18 Marzo 2025
Martedì II Settimana di Quaresima
Is,1,10.16-20; Salmo Responsoriale dal Salmo 49 (50); Mt 23,1-12
Colletta
Custodisci con continua benevolenza, o Padre, la tua Chiesa
e poiché, a causa della debolezza umana,
non può sostenersi senza di te,
il tuo aiuto la liberi sempre da ogni pericolo
e la guidi alla salvezza eterna.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Autentico stile di vita: Paolo VI (Udienza Generale): Un desiderio arde sempre nel cuore della Chiesa, come una lampada che non si spegne, un desiderio comune della Chiesa come Popolo di Dio, e come coscienza personale d’ogni membro di questo mistico corpo di Cristo; un desiderio, che investe tutta la psicologia dei seguaci del Signore Gesù, e che fa parte d’ogni proposito e di ogni programma di riforma e di rinnovamento, il desiderio di rivestirsi di un autentico stile cristiano. Stile è dir poco; perché la parola stile si riferisce all’aspetto esteriore d’una cosa; ma in questo nostro caso stile vuol dire il risultato d’uno spirito interiore, vuol dire l’autenticità visibile d’un ordine morale, vuol dire l’espressione d’una mentalità, d’una concezione della vita, d’una coerenza e d’una fedeltà, che si alimentano dalle radici della personalità profonda e vitale di chi si manifesta nel suo proprio stile. Siamo ancora al vecchio proverbio: l’abito non fa il monaco. Vero. Ma l’abito per sé deve qualificare individualmente e socialmente colui che monaco si professa; può, sì, camuffarlo e rivestirlo d’ipocrisia (cfr. Matth. 15,7-8), e fargli recitare una parte fittizia che non lo definisce intimamente, come l’artista in teatro: ma l’intenzione stilistica dell’abito non solo tende a dire mediante l’aspetto esteriore chi uno è, ma a dargli altresì una coscienza interiore di chi egli deve essere.
I Lettura: Errare è umano, ma perseverare è diabolico, così un vecchio adagio: il peccato è un male, l’ostinazione nel peccato un disastro che rischia di divenire irreparabile. Ma per chi vuole ritornare nella casa del Padre le sue braccia sono sempre spalancate. Per tutti, anche per i più ostinati, c’è la parola di Dio che sollecita, richiama, senza stancarsi, a cambiare vita.
Vangelo
Dicono e non fanno.
La Chiesa riconosce una sola Guida: Gesù che si è fatto servo di tutti. È un forte richiamo sopra tutto per chi è tentato di strumentalizzare la Chiesa, mettendola al servizio delle proprie idee.
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 23,1-12
In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate padre nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».
Parola del Signore.
Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei - La tensione creatasi tra Gesù e le guide spirituali del popolo d’Israele, testimoniata nel vangelo di Matteo a partire dal capitolo 21, sfocia qui in invettive così violente da suscitare stupore.
Possiamo ben dire che il capitolo 23 di Matteo è una seria e incisiva catechesi contro l’ipocrisia.
I peccati sono abbastanza rintracciabili.
Sulla cattedra di Mosè..., sta ad indicare la funzione di insegnare: nelle sinagoghe v’erano dei seggi d’onore, di pietra, riservati ai dottori della Legge che venivano chiamati cattedra di Mosè, perché da essi gli scribi interpretavano per il popolo i testi biblici. In questo modo il loro insegnamento si i nseriva nell’alveo magisteriale di Mosé. Ma se erano bravi come maestri, poco meno lo erano nell’osservare la Legge di cui si dicevano sapienti conoscitori. E così finivano coll’essere indulgenti con se stessi, e implacabili giudici con la povera gente tanta da angariarla imponendo fardelli pesanti e difficili da portare, e che loro non volevano muoverli nemmeno con un dito.
Tutte le opere le fanno per essere ammirati... è la lebbra della ipocrisia.
L’ipocrisia, appena accennata qua e là nell’Antico Testamento (Is 29,13; Sir 1,28; 32,15; 36,20), è il ricercare l’approvazione degli altri per mezzo di gesti ostentati di beneficenza, di preghiera e di digiuno (Cf. Mt 6,2), giudica negativamente gli altri uomini (Cf. Mt 7,5) e fa pregare solo con le labbra, ma non col cuore (Cf. Mt 15,7). Gli ipocriti sono pure qualificati da Gesù come sepolcri imbiancati all’esterno “belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”, vipere, stolti ... (Cf. Mt 23,25-26). Ma gli ipocriti sono sopra tutto dei poveri ciechi.
“L’ipocrisia si avvicina così all’indurimento, poiché l’ipocrita, illudendosi di essere veramente giusto, diventa sordo ad ogni appello alla conversione. Nella sua cecità, egli non può togliere la trave che gli impedisce di vedere, dal momento che pensa solo a togliere la pagliuzza dall’occhio del fratello (Mt 7,4-5). Questa cecità è particolarmente grave quando colpisce coloro che devono essere le guide spirituali del popolo di Dio. Così i farisei, divenuti delle «guide cieche» [Mt 23,16.17.19.24], ingannano se stessi e guidano anche gli altri alla rovina [Mt 23,13]. Essi, che hanno sostituito alla legge divina le tradizioni umane [Mt 15,6-7], sono ciechi e pretendono di guidare altri ciechi [Mt 15,14], e la loro dottrina non è che un cattivo lievito [Lc 12,1]. Accecati dalla loro stessa malizia, si oppongono alla bontà di Gesù e si appellano alla legge del sabato per impedirgli di fare il bene [Lc 13,15-16]; con le loro accuse a Gesù non fanno che manifestare la loro intima malvagità, poiché la «bocca dice ciò che trabocca dal cuore» [Mt 12,24-34]” (R. Tufariello).
I farisei, tanta era la bramosia di essere reputati ottimi religiosi e osservanti della Legge, arrivavano alla puerilità di allargare i loro filatteri e allungare le frange che ogni Israelita, osservando quanto indicato in Num 15,37-41, portava ai quattro capi della veste e che in aramaico erano chiamate frange di preghiera . I filatteri sono astucci di cuoio, contenenti la riproduzione di alcuni testi biblici, e che venivano allacciate al braccio sinistro e alla fronte con strisce. Gesù non condanna tali usanze, ma solo lo spirito di ostentazione con cui venivano praticate.
Il brano evangelico si chiude con l’indicare un antidoto a tale veleno: l’umiltà, il servizio disinteressato, la carità e l’amore fraterno. E sopra tutto ognuno impari a stare al suo posto. La Chiesa ha un solo Maestro Cristo Gesù: “Cristo è il modello dei pastori della Chiesa, nell’infaticabile amore con cui ha compiuto la missione, affidatagli dal Padre, di andare in cerca delle “pecore perdute della casa d’Israele” [Mt 15,24]. Per questo nessun altro all’infuori del Cristo può essere chiamato “maestro” dalla comunità dei credenti (A. Lancellotti).
Soltanto Gesù è la Guida: soltanto Lui rivela il Padre e solo Lui può donare la luce necessaria perché il credente entri nel cuore del Padre e ne comprenda la volontà; Lui è la Via (Gv 8,16), l’unica Via che conduce al Padre.
Pio Jörg: I farisei - La critica di Gesù - Considerata la potenza della corrente farisaica, solo uno spirito eccezionale avrebbe osato mettersi contro. Gesù ha manifestato subito questo coraggio e, cosciente della sua missione divina, affrontò anche questo gruppo con il suo nuovo messaggio. Dapprima rivolse ai farisei il suo invito alla penitenza. I sinottici parlano frequentemente di questi contatti di Gesù con i farisei. Con bontà e pazienza accettava i loro inviti a cena. Per loro raccontò parecchie parabole. In un certo senso si può dire che i farisei, sostenendo l’importanza dominante della religione in tutta la vita dell’uomo, potevano sembrare il gruppo religioso più vicino alle sue idee. Invece ne divennero i più accaniti avversari, perché egli cercò di riformarne lo spirito. Infatti il formalismo religioso falsificava i rapporti dell’uomo con Dio. Presso certe categorie di giudei si sentiva il bisogno di spezzare il giogo di certi complessi di inferiorità creati dai farisei. Ma il nuovo messaggio non era gradito ai farisei, che respinsero Gesù e lo accusarono di violare la legge, di rinnegarla tradizione, d’essere indemoniato e nemico del popolo e, con il loro influsso presso il sinedrio e il popolo, condurranno l’opposizione fino alla condanna capitale (Cf. Mt 12,24.38; 16,1; 22,15.34-35; Mc 3,6).
In verità Gesù non si è mai messo contro la legge, mentre i farisei si perdevano nel numerare, soppesare e misurare i precetti, egli poneva al centro della morale la purezza dei sentimenti e la trasparenza dell’animo, non permettendo nessun vuoto tra la conoscenza e l’azione, nessuna dissonanza tra l’interno e l’esterno dell’uomo, sottomettendo ogni osservanza al valore supremo della carità.
In un’epoca tanto diversa da quella anteriore all’esilio, si poteva considerare il fariseismo come uno sforzo di aggiornamento della legge a una situazione nuova. Invece non gli si può perdonare d’aver dimenticato tutto l’approfondimento compiuto sulla legge dal profetismo per quattro secoli. I farisei preferirono agganciarsi alla tradizione della «halakà», un’interpretazione legale, giuridica della Torah, assurta a valore normativo uguale alla legge.
Mentre una volta la legge era gioia e corona dell’esistenza, e si diceva: «Tutto può crollare, si può perdere anche la patria, ma la legge nessuno può rapire, perché dove c’è la legge, là c’è vita eterna» (Pirkê Aboth 11,7), ora il fariseismo la riduceva a una maglia ferrea senza rotture, e ogni filo aveva la stessa importanza normativa per le azioni. Non ci fu uno sforzo per stabilire un rapporto interiore con essa. Era logico, dato che la legge era considerata manifestazione insondabile della volontà di Dio.
Ora, i comandi di Dio cadevano semplicemente sotto la considerazione di un esercizio di volontà.
Importante era la sottomissione, non lo spirito con cui questa era eseguita. I punti principali su cui i farisei esercitarono maggiormente la loro attività giuridica furono tre: il sabato, la purità legale, il pagamento delle decime. Essi li interpretavano in modo rigorista, elencando con minuziosità una casistica onerosa. Ma proprio qui si esercitò la critica di Gesù. Per cui la legge del sabato viene dopo l’esigenza del bene dell’uomo (Mc 2,23-28; 3,1-6 e par.). Quanto alle prescrizioni sul puro e l’impuro, la tradizione evangelica ci ha conservato un suo detto che incentra tutta l’attenzione sul «cuore», vera sede profonda da cui scaturisce l’azione, che porta a una prassi creatrice di morte: «Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo» (Mc 7,15). Parimenti Gesù contesta il massimalismo farisaico circa il dovere di pagare le decime: «Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l’amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre» (Lc 11,42; cf. Mt 23,23). Soprattutto, egli ha contestato l’ipocrisia farisaica. In proposito basta leggere, nel discorso antifarisaico di Mt 23, i sette «guai» agli scribi e farisei ipocriti (Cf. anche Mt 6,2.5.16).
Certo, Gesù ha anche riconosciuto il loro magistero, ma nello stesso tempo ne ha messo sotto processo la prassi incoerente: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno» (Mt 23,2-3).
Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me: «“Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei: osservate dunque e fate tutto ciò che essi vi dicono, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno; legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle degli uomini, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito” (Mt 23,2-1) … Il Signore non condannava ... la legge di Mosè, dal momento che li invitava ad osservarla fintanto che sussistesse Gerusalemme: ma erano [i Farisei] che egli biasimava, perché, pur proclamando le parole della Legge, erano vuoti d’amore e, per questo, violatori della Legge rispetto a Dio e al prossimo. Come dice Isaia: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me, è invano che mi rendono culto, mentre insegnano dottrine e comandamenti di uomini” (Is 29,13)» (Ireneo di Lione, Adv. Haer. IV, 12,1-4).
Il Santo del giorno - 18 Marzo 2025 - Sant’Anselmo di Lucca: Il patrono di Mantova è noto anche come Anselmo di Baggio (luogo di nascita) e come Anselmo II di Lucca, diocesi di cui fu vescovo. Visse 46 anni, dal 1040 al 1086. Oggi viene ricordato - oltre che a Mantova e a Lucca, dall’ordine benedettino, di cui era monaco - e a San Miniato. Lo zio, Papa Alessandro II, lo aveva voluto sulla cattedra episcopale toscana. Il nipote gli fu fedele nei contrasti con l’Imperatore Enrico IV, durante i quali fu consigliere presso Matilde di Canossa.
Fu anche un moralizzatore dei costumi ecclesiali. Il Papa lo inviò più volte in Germania e in Lombardia, dove divenne legato permanente. Si stabilì a Mantova, dove morì. Il corpo riposa in duomo. (Avvenire)
La partecipazione alla tua mensa, o Signore,
ci faccia progredire nell’impegno di vita cristiana
e ci ottenga il continuo aiuto della tua misericordia.
Per Cristo nostro Signore.
ORAZIONE SUL POPOLO ad libitum
Accogli con benevolenza, o Signore,
le suppliche dei tuoi fedeli
e guarisci le loro debolezze,
perché, ottenuta la grazia del perdono,
gioiscano sempre della tua benedizione.
Per Cristo nostro Signore.