16 Marzo 2025
II Domenica di Quaresima
Gn 15,5-12.17-18; Salmo Responsoriale Salmo 26 (27); Fil 3,17-4,1; Lc 9,28b-36
Colletta
O Padre,
che hai fatto risplendere la tua gloria
sul volto del tuo Figlio in preghiera,
donaci un cuore docile alla sua parola
perché possiamo seguirlo sulla via della croce
ed essere trasfigurati a immagine del suo corpo glorioso.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
556 Alla soglia della vita pubblica: il battesimo; alla soglia della pasqua: la trasfigurazione. Col battesimo di Gesù «declaratum fuit mysterium primae regenerationis fu manifestato il mistero della prima rigenerazione»: il nostro Battesimo; la trasfigurazione «est sacramentum secundae regenerationis è il sacramento della seconda rigenerazione»: la nostra risurrezione.
Fin d’ora noi partecipiamo alla risurrezione del Signore mediante lo Spirito Santo che agisce nel sacramento del corpo di Cristo. La trasfigurazione ci offre un anticipo della venuta gloriosa di Cristo «il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso» (Fil 3,21). Ma ci ricorda anche che «è necessario attraversare molte tribolazioni per entrare nel regno di Dio» (At 14,22):
«Pietro non lo capiva ancora quando sul monte desiderava vivere con Cristo. Questa felicità Cristo te la riservava dopo la morte, o Pietro. Ora invece egli stesso ti dice: Discendi ad affaticarti sulla terra, a servire sulla terra, a essere disprezzato, a essere crocifisso sulla terra. È discesa la vita per essere uccisa; è disceso il pane per sentire la fame; è discesa la via, perché sentisse la stanchezza del cammino; è discesa la sorgente per aver sete; e tu rifiuti di soffrire».
568 La trasfigurazione di Gesù ha come fine di consolidare la fede degli Apostoli in vista della passione: la salita sull’«alto monte» prepara la salita al Calvario. Cristo, Capo della Chiesa, manifesta ciò che il suo corpo contiene e irradia nei sacramenti: «la speranza della gloria» (Col 1,27).
I Lettura: Nel mondo antico nei patti tra gli uomini era il meno potente a impegnarsi, nel racconto biblico, invece, è Dio, il più potente, a impegnarsi e a sottoscrivere il patto. Questo sta ad esprimere l’azione libera di Dio di fronte all’uomo: nell’alleanza divina tutto avviene per grazia, senza l’opera dell’uomo. La promessa fatta da Dio ad Abramo ha sostenuto sempre il popolo d’Israele, sopra tutto nei momenti più drammatici della sua storia.
II Lettura: Paolo «mostra la inconciliabile differenza che esiste tra i giudaizzanti [e i gaudenti] e i veri cristiani: i primi pongono il punto di riferimento della loro morale in realtà fisiche e terrene, cioè la circoncisione del corpo, le osservanze alimentari ecc.; i cristiani invece volgono le loro attese verso i cieli, ossia verso il Regno di Dio, e verso la venuta finale di Gesù Signore, che realizzerà l’opera della salvezza conformando i nostri miseri corpi terreni al suo corpo di gloria. Questa trasfigurazione relativizza decisamente il valore assoluto che i giudaizzanti attribuiscono a tanti riti e osservanze inerenti al corpo terreno» (Rosario Scognamiglio).
Vangelo
Mentre Gesù pregava, il suo volto cambiò d’aspetto.
La trasfigurazione anticipa la gloria pasquale del Cristo. Mosè ed Elia sono i due testimoni che attestano il compimento delle promesse e l’inizio dei nuovi tempi nei quali Dio, in Cristo, avrebbe elargito a tutti gli uomini il dono della salvezza.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 9,28b-36
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Parola del Signore.
Il suo volto cambiò d’aspetto - Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e salì sul monte a pregare. Tutta la scena della trasfigurazione avviene in un clima di profonda preghiera: in questo modo, sia la trasfigurazione che la voce celeste, appaiono come la risposta del Padre alla preghiera ardente del Figlio.
Il monte dove Gesù si trasfigura, secondo una tradizione attestata già nel IV secolo da Cirillo di Gerusalemme e da Girolamo, è il Tabor, una montagna della Galilea dagli arabi chiamata “Gebel et-Tur” (Il monte Monte - la montagna per eccellenza).
Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto. Luca preferisce usare l’espressione il suo volto cambiò d’aspetto al posto di trasfigurazione (metamorfosi: Mt 17,2; Mc 9,2) per evitare che nella mente del suo lettore, di origine e di cultura greca, si evocassero immagini facilmente riconducibili ai riti dei misteri ellenistici. Il cambiamento d’aspetto, oltre ai tratti esterni come il fulgore e il candore della veste, evoca le grandi teofanie dell’Antico Testamento come la nube da cui scaturisce la voce del Padre (Cf. Es 40,35; Num 9,8-22). Ma è soprattutto «la realtà della gloria a caratterizzare questa trasfigurazione di Gesù: Pietro e i suoi compagni videro la sua gloria. La “gloria” appartiene esclusivamente a Dio, è manifestazione agli uomini della sua divinità. Questo segno teofanico ora risplende sul volto di Gesù, manifesta ai discepoli l’intimo suo essere: egli è lo stesso Dio, “irradiazione della gloria del Padre” (Eb 1,3)» (Rosario Scognamiglio).
Mosè ed Elia (il primo simboleggia la Legge, la Torah; il secondo i Profeti, quindi entrambi stanno a rappresentare tutto l’Antico Testamento) testimoniano che Gesù è colui che porta a compimento le Scritture. Insieme parlano dell’esodo di Gesù: Egli salirà a Gerusalemme, la città santa, per dare compimento, con la sua morte e la sua risurrezione, al progetto salvifico, «mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell’universo» (Ef 3,9), ora «manifestato mediante le scritture dei Profeti, per ordine dell’eterno Dio, annunciato a tutte le genti perché giungano all’obbedienza della fede» (Rom 16,26).
Pietro e i suoi compagni oppressi dal sonno ... Il torpore e la paura sono segni inequivocabili che l’uomo sta per entrare in contatto con il soprannaturale (Cf. Is 6,5; Dn 7,15; Ap 1,17). Nonostante tutto Pietro, Giacomo e Giovanni restano svegli e vedono «la gloria [di Gesù] e i due uomini che stavano con lui». Questa esperienza si imprimerà in modo indelebile nel loro cuore e sarà ricordata da Pietro: noi «siamo stati testimoni oculari della sua grandezza. Egli infatti ricevette onore e gloria da Dio Padre, quando giunse a lui questa voce dalla maestosa gloria: “Questi è il Figlio mio l’amato, nel quale ho posto il mio compiacimento”. Questa voce noi l’abbiamo udita discendere dal cielo mentre eravamo con lui sul santo monte» (2Pt 1,17-18).
Mentre [Pietro] parlava così, venne una nube. Nella sacra Scrittura, la nube, oltre ad essere simbolo dell’effimero (Cf. Gb 7,9; 30,15; Sap 2,4; ecc.), è «segno della presenza del Signore perché, da un lato, nasconde la luce del sole divenendo così un emblema della trascendenza e del mistero di Dio» (Gianfranco Ravasi). Una colonna di nube guida Israele nel suo esodo verso la terra promessa (Cf. Es 13,21; 14,20.36.38). Essa riempie il tempio (Cf. Es 40,34; Num 9,15; 17,7) e Dio e il Figlio dell’uomo verranno sulle nubi (Cf. Dt 33,25; Mt 26,64). Da ciò si comprende la paura dei tre apostoli.
Gli apostoli entrati nella nuvola, sentono una voce che dichiara loro: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Siamo nel cuore del mistero svelato.
Questo intervento di Dio Padre segna il vertice della teofania del Tabor.
L’autore e il protagonista supremo della storia della salvezza, il «Padre, Signore del cielo e della terra» (Mt 11,25), rompe di nuovo il silenzio e si fa sentire con forza.
Sul Tabor, Dio Padre non solo conferma l’attestazione del Giordano: «Questi è il mio Figlio l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento» (Mt 3,17; Cf. Mc 1,11; Lc 3,21), ma aggiunge perentoriamente: Ascoltatelo! Sempre. Anche quando invita i suoi discepoli a seguirlo sull’irta strada della croce (Cf. Lc 9,23).
Paul De Surgy - Trasfigurazione: 1. Situazione. - Nei vangeli la trasfigurazione di Cristo è collocata in un momento decisivo, quello in cui Gesù, riconosciuto dai suoi discepoli come Messia, rivela loro come si compirà la sua opera: la sua glorificazione sarà una risurrezione, il che implica il passaggio attraverso la sofferenza e la morte (Mt 17, 1-9 par.; cfr. 16, 13-23 par.). Questo contesto dà alla scena il suo significato nella vita di Cristo e la sua fecondità nella vita del cristiano. Gesù vi appare realizzante le Scritture (cfr. Lc 24, 44 ss) ed i loro oracoli sul Messia, sul servo di Dio e sul figlio dell’uomo.
2. Il mistero. - Gesù sceglie come testimoni dell’avvenimento coloro che saranno testimoni della sua agonia: Pietro (cfr. 2 Piet 1, 16 ss), Giacomo e Giovanni (Mc 14, 33 par.; cfr. 5, 37). La scena evoca le teofanie di cui furono testimoni Mosè ed Elia sul monte di Dio (Sinai-Horeb, cfr. Es 19, 9; 24, 15-18; 1 Re 19, 8-18). Dio non manifesta soltanto la sua presenza parlando dalla nube e dal fuoco (Deut 5, 2-5); ma, in presenza di Mosè e di Elia, Gesù appare ai discepoli trasfigurato dalla gloria di Dio. Questa gloria suscita il loro spavento, timore religioso dinanzi al divino (cfr. Lc 1, 29 s); ma provoca pure una suggestiva riflessione di Pietro, che esprime la sua gioia dinanzi alla gloria di colui del quale ha confessato la messianità; Dio abiterà con i suoi, come hanno annunciato i profeti dei tempi messianici. Tuttavia la gloria non è quella dell’ultimo giorno; essa non fa che illuminare le vesti e la faccia di Gesù, come un tempo irradiava il volto di Mosè (Es 34, 29 s. 35). È la gloria stessa di Cristo (Lc 9, 32) che è il Figlio diletto, come proclama la voce che esce dalla nube. Nello stesso tempo questa voce ratifica la rivelazione che Gesù ha fatto ai suoi discepoli e che è l’oggetto del suo colloquio con Mosè ed Elia: l’«esodo» di cui Gerusalemme sarà il punto di partenza (Lc 9, 31), il passaggio attraverso la morte, necessario all’ingresso nella gloria (cfr. Lc 24, 25 ss); infatti la voce divina comanda di ascoltare colui che è il Figlio, l’eletto di Dio (Lc 9, 35). La parola che echeggia sul nuovo Sinai rivela che una nuova legge prenderà il posto della legge data anticamente; questa parola evoca tre oracoli del VT: uno che concerne il Messia e la sua filiazione divina (Sal 2, 7), l’altro che riguarda il servo di Dio, il suo eletto (Is 42, 1), il terzo in cui è annunciato un nuovo Mosè (Deut 18, 15; cfr. Gv 1, 17 s): «Jahvè tuo Dio susciterà... un profeta come me: lui ascolterete».
Ascoltarlo, significa di fatto ascoltare il Verbo fatto carne, nel quale il credente vede la gloria di Dio (cfr. Gv 1, 14).3.
Scopo e frutto dell’avvenimento. - La trasfigurazione conferma la confessione di Cesarea e consacra la rivelazione di Gesù, figlio dell’uomo sofferente e glorioso, la cui morte e risurrezione realizzeranno le Scritture. Rivela la persona di Gesù, Figlio diletto e trascendente, che possiede la gloria stessa di Dio. Manifesta Gesù e la sua parola come la nuova legge.
Anticipa e prefigura l’avvenimento pasquale, che, per la via della croce, introdurrà Cristo nella piena manifestazione della sua gloria e della sua dignità filiale. Questa esperienza anticipata della gloria di Cristo è destinata a sostenere i discepoli nella loro partecipazione al mistero della croce. Resi partecipi, mediante il battesimo, del mistero di risurrezione prefigurato dalla trasfigurazione, i cristiani sono chiamati fin d’ora ad essere sempre più trasfigurati dall’azione del Signore (2 Cor 3, 18), in attesa di esserlo totalmente con il loro corpo al momento della parusia (Fil 3, 21).
Nella loro partecipazione terrena alle sofferenze di Cristo, ogni incontro autentico con il Signore Gesù ha un po’, per il sostegno della loro fede, la stessa funzione della trasfigurazione per il sostegno della fede dei discepoli.
Nerses Snorhali, Jesus, 492-493 (La Trasfigurazione [Mt 17,1-8])
Tu che hai manifestato la tua Divinità
Ai discepoli tuoi sulla montagna,
E del Padre hai mostrato l’ineffabil gloria
Sfolgorante ai loro occhi,
Purifica così il mio oscuro spirito
E i sensi miei sì tenebrosi,
Perché chiaramente al luogo della Parusia
Saziarmi lo possa di tua divina Gloria!
Il Santo del Giorno - 16 Marzo 2025 - Santi Ilario e Taziano, Testimoni delle antiche radici comuni d’Europa: Due santi alle radici della fede nel cuore dell’Europa, pilastri di una Chiesa, quella di Aquileia, capace di tenere insieme popoli e culture diverse sotto il segno del Vangelo. La memoria dei santi Ilario e Taziano oggi ci ricorda proprio le radici comuni sulle quali si fonda l’intero Vecchio Continente. Nel Martirologio geronimiano il nome di Ilario corrisponde a quello del secondo vescovo di Aquileia, associato, come si usava al tempo, al “suo” diacono, Taziano. Secondo la tradizione i due esponenti della comunità cristiana di Aquileia subirono il martirio sotto Numeriano il 16 marzo 284. Secondo alcuni studi però la loro morte sarebbe da anticipare di una trentina di anni, al tempo dell’imperatore Decio. Ciò che è certo è il segno profondo lasciato dai due martiri ad Aquileia, dove già nel IV secolo si trovava un “martyrium” a loro dedicato. Nel 586 per timore dei Longobardi, il patriarca Paolo si rifugiò a Grado, portandovi i corpi dei santi martiri, fra cui quello di Ilario e Taziano. A Gorizia già all’inizio del XIII secolo era loro dedicata una chiesa, che oggi è la Cattedrale. (Autore Matteo Liut)
Per la partecipazione ai tuoi gloriosi misteri
vogliamo renderti grazie, o Signore,
perché a noi ancora pellegrini sulla terra
fai pregustare i beni del cielo.
Per Cristo nostro Signore.
ORAZIONE SUL POPOLO
Benedici sempre i tuoi fedeli, o Padre,
perché, aderendo al Vangelo
del tuo Figlio unigenito,
possano desiderare e raggiungere
la gloria manifestata agli apostoli
in tutta la sua bellezza.
Per Cristo nostro Signore.