22 Marzo 2025
 
Sabato della II Settimana Quaresima
 
Mi 7,14-15.18-20; Salmo Responsoriale dal Salmo 102 (103); Lc 15,1-3.11-32
 
Colletta
O Dio, che con i tuoi gloriosi doni di salvezza
ci rendi partecipi sulla terra dei beni del cielo,
guidaci nelle vicende della vita
e accompagnaci alla splendida luce della tua dimora.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Udienza Generale 11 Maggio 2016): Partiamo dalla fine, cioè dalla gioia del cuore del Padre, che dice: «Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato» (vv. 23-24). Con queste parole il padre ha interrotto il figlio minore nel momento in cui stava confessando la sua colpa: «Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…» (v. 19). Ma questa espressione è insopportabile per il cuore del padre, che invece si affretta a restituire al figlio i segni della sua dignità: il vestito bello, l’anello, i calzari. Gesù non descrive un padre offeso e risentito, un padre che, ad esempio, dice al figlio: “Me la pagherai”: no, il padre lo abbraccia, lo aspetta con amore. Al contrario, l’unica cosa che il padre ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo e questo lo fa felice e fa festa. L’accoglienza del figlio che ritorna è descritta in modo commovente: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò» (v. 20). Quanta tenerezza; lo vide da lontano: cosa significa questo? Che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava; quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Che cosa bella la tenerezza del padre! La misericordia del padre è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli. Certo, il figlio sa di avere sbagliato e lo riconosce: «Ho peccato … trattami come uno dei tuoi salariati» (v. 19). Ma queste parole si dissolvono davanti al perdono del padre. L’abbraccio e il bacio di suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto. È importante questo insegnamento di Gesù: la nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela, neppure il diavolo! Nessuno può toglierci questa dignità.
 
I Lettura:  Michea invoca il perdono di Dio. Il profeta conosce il cuore di Dio, lo sa colmo di bontà e di misericordia, così la sua preghiera è già confidente speranza: chi ha il cuore contrito è sempre ascoltato.
 
Vangelo
Questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita. 
 
Luca, con la parabola del padre misericordioso, vuole annunciare ai suoi lettori la misericordia di Dio per i peccatori: una parabola nella quale «Gesù descrive con vivezza l’infinita e paterna misericordia di Dio, nonché la sua gioia per la conversione del peccatore. Il Vangelo insegna che nessun uomo viene escluso dal perdono, e che i peccatori possono diventare figli diletti di Dio per mezzo del pentimento e della conversione» (La Bibbia di Navarra). La parabola termina con parole che esprimono la grande gioia del padre: bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita.
 
Dal Vangelo secondo Luca
Lc  15,1-3.11-32
 
In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».
 
Parola del Signore
 
Un uomo aveva due figli - La parabola alla luce del v. 2 (I farisei e gli scribi mormoravano ...), si pone in un contesto polemico: Gesù se ne serve per annunciare la misericordia divina, ma anche per difendere il suo comportamento.
Ai farisei che lo rimproverano di intrattenersi con i pubblicani, uomini e donne ritenuti peccatori pubblici, Gesù narra tre parabole (la dracma e la pecora perdute e ritrovate, il figlio prodigo) per suggerire che Egli, il Figlio, si comporta nei confronti dei peccatori così come si comporta Dio, il Padre.
Che il giovane chieda e ottenga l’eredità è un fatto insolito, ma tenendo conto della finalità della parabola la richiesta serve a porre l’accento sul peccato del giovane che è paurosamente crescente: alla istanza insana si aggiunge l’allontanamento dalla casa paterna, poi la dissipazione dell’eredità, quindi la fame e il degradante lavoro di porcaio.
In questo mestiere, forse, sta celato il vero peccato del giovane avvalorato dal suo grido rivolto al Cielo: «Padre, ho peccato davanti a te», e dal fatto che la parabola è tesa a difendere la benevolenza di Gesù nei confronti dei pubblicani, ritenuti impuri. La Legge faceva distinzione tra animali puri e animali impuri: «Ogni mammifero puro doveva avere l’unghia spaccata ed essere ruminante. Quelli che presentavano solo l’una o l’altra caratteristica erano esclusi, e di essi vengono nominati in modo specifico tre: la lepre, l’irace e il maiale» (George Cansdale).
Forse Luca annotando il fatto che il giovane si era adattato per fame a fare il mandriano di porci, cioè di animali impuri, voleva dare al lettore un messaggio molto più forte: quello dell’apostasia del giovane, un peccato molto più grave dello sperpero dell’eredità.
Tormentato dalla fame, il giovane rientra in se stesso e toccando con mano il fango in cui era caduto si decide di ritornare tra le braccia del Padre.
Qui l’asse della parabola si sposta facendo della parabola del «figlio prodigo» un’icona e una manifestazione piena dell’amore misericordioso del Padre. Ecco perché essa potrebbe essere defini­ta come la «parabola del Padre misericordioso».
In verità a rileggere la parabola il protagonista non è il figlio che se ne va di casa e poi torna abbracciato dal Padre e nemmeno l’altro figlio, quello maggio­re, che non sa accettare il comportamento del Padre, ma lui, il Padre, con il suo amore fatto di trepidante attesa per le sorti del figlio scapestrato.
Soltanto «il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1439).
Quindi, l’intento di Cristo, nel raccontare questa parabola, oltre a quello apologetico, è quello di rivelare il cuore e il vero volto del Padre.
A tradire questa intenzione è quel sottolineare, con vibranti sfumature, la compassione di Dio, un sentimento che svela il mistero della sua misericor­dia e della sua bontà: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò».
Ebbe compassione... riferito a Dio è un’espressione «molto forte ... infatti, indica il sentimento e l’amore intenso della madre: il verbo nel suo significato originario indica anche il seno o il grembo materno, là dove il figlio prende corpo dal corpo della madre. L’uso di questo verbo spiega perché nella parabola di Luca, manchi la figura della madre. Dio è tutto e nella descrizione che di lui fa la Bibbia attraverso la figura del Padre esaurisce tutto il mondo dell’uomo e tutti gli atteggiamenti che lo qualificano come padre-madre, uomo-donna» (Don Primo Gironi).
Dio è amore infinito, sempre presente; sempre pronto a non lasciare nulla di intentato lì dove c’è un figlio da amare e da perdonare, da custodire e da cercare. Un amore che sa attendere pazientemente anche chi si ostina a non capire l’amore e le sue esigenze (Cf. 2Pt 3,9).
Anche lui, il «figlio maggiore», ritornerà e si convincerà ad entrare in casa, e anche per lui si ammazzerà il vitello grasso e si farà festa. Una speranza che si fa certezza attraverso la Parola di Dio: «l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato [...], perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,25-29). Il vestito più bello è il segno che il Padre ha perdonato i peccati del figlio: ne ha fatto un fagotto e li ha gettati «in fondo al mare» (Mi 7,19); l’anello e i sandali, che non indossavano gli schiavi, sono il segno inequivocabile della ricuperata figliolanza, della libertà di Figlio (Cf. Gc 2,2). La parabola è un chiaro monito per i farisei di tutti i tempi: invece di scandalizzarsi di Dio che ama teneramente anche i peccatori, sarebbe opportuno scandalizzarsi delle proprie grettezze e dei propri pregiudizi.
 
Mi alzerò…: Dives in misericordia 5: Nella parabola del figliol prodigo non è usato neanche una sola volta il termine “giustizia”, così come, nel testo originale, non è usato quello di “misericordia”; tuttavia, il rapporto della giustizia con l’amore, che si manifesta come misericordia, viene con grande precisione inscritto nel contenuto della parabola evangelica. Diviene più palese che l’amore si trasforma in misericordia, quando occorre oltrepassare la precisa norma della giustizia: precisa e spesso troppo stretta. Il figliol prodigo, consumate le sostanze ricevute dal padre, merita - dopo il ritorno - di guadagnarsi da vivere lavorando nella casa paterna come mercenario, ed eventualmente, a poco a poco, di conseguire una certa provvista di beni materiali, forse però mai più nella quantità, in cui li aveva sperperati. Tale sarebbe l’esigenza dell’ordine di giustizia, tanto più che quel figlio non soltanto aveva dissipato la parte del patrimonio spettantegli, ma inoltre aveva toccato sul vivo ed offeso il padre con la sua condotta. Questa, infatti, che a suo giudizio l’aveva privato della dignità filiale, non doveva essere indifferente al padre. Doveva farlo soffrire. Doveva anche, in qualche modo, coinvolgerlo. Eppure si trattava, in fin dei conti, del proprio figlio, e tale rapporto non poteva essere né alienato, né distrutto da nessun comportamento. Il figliol prodigo ne è consapevole, ed è appunto tale consapevolezza a mostrargli chiaramente la dignità perduta ed a fargli valutare rettamente il posto, che ancora poteva spettargli nella casa del padre.
 
Il dinamismo della conversione e della penitenza: Catechismo della Chiesa Cattolica 1439: Il dinamismo della conversione e della penitenza è stato meravigliosamente descritto da Gesù nella parabola detta «del figlio prodigo» il cui centro è «il padre misericordioso»: il fascino di una libertà illusoria, l’abbandono della casa paterna; la miseria estrema nella quale il figlio viene a trovarsi dopo aver dilapidato la sua fortuna; l’umiliazione profonda di vedersi costretto a pascolare i porci, e, peggio ancora, quella di desiderare di nutrirsi delle carrube che mangiavano i maiali; la riflessione sui beni perduti; il pentimento e la decisione di dichiararsi colpevole davanti a suo padre; il cammino del ritorno; l’accoglienza generosa da parte del padre; la gioia del padre: ecco alcuni tratti propri del processo di conversione. L’abito bello, l’anello e il banchetto di festa sono simboli della vita nuova, pura, dignitosa, piena di gioia che è la vita dell’uomo che ritorna a Dio e in seno alla sua famiglia, la Chiesa. Soltanto il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza.
 
Sant’Ambrogio: “Venne la carestia in quella regione” [Lc 15,14]: carestia non di pane e cibo, ma di buone opere e di virtù. Esiste un digiuno peggiore di questo? In verità chi si allontana dalla Parola di Dio è affamato, perché “non di solo pane vive l’uomo, ma di ogni parola di Dio” [Lc 4,4]. Se ci si allontana dalla fonte siamo colti dalla sete, si diventa poveri se ci si allontana dal tesoro, si diviene sciocchi se ci si allontana dalla sapienza, si distrugge infine se stessi allontanandosi dalla virtù. È quindi naturale che costui cominciò a sentirsi in gravi ristrettezze, in quanto aveva abbandonato i tesori della sapienza e della scienza di Dio e la profondità delle ricchezze celesti [cfr. Col 2,3]. Egli cominciò a sentire la miseria e a soffrire la fame, perché niente è abbastanza per la prodiga voluttà. Sempre patisce la fame, chi non si sa nutrire degli alimenti eterni.
 
Il Santo del giorno - 22 Marzo 2025 - Santa Lea. Una donna capace di cura, volto di un Dio che ci ama: Il cuore amorevole di una donna è un luogo prezioso dove è più facile cogliere l’amore di Dio che si manifesta in una cura infinita verso i piccoli e gli umili. È di questo che ci parla la vicenda di santa Lea, «maestra di perfezione alle altre, più con l’esempio che con la parola», una donna «di un’umiltà così sincera e profonda che, dopo essere stata gran dama con molta servitù ai suoi ordini, si considerò poi come una serva». Così la descriveva san Girolamo, grazie al quale la storia di santa Lea è giunta fino a noi. Era una nobile romana vissuta nel IV secolo, in un’epoca segnata dallo sbandamento di Roma e del suo impero. Era rimasta vedova in giovane età e rifiutò di risposarsi con un personaggio illustre, Vezzio Agorio Pretestato. Decise, invece, di entrare nella comunità femminile creata da un’altra nobile, Marcella, sull’Aventino, dove si viveva quasi un’esperienza monastica fatta di preghiera, studio delle Scritture, povertà e castità. A farci conoscere le doti spirituali di santa Lea, come detto, è san Girolamo, che aveva ricevuto una lettera da Marcella in cui la “superiora” esprimeva piena fiducia per la vedova, a cui aveva affidato il compito di formare le giovani “novizie”. Lea morì nell’anno 384 e fu sepolta a Ostia (Avvenire).
 
Il sacramento che abbiamo ricevuto, o Signore,
agisca nelle profondità del nostro cuore,
e ci renda partecipi della sua forza.
Per Cristo nostro Signore.