noi il buio del dolore. Ed è in questa opera profetica che si espresse la santità di san Giuseppe Moscati, medico che seppe conciliare scienza e carità. Era nato nel 1880 a Benevento, ma dal 1888 viveva a Napoli, dove si era laureato in medicina nel 1903. Nella sua carriera non si risparmiò per aiutare i sofferenti: salvò alcuni malati durante l’eruzione del Vesuvio del 1906; prestò servizio negli Ospedali Riuniti in occasione dell’epidemia di colera del 1911; fu direttore del reparto militare durante la Grande guerra. Negli ultimi dieci anni di vita fu particolarmente attivo sul fronte della ricerca e dello studio scientifico: fu assistente ordinario nell’istituto di chimica fisiologica; aiuto ordinario negli Ospedali riuniti; libero docente di chimica fisiologica e di chimica medica. Scelse, però, di stare vicino a chi soffriva anche quando gli venne proposto di diventare ordinario all’Università di Napoli: «Il mio posto è accanto all’ammalato», disse. Nel 1919 fu scelto come primario agli Ospedali Riuniti. Continuò a stare accanto agli ultimi offrendo assistenza gratuitamente ai poveri. Il 12 aprile 1927 morì a causa di un infarto. Giovanni Paolo II l’ha canonizzato nel 1987 al termine del sinodo dei vescovi su «Vocazione e missione dei laici nella Chiesa». (Avvenire)  

Dopo la comunione
O Padre, che ci hai nutriti
con il Corpo e Sangue del tuo Figlio,
per questo sacramento di salvezza
fa’ che entriamo in comunione con la tua vita divina.
Per Cristo nostro Signore.

Orazione sul popolo ad libitum

Abbi pietà, o Padre, della tua Chiesa in preghiera:
guarda con amore i fedeli che volgono a te i loro cuori,
e non permettere che siano schiavi del peccato,
né oppressi dalle avversità
quanti hai redento con la morte del tuo Figlio unigenito.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.