9 Febbraio 2025
V Domenica T. O.
Is 6,1-2a.3-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 137 (138); 1Cor 15,1-11; Lc 5,1-11
Colletta
O Dio, tre volte santo,
che hai scelto gli annunciatori della tua parola
tra uomini dalle labbra impure,
purifica i nostri cuori con il fuoco della tua parola
e perdona i nostri peccati con la dolcezza del tuo amore,
così che come discepoli seguiamo Gesù,
nostro Maestro e Signore.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore: Catechismo della Chiesa Cattolica 208: Di fronte alla presenza affascinante e misteriosa di Dio, l’uomo scopre la propria piccolezza. Davanti al roveto ardente, Mosè si toglie i sandali e si vela il viso al cospetto della Santità divina. Davanti alla Gloria del Dio tre volte santo, Isaia esclama: «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono» (Is 6,5). Davanti ai segni divini che Gesù compie, Pietro esclama: «Signore, allontanati da me che sono un peccatore» (Lc 5,8).
Ma poiché Dio è santo, può perdonare all’uomo che davanti a lui si riconosce peccatore: «Non darò sfogo all’ardore della mia ira... perché sono Dio e non uomo, sono il Santo in mezzo a te» (Os 11,9). Anche l’apostolo Giovanni dirà: «Davanti a lui rassicureremo il nostro cuore, qualunque cosa esso ci rimproveri. Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa» (1Gv 3,19-20).
I Lettura: La santità di Dio «è un tema centrale della predicazione di Isaia, che chiama spesso Jahve “il Santo di Israele” [Is 1,4; 5,19.24; 10,17.20; 41,14.16.20; ecc.]. Questa santità di Dio esige dall’uomo che sia anche lui santificato, cioè separato dal profano [Lv 17,1], purificato dal peccato, partecipando alla “giustizia” di Dio [cf. Is 1,26 e Is 5,16]» (Bibbia di Gerusalemme). La prontezza del profeta Isaia richiama la fede di Abramo (Gen 12,1-4) ed è in contrasto con le incertezze di Mosè (Es 4,10-12) e soprattutto di Geremia (Ger 1,6). San Giovanni, riferendosi a questo passo, afferma in 12,41 che Isaia vide la gloria di Gesù, facendo in questo modo una chiarissima attestazione della sua divinità.
II Lettura: Alcuni cristiani di Corinto respingevano la risurrezione dei morti. Forse erano di cultura greca in quanto i greci consideravano la risurrezione una concezione grossolana (At 17,32). Per fugare ogni dubbio sulla risurrezione di Cristo, Paolo si appella alla testimonianza di molti testimoni oculari. Negare la risurrezione di Cristo è svuotare di ogni valore la predicazione cristiana. I cristiani di Corinto avrebbero creduto invano e il Vangelo non servirebbe alla loro salvezza. Col ricordare poi le apparizioni del Risorto che segnarono la sua vocazione apostolica, Paolo vuole sottolineare che il suo mandato a predicare non viene dagli uomini, ma da Dio. Per cui la sua predicazione va accolta «non quale parola di uomini, ma, come è veramente, quale parola di Dio» ( 1 Ts 2,13).
Vangelo
Lasciarono tutto e lo seguirono.
Luca ha riunito in questo racconto la storia di una pesca miracolosa e la chiamata di Simone. La reazione di Pietro mette in evidenza una peculiarità del carattere di Pietro: l’umiltà che spesso si associa al suo carattere irruento e a volte irriflessivo.
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 5,1-11
In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.
Parola del Signore.
Non temere, d’ora in poi sarai pescatore di uomini - Gesù è sempre più assediato dalla folla desiderosa di ascoltare la sua Parola. Gli evangelisti amano sottolineare che le folle restavano stupite dell’insegnamento di Gesù perché «insegnava loro come uno che ha autorità, e non come i loro scribi» (Mt 7,28-29). La Parola di Dio «diventa il punto d’incontro tra Gesù e le folle: Gesù per servirla, le folle per ascoltarla [servitore e uditori della Parola]» (Carlo Ghidelli). Da qui l’accalcarsi della folla e il cercare Gesù in ogni luogo.
Per meglio farsi ascoltare Gesù sale sulla barca di Simone. Sedutosi, che è la postura dei maestri, si mette ad ammaestrare le folle. Finito di parlare chiede a Simone di prendere il largo e di calare le reti per la pesca. L’invito fatto in condizioni sfavorevoli - «abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla» - mette in evidenza la prescienza di Gesù: «egli infatti sapeva bene quello che stava per fare» (Gv 6,6).
Non abbiamo preso nulla; sulla tua parola getterò le reti. La risposta che Simone dà a Gesù marca il carattere di quest’uomo abituato alla fatica: forse rude nei tratti, a volte impulsivo, ma sostanzialmente buono e umile per cui si fida di Gesù e della sua parola. Infatti, da buon pescatore, Simone sa che è assurdo l’invito di Gesù, ma accetta ben volentieri e la sua fede verrà premiata da una pesca abbondante: tanto enorme era la quantità di pesci che «le reti quasi si rompevano» (Questo ultimo particolare avvicina il racconto lucano a quello giovanneo di 21,1ss).
Pietro, denominato con questo soprannome per la prima volta in Luca, percepisce la santità di Gesù e il gettarsi alle sue ginocchia è la conseguenza logica di questa sua comprensione: è la reazione dell’uomo affascinato e terrorizzato all’irrompere del soprannaturale nella sua vita. L’uomo davanti al divino, percepisce la sua miseria, il suo peccato. Simone capisce che tra lui e Gesù c’è una distanza infinita: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore».
Pietro, con il suo stupore e con la sua umile confessione, «si colloca nella schiera dei profeti come Isaia che hanno reagito alla vista della gloria del Signore in maniera analoga [cfr. LXX Is 6,5] e rappresenta inoltre i “peccatori” che nel racconto di Luca rispondono positivamente a Gesù [5,30.32; 7,34.39; 15,1-2.7.10; 18,13; 19,7]» (L. T. Johnson).
A un uomo di tale tempra e di tanta umiltà, Gesù può affidare una meravigliosa impresa, quella di essere pescatore di uomini. Il mare per gli antichi era la sede dei demoni, l’immagine è quindi molto forte: a Simon Pietro toccherà in sorte il nobile impegno di strappare gli uomini dal dominio di satana e liberarli dal giogo del peccato e della morte. In questo senso va il termine greco - zogron - usato per pescatore a cui appunto talvolta viene dato il senso di salvare dalla morte (il testo greco letteralmente ha: da ora [gli] uomini sarai prendente vivi).
Un mandato che Pietro vivrà con intensità fino al dono totale della sua vita.
Luca, infine, sottolinea la prontezza nel seguire Gesù: «Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono». Il termine tutto è proprio di Luca essendo assente negli altri sinottici. Tale «“totalità” nella sequela del Cristo costituisce un elemento caratterizzante di Luca, che accentua molto il radicalismo evangelico [...]. Infatti, secondo l’insegnamento di Luca, per essere autentici discepoli del Cristo, bisogna rinunciare a tutti i propri beni [Lc 14,33]» (Salvatore Panimolle). Una sequela senza sconti: bisogna rinunciare a tutto, anche alla vita.
Ho visto il Signore - Isaia dinanzi alla manifestazione della gloria e della santità di Dio sente il peso della sua povertà e del suo peccato. Viene purificato con il fuoco, un’immagine che nel Nuovo Testamento è usata per raffigurare lo Spirito Santo,
Lo Spirito Santo scese in forma di lingue di fuoco sugli Apostoli (Atti 2,3) rendendoli coraggiosi annunciatori del Vangelo. La forma delle fiamme (cfr. Is 5,24; 6,6-7) nel racconto pentecostale deve esser messa in relazione con il dono delle lingue, quindi con l’annuncio del Vangelo. Gesù lo aveva promesso: dopo la sua partenza, lo Spirito Santo lo avrebbe sostituito presso i fedeli (cfr. Gv 14,26) e scendendo su di essi con potenza, fortificandoli nell’amore e nella fede, li avrebbe resi testimoni della Verità fino agli estremi confini della terra (cfr. Atti 1,8). L’azione dello Spirito Santo nella vocazione cristiana è insostituibile: solo il Consolatore (cfr. Gv 14,26; 16,7), ardendo nel cuore dei battezzati e distruggendo con le sue fiamme purificatrici l’uomo vecchio, può rendere capaci di compiere la missione profetica cristiana come uomini nuovi (cfr. Gal 6,8; Ef 6,24).
«La Chiesa che, proprio in ordine alla sua missione, fu mondata dallo Spirito Santo e l’acqua [Gv 3,5; Ef 5,26], invoca sempre il dono della presenza divina, cioè dello Spirito Santo, quando trasmette la missione di Cristo. Lo invoca sui candidati all’episcopato, al sacerdozio e al diaconato nel rito di ordinazione. Lo invoca anche nelle professioni religiose, su coloro che si consacrano a Dio con l’osservanza dei consigli evangelici della castità, della povertà e dell’ubbidienza» (Vincenzo Raffa).
Solo lo Spirito Santo e soltanto lui, può cucire addosso al cristiano l’abito del profeta: un abito fatto con la stoffa della libertà e dell’amore.
Tutti i battezzati sono profeti, ma vi sono delle regole da rispettare.
Innanzi tutto, il vocato è un uomo libero. Il profeta non è vincolato da interessi di nessun genere, è libero dinanzi ai potenti e ai semplici, dinanzi ai re e ai poveri: «Ho annunciato la tua giustizia nella grande assemblea; vedi: non tengo chiuse le labbra, Signore, tu lo sai» (Sal 40,10).
Il profeta non è un mercenario: «Così dice il Signore contro i profeti che fanno traviare il mio popolo, che annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra. Quindi per voi sarà notte invece di visioni, tenebre per voi invece di responsi. Il sole tramonterà su questi profeti e oscuro si farà il giorno su di loro» (Mi 3,5-6).
A motivo di tangenti e di regali, molti cristiani sono impediti nel loro ministero profetico, cioè non possiedono il coraggio di denunciare e di gridare, perché trovano sempre qualcuno che mette loro in bocca qualcosa da «mordere con i denti».
Il profeta è soprattutto un uomo che «cammina nella giustizia e parla con lealtà e scuote le mani per non accettare regali» (Is 33,15) e così, sovranamente libero, può, pieno di forza e di coraggio, «annun-ziare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato» (Mi 3,8).
Poi è chiesta la fedeltà che per il cristiano-profeta significa almeno due cose.
Primo, poiché la missione è esclusivamente una missione di salvezza - «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,10) -, perché la pesca sia abbondante occorre che i «pescatori» condividano il destino di Colui che li ha chiamati: devono, come Lui, abbandonare tutto (cfr. Mc 10,21.28; Lc 5,11); devono, come Colui che li ha amati sino alla fine (cfr. Gv 13,1), essere pronti alla sofferenza e alla croce (cfr. Mt 10,38; 16,24; Gv 12,24-26). La vita cristiana inequivocabilmente si esprime in termini di comunione (cfr. Fil 3,10; 1Gv 1,3; ecc.) e di imitazione (cfr. 2Ts 3,7).
Secondo, il profeta, poiché parla nel nome di Gesù, deve essere fedele al mandato ricevuto e così chi riceve il Vangelo di Cristo. Tutta «la Chiesa nascente agisce e parla nel nome di Gesù Cristo [...]. Forse anche noi abbiamo lo zelo che avevano questi primi evangelisti. Siamo più irrequieti di loro, più fecondi di iniziative. Ma il nostro messaggio ha conservato la purezza del loro? La nostra testimonianza è sempre, in egual misura, “conforme al Vangelo del Cristo”»? (Henri de Lubac).
Per evitare ogni tentazione di trasgressione il cristiano-profeta ha una sola strada: come Cristo, deve essere un «servo della Parola» (cfr. Atti 6,4: thè diakonia tou logou) ed avere la coscienza di essere un povero, piccolo e inutile servo: «Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17,10).
Proviamo a fare un esame di coscienza!
La corte celeste - John L. McKenzie (Angeli in Dizionario Biblico): Yahweh è accompagnato da un corteo celeste. Nei libri più antichi questa idea appare soltanto in Gs 5,14 (il capo dell’esercito di Yahweh) e in 1Re 22,19 (Michea vede Yahweh circondato dall’esercito del cielo). Questo corteo viene chiamato «i santi» (Sal 89,6; Gb 51; Dn 8,13), e «i figli di elohim» o i «figli di elim» (Sal 29,1; 89,7; Gb 1,6; 2,1; 38,7). Questa corte raramente è chiamata «messaggeri», ma i messaggeri hanno l’incarico di custodire l’uomo (Sal 91,11) e il messaggero di Yahweh guida Israele attraverso il deserto. I messaggeri sono chiamati a lodare Yahweh (Sal 103,20; 148,2), come i cori di Israele lo lodano nel tempio. L’idea di una corte celeste deriva facilmente dalla concezione di Yahweh come re e signore; non occorre ricorrere alle religioni persiane o mesopotamiche per spiegarne lo sviluppo in Israele, anche se da queste fonti possono avere avuto origine alcune caratteristiche rappresentative.
Il messaggero di Yahweh continua ad apparire anche nei libri più tardivi. Si accompagna con coloro che temono Yahweh come il messaggero dell’esodo (Sal 34,8) e perseguita i malvagi (Sal 35,5-6). Raffaele, uno dei sette santi angeli che offrono le preghiere del popolo di Dio, assiste Tobit e suo figlio nelle loro necessità (Tob 12,15). Soprattutto appare come mediatore fra Yahweh e i profeti.
Le visioni in Zc 1,7-6,15 sono spiegate ciascuna dall’angelo che accompagna il profeta. La stessa concezione si riscontra in Dn 8,16ss; 9,21ss, dove l’angelo riceve un nome, Gabriele. In Dn 10,13.21 appare il «principe» Michele, l’angelo del popolo di Israele, che lotta contro i principi di Grecia e di Persia in difesa di Israele. La stessa funzione di interpretazione è compiuta dall’«uomo» in Ez 4,3ss, ed Elihu (Gb 33,23) afferma che Dio invierà un «angelo interprete» a intercedere per l’uomo colpito dalla sofferenza. Vi è un evidente contrasto fra questa rappresentazione e la «parola di Yahweh» che giunge direttamente ai profeti nei libri profetici più antichi; la rivelazione di Yahweh come le sue operazioni sono attuate mediante un essere celeste affinché la trascendenza divina appaia più chiaramente.
Per fede Pietro getta le reti dell’insegnamento di Gesù - Massimo di Torino, Sermoni 110, 2: Ma perché tu comprenda che il Signore parlava della pesca spirituale, Pietro dice: Signore, pur faticando tutta la notte non abbiamo preso nulla, ma, sulla tua parola, getterò le reti; ed è come se dicesse: «Poiché, pur avendo faticato tutta la notte, la pesca non ci ha dato risultati, ormai pescherò non con gli attrezzi, ma con la grazia, non con l’abilità del mio mestiere, ma con la premura della devozione. Sulla tua parola dice getterò le reti. [ ... ] Dunque, quando sulla parola Pietro getta le reti, certamente comincia a parlare fidando in Cristo; e quando egli spiega le reti intrecciate e predisposte sulla parola del Maestro, nel nome del Salvatore diffonde piuttosto parole chiare e convenienti con le quali poter salvare non animali, ma anime. Pur faticando, dice, per tutta la notte, non abbiamo preso nulla. Davvero per tutta la notte aveva faticato Pietro, che prima, avvolto nell’oscurità, senza Cristo non poteva vedere che cosa prendere, ma quando la luce del Salvatore brillò ai suoi occhi, scacciate le tenebre, cominciò a vedere mediante la fede, anche in profondità, ciò che non vedeva con gli occhi.
Santo del Giorno - 9 Febbraio 2025 - San Sabino di Canosa. Ponti nel cuore della storia per difendere la verità: Gettare ponti di pace e testimoniare la verità, in mezzo alle persone di ogni tempo e di ogni luogo: è questa la missione di ogni cristiano, come ben ricorda la storia di un pastore «mite e largo nella carità» come san Sabino di Canosa. Della vita di questo santo prima dell’episcopato non sappiamo molto, forse era nato nel 461 e divenne vescovo di Canosa nel 514, succedendo a Memore. Guidò la comunità cristiana pugliese fino al 566, anno della morte. Era amico di san Benedetto da Norcia, che incontrava con una certa periodicità a Montecassino, come racconta papa san Gregorio Magno nei suoi «Dialoghi». Con il fondatore del monachesimo occidentale condivideva le preoccupazioni da pastore e si confrontava sui fatti del tempo, come l’ingresso di Totila re degli Ostrogoti a Roma del dicembre 546. Sabino, inoltre, s’impegnò a difendere l’ortodossia: dopo aver partecipato assieme a Bonifacio II al Sinodo Romano del 531, venne inviato da papa Agapito a Costantinopoli nel 535 alla guida di una commissione di vescovi per dibattere e condannare il monofisismo, eresia sostenuta dal patriarca Antimo. A Canosa, ma anche a Bari, san Sabino, che guidò la Chiesa locale per più di mezzo secolo, occupa un posto particolare come patrono. (Matteo Liut)
O Dio, che ci hai resi partecipi
di un solo pane e di un solo calice,
fa’ che uniti a Cristo in un solo corpo
portiamo con gioia frutti di vita eterna per la salvezza del mondo.
Per Cristo nostro Signore.