14 Marzo 2025
 
Venerdì I Settimana di Quaresima

Ez 18,21-28; Salmo Responsoriale Dal Salmo 129 (130); Mt 5,20-26
 
Colletta
Concedi, o Signore, alla tua Chiesa
di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua,
perché il comune impegno nella mortificazione corporale
porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito.
Per il nostro Signore Gesù Cristo. 
 
La vera penitenza è anche ascesi fisica - Paenitemini (Costituzione Apostolica di Sua Santità Paolo VI, II): Il carattere preminentemente interiore e religioso della penitenza, e i nuovi mirabili aspetti che in Cristo e nella Chiesa essa assume, non escludono né attenuano in alcun modo la pratica esterna di tale virtù, anzi ne richiamano con particolare urgenza la necessità e spingono la Chiesa, attenta sempre ai segni dei tempi, a cercare, oltre l’astinenza e il digiuno, espressioni nuove, più atte a realizzare, secondo l’indole delle diverse epoche, il fine stesso della penitenza.
La vera penitenza però non può prescindere, in nessun tempo, da una ascesi anche fisica: tutto il nostro essere, infatti, anima e corpo, anzi tutta la natura, anche gli animali senza ragione, come ricorda spesso la Sacra Scrittura, deve partecipare attivamente a questo atto religioso con cui la creatura riconosce la santità e maestà divina.
La necessità poi della mortificazione del corpo appare chiaramente se si considera la fragilità della nostra natura, nella quale, dopo il peccato di Adamo, la carne e lo spirito hanno desideri contrari tra loro. Tale esercizio di mortificazione del corpo, ben lontano da ogni forma di stoicismo, non implica una condanna della carne, che il Figlio di Dio si è degnato di assumere; anzi, la mortificazione mira alla «liberazione» dell’uomo, che spesso si trova, a motivo della concupiscenza, quasi incatenato dalla parte sensitiva del proprio essere; attraverso il «digiuno corporale» l’uomo riacquista vigore e «la ferita inferta alla dignità della nostra natura dall’intemperanza, viene curata dalla medicina di una salutare astinenza».
Nel Nuovo Testamento e nella storia della Chiesa, nonostante il dovere di far penitenza sia motivato soprattutto dalla partecipazione alle sofferenze di Cristo, tuttavia la necessità dell’ascesi che castiga il corpo e lo riduce in schiavitù, è affermata con particolare insistenza dall’esempio di Cristo medesimo.
Contro il reale e sempre ricorrente pericolo di formalismo e di fariseismo, nella Nuova Alleanza, come ha fatto il divin Maestro, così gli Apostoli, i Padri, i Sommi Pontefici hanno apertamente condannato ogni forma di penitenza che sia puramente esteriore. L’intimo rapporto che, nella penitenza, intercorre tra atto esterno e conversione interiore, preghiera e opere di carità, è affermato e sviluppato largamente nei testi liturgici e negli autori di ogni tempo.
 
I Lettura: Ai sedicenti sapienti d’Israele che accusavano Dio di non essere retto nel suo agire, il profeta Ezechiele ricorda il principio della responsabilità individuale. Da questa controversia scaturisce anche una novità: l’uomo non è condizionato dal suo passato; se è stato un malvagio, se vuole, può convertirsi e godere della salvezza. Ma come il perverso può diventare buono, così il giusto può diventare cattivo. Ogni uomo è costruttore del proprio destino, o di morte o di vita. Nessuno, quindi, disperi della salvezza e nessuno sia così arrogante da sentirsi già salvo: “dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore” (cfr. Fil 2,12), un monito rivolto a tutti gli uomini.
 
Vangelo
Va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello. 
 
Al tempo di Gesù era molto diffusa una concezione piuttosto unilaterale: la giustizia doveva consistere nell’adempimento fedele delle prescrizioni della legge. A Dio toccava solo fare il bilancio tra le osservanze e le mancanze. Nel Nuovo Testamento abbiamo una svolta. Dio realizza la giustizia «per mezzo di Gesù Cristo» (Fil 1,11). I cristiani perciò diventano giusti non per mezzo della legge, ma rimettendosi totalmente a Cristo, per mezzo della  fede («giustificazione per mezzo della fede» Rm 3,28) e attraverso la grazia e la misericordia di Dio (Tt 3,7). Da questo dono deriva, per chi è diventato giusto, «una nuova vita» (Rm 6,4; 12s) nell’amore. Gesù stesso «ha adempiuto tutta la giustizia» (Mt 3,15) e l’ha raccomandata (Mt 5,6; fame e sete di giustizia). In una nuova economia i cristiani debbono «fare la giustizia» (1Gv 2,29), superando quella dei Farisei. 
 
Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 5,20-26
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna.
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono.
Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».
 
Parola del Signore.
 
Se la vostra giustizia... è un aperto rimprovero ai farisei che avevano deformato lo spirito della Legge, riducendo il loro impegno religioso a una formale interpretazione della Legge di Dio. La giustizia dei farisei era quindi il frutto di una ipocrita osservanza esteriore della Legge, deprecata dagli uomini e rigettata da Dio (Cf. Lc 18,9-14). Invece, il vero giusto per la sacra Scrittura è colui che si sforza sinceramente di adempiere la volontà di Dio (Cf. Mt1,19), che si manifesta sopra tutto nei Comandamenti. Per avvicinarci al nostro linguaggio cristiano, giustizia è sinonimo di santità (Cf. 1Gv 2,29; 3,7-10; Ap 22,11).
Ma io vi dico... un’espressione che mette in risalto l’autorità di Gesù: poiché la sua potestà è divina, Egli è superiore a Mosè e ai Profeti. Una prerogativa rigettata dai farisei, ma accolta dalla folla che seguiva il Maestro di Nazaret: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22; Cf. Mt 7,28).
Stupido... Epiteto ingiurioso cui si accompagnava a un gran disprezzo, che spesso veniva espresso non solo con le parole, ma sputando a terra. Pazzo, ancora più offensivo perché a volte voleva sottintendere un’aperta ribellione alla volontà di Dio.
Norme esigenti, ma possibili da mettere in campo se si fa ricorso al comandamento dell’amore dal quale tutti gli altri comandamenti traggono il loro significato e la loro forza: «Allora i farisei, avendo udito che egli [Gesù] aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”» (Mt 22,34-40).
Se non si fa ricorso a questa soluzione si corre il rischio di scivolare in una casistica nella quale il credente si troverebbe a vivere una fede asfittica, lontana dalle vere esigenze evangeliche. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.
 
Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare - Ortensio da Spinetoli (Matteo): Il precetto dell’amore fraterno è superiore anche a quello del culto. L’evangelista richiama in questo contesto un brano connesso col tema della carità. La pace con il fratello condiziona il rappacificamento o l’incontro con Dio. Basta che l’offerente non sia pienamente in pace con i simili per non sentirsi pienamente in pace con Dio. Se vi è un ostacolo tra il cristiano e il suo prossimo, è inutile accostarsi a Dio perché il medesimo ostacolo si ritroverà tra lui e il Signore. Ciò che chiude il contatto con i fratelli chiude anche con Dio. Per questo la raccomandazione di Gesù è urgente: «Va’ prima, riconciliati, poi torna». Non solo chi ha offeso, ma anche chi è stato offeso deve riconciliarsi col fratello prima di compiere un’offerta o, semplicemente, di prender parte a un atto di culto. Ciò è ancora più chiaro nel testo parallelo di Mc. 11,25. Non è questione di torto o di ragione, il fatto è che c’è «qualcosa» che divide due membri della stessa comunità; tale ostacolo deve scomparire per poter comunicare con Dio.
Il tema della riconciliazione rievoca un altro detto, più generico, di Gesù sullo stesso argomento. Può darsi che l’esortazione si riporti a due reali contendenti invitati a mettersi d’accordo prima di giungere in tribunale, evi­tando così il rischio di perdere la causa e di subirne le conseguenze, ma non è improbabile che si riferisca agli uomini in genere, più verosimilmente ai fedeli, esortandoli a vivere in pace con tutti per timore che il giudice o giudizio divino non li raggiunga prima che abbiano fatto in tempo ad accordarsi. Bisogna riconciliarsi finché si è ancora in cammino verso la mèta, perché ci si può trovare davanti a Dio prima di aver avuto il tempo di far pace. Il precetto, che ritorna anche qui alla fine, è quello di essere caritatevoli in tutti i modi e con tutto l’impegno. È il comandamento di Cristo, che vale  anche per il momento presente.
 
Il perdono delle offese - J. Giblet e M.P. Lacan (Dizionario di Teologia Biblica): Già nel VT, non soltanto la legge pone un limite alla vendetta con la regola del taglione (Es 21,25), ma vieta anche l’odio per il fratello, la vendetta ed il rancore verso il prossimo (Lev 19,17s). Il sapiente Ben Sira ha meditato queste prescrizioni; ha scoperto il legame che unisce il perdono accordato dall’uomo al suo simile col perdono che egli chiede a Dio: «Perdona al tuo prossimo i suoi torti; allora, per la tua preghiera, ti saranno rimessi i tuoi peccati. Se uno nutre ira contro un altro, come può chiedere a Dio la guarigione? Egli è senza compassione per un uomo, suo simile, e pregherebbe per le sue proprie colpe? (Eccli 27,30 - 28,7). Il libro della Sapienza completa questa lezione ricordando al giusto che, nei suoi giudizi, deve prendere come modello la misericordia di Dio (Sap 12,19.22).
Gesù riprenderà e trasformerà questa duplice lezione. Come il Siracide, egli insegna che Dio non può perdonare a chi non perdona, e che, per domandare il perdono di Dio, occorre perdonare al proprio fratello. La parabola del debitore spietato inculca con forza questa verità (Mt 18,23-35), sulla quale Cristo insiste (Mt 6,14s) e che ci impedisce di dimenticare, facendocela ripetere ogni giorno: nel Pater, dobbiamo poter dire che perdoniamo; questa affermazione è collegata alla nostra domanda ora con un perché, che ne fa la condizione del perdono divino (Lc 11,4), ora con un come, che ne fissa la misura (Mt 6,12).
Gesù va più lontano: come il libro della Sapienza, egli presenta Dio quale modello di misericordia (Le 6,35s) a coloro di cui è il Padre e che lo devono imitare per essere suoi veri figli (Mt 5,43ss.48). Il perdono non è soltanto una condizione preliminare della nuova vita; ne è uno degli elementi essenziali: Gesù quindi comanda a Pietro di perdonare instancabilmente, in opposizione al peccatore che tende a vendicarsi senza misura (Mt 18,21s; cfr. Gen 4,24).
Seguendo l’esempio del Signore (Lc 23,34), Stefano è morto perdonando (Atti 7,60). Per vincere come essi il male con il bene (Rom 12,21; cfr. 1Piet 3,9), il cristiano deve sempre perdonare, e perdonare per amore, come Cristo (Col 3,13), come il Padre suo (Ef 4,32).
 
Dal profondo a te grido, o Signore: «Dalle profondità del cuore, con un desiderio ardente e un grande slancio dello spirito. Tali sono le anime afflitte: mettono in moto tutto il loro cuore e tutto il loro essere; invocano Dio con grande compunzione e così sono esaudite. Tali preghiere sono molto potenti e il diavolo non può far nulla contro di esse: sono come un albero che ha radici molto profonde e che resiste perciò al vento. Preghiere con radici così profonde non saranno rese vane né dalle distrazioni, per quanto numerose possano essere, né dagli assalti dei demoni. I santi pregavano con una tale forza che piegava tutto il loro corpo. Elia cercava prima la solitudine, poi nascondeva la testa tra le ginocchia e quindi effondeva le sue preghiere... Prega anche in piedi, ma sempre con una tale forza che può far scendere il fuoco dal cielo o risuscitare un morto» (Giovanni Crisostomo).
 
 Il Santo del giorno - 14 Marzo 2025 - Santa Matilde di Germania, Regina: Da lei e da suo marito Enrico I (duca di Sassonia e più tardi re di Germania) discende la casata che conterà quattro imperatori: la famosa dinastia sassone. Educata nel monastero di Herford, in Westfalia, dove sua nonna era badessa, Matilde sa leggere e scrivere, un fatto non frequentissimo nelle grandi casate del tempo, e non si mantiene estranea alle vicende della politica. Quando nel 936 muore suo marito Enrico, lei non è molto favorevole al primogenito Ottone come successore e tenta di far proclamare re il più giovane Enrico. Si arriva a un conflitto tra i due fratelli. Dopo l’incoronazione imperiale di Ottone a Roma (962) la famiglia è riconciliata. Matilde si ritira nel monastero di Nordhausen, dove, dopo essersi spesa per i poveri e i malati, si ammala, e più tardi si trasferisce in un altro monastero: a Quedlimburgo, in Sassonia dove morirà. (Avvenire)
 
Questi santi sacramenti che abbiamo ricevuto
ci rinnovino profondamente, o Signore,
perché liberi dalla corruzione del peccato
entriamo in comunione
con il tuo mistero di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.
 
ORAZIONE SUL POPOLO ad libitum

Guarda con bontà, o Signore, il tuo popolo,
e fa’ che le sue opere di penitenza
manifestino una vera conversione interiore.
Per Cristo nostro Signore.