8 Febbraio 2025
 
Sabato IV Settimana T. O.
 
Eb 13,15-17.20-21; Salmo Responsoriale dal Salmo 22 [23]; Mc 6,30-34

Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te,
nell’unità dello Spirito Santo,
per tutti i secoli dei secoli.
 
… riposatevi un po’: Giovanni Paolo II (Udienza Generale, 3 Febbraio 1988): Gesù Cristo è vero uomo [...] Si tratta di una verità fondamentale della nostra fede. È fede basata sulla parola di Cristo stesso, confermata dalla testimonianza degli apostoli e discepoli, trasmessa di generazione in generazione nell’insegnamento della Chiesa: “Credimus ... Deum verum et hominem verum... non phantasticum, sed unum et unicum Filium Dei” (Conc. Lugdun. II: Denz.-Schönm., 852). Più recentemente la stessa dottrina è ricordata dal Concilio Vaticano II, che ha sottolineato il nuovo rapporto che il Verbo, incarnandosi e facendosi uomo come noi, ha inaugurato con ciascuno e con tutti: “Con l’incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo . . . ha amato con cuore d’uomo. Nascendo da Maria Vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché nel peccato” (GS 22). Già nella cornice della catechesi precedente abbiamo cercato di far vedere questa “somiglianza” di Cristo con noi, che deriva dal fatto che egli era vero uomo: “Il Verbo si fece carne”, e “carne” (“sarx”) indica proprio l’uomo quale essere corporeo (“sarkikos”), che viene alla luce mediante la nascita “da donna” (cfr. Gal 4, 4). In questa sua corporeità Gesù di Nazaret, come ogni uomo, ha provato la stanchezza, la fame e la sete. Il suo corpo era passibile, vulnerabile, sensibile al dolore fisico. E proprio in questa carne (“sarx”) egli è stato sottoposto a terribili torture e infine crocifisso: “Fu crocifisso, morì e fu sepolto”. Il testo conciliare sopracitato completa ancora questa immagine quando dice: “Ha lavorato con mani d’uomo, ha pensato con mente d’uomo, ha agito con volontà d’uomo, ha amato con cuore d’uomo” (GS 22).
 
I  Lettura: I cristiani ormai non prendono più parte agli antichi culti del popolo ebraico, ma partecipano dell’unico sacerdozio di Cristo. Questo è dovuto all’inserimento battesimale del credente in Cristo che ha trasformato ogni aspetto della sua vita in un autentico atto di culto.
 
Vangelo
Erano come pecore che non hanno pastore.
 
I re, nell’antichità, si fregiavano del titolo di pastore, assumendo con esso l’onore di essere i protettori dei poveri, degli infelici. Ma al titolo non seguivano i fatti, più che pastori erano lupi (Ger 23,1-6). Corrotti, assetati di potere, per la loro scalata ai gradini più alti della società erano pronti ad abbattere chiunque si frapponesse ai loro progetti. Anche il re Davide, di cui si raccontano fatti meravigliosi, per soddisfare un piacere carnale divenne adultero e assassino, eliminando fisicamente il marito della donna di cui si era invaghito. Ai tempi di Gesù le cose non erano cambiate, e c’era chi uccideva fisicamente, come il re Erode, e chi spiritualmente, i farisei, fasulle guide spirituali, ubriachi di onori, prestigi, l’unica loro preoccupazione era quella di sedersi impunemente sulla “cattedra di Mosè” (Mt 23,2). Alla malvagità dei pastori, il Vangelo contrappone la compassione di Gesù, il buon pastore che darà la sua vita per la salvezza delle pecore (Gv 10,1ss). La pericope marciana presenta Gesù mentre compie i suoi primi viaggi dentro e fuori i confini della Galilea. Questi movimenti sono scanditi da catechesi e interventi prodigiosi. I Dodici assumono sempre più l’identità di Chiesa che si raccoglie attorno a Gesù suo pastore messianico.
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,30-34
 
In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
 
Parola del Signore.
 
Venite in disparte - Il testo del vangelo di oggi, considerato da alcuni solo un brano di transizione, introduce una sezione che va sotto il nome di «sezione dei pani», chiamata così perché ricorre spesso la parola «pane» (Cf. Mc 6,31-8,21).
Gli apostoli, precedentemente inviati (Mc 6,7), di ritorno dalla missione, riferiscono al Maestro «tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato» (Mc 6,30): Gesù «rimane al centro di tutta la loro attività. Li aveva inviati e ora tornano a rendergli conto del loro lavoro, a fare il punto con lui, come servi presso il padrone» (I quattro vangeli commentati).
È importante la sottolineatura «tutto quello che avevano fatto» che precede «quello che avevano insegnato»: l’insegnamento deve essere reso valido dalla coerenza della condotta.
«La predica - suggerisce sant’Antonio di Padova - è efficace, ha una sua eloquenza, quando parlano le opere... “Una legge, dice Gregorio, si imponga al predicatore: metta in atto ciò che predica”. Inutilmente vanta la conoscenza della legge colui che con le opere distrugge la sua dottrina».
Gli apostoli avevano scacciato i demoni, guarito gli infermi e avevano predicato la conversione (Mc 6,12-13): fare e insegnare, le stesse cose che compie Gesù ora diventano mandato e primario impegno degli apostoli. La Chiesa primitiva è chiamata a riconoscere proprio in questa attività, ancorata al ministero di Gesù e degli apostoli, il compito fondamentale della sua attività di evangelizzazione. 
Gesù invita gli apostoli a farsi in disparte con lui e a «riposare». Questa chiamata in un luogo in disparte non è una fuga, ma il tentativo di ritrovare un po’ di pace e di intimità in quanto la folla, che seguiva Gesù fin dagli inizi della sua predicazione, li pressava da ogni parte e non lasciava loro «neanche il tempo di mangiare» (Mc 6,31; Cf. Mc 1,33.37.45; 2,2; 3,20.32; 4,1; 5,21.31).
Il tema del riposo, caro all’Antico Testamento e che richiama l’ingresso del popolo eletto nella Terra promessa (Cf. Dt 3,20; 12,10; 25,19; Gs 1,13.15), indica la partecipazione al sabato eterno, alla vita stessa di Dio (Cf. Eb 3,11-18; 4,3-11). Nel brano di Marco, anticipa l’immagine di Gesù come ‘buon pastore’ (Gv 10,1ss) che concede il riposo alle sue pecore (Cf. Is 65,10; Ez 34,15; Sal 22,2).
Gesù invita ad appartarsi in un luogo solitario, questo luogo potrebbe far pensare al «deserto».
Nella sacra Scrittura, il deserto è il luogo ideale dove Dio parla al cuore dell’uomo: il luogo «ove l’aria è più pura, il cielo più aperto, e Dio più familiare ... per riposarsi nella preghiera, vivere con gli Angeli e per invocare il Signore e sentirlo rispondere: “Ecco sono qui” [Es 33,4]» (Origene).
Ritirarsi con Gesù in un luogo desertico è esigenza essenziale e vitale per ogni comunità missionaria come lo era per Gesù che spesso si ritirava in intima comunione con il Padre. È importante che «Gesù e i Dodici abbiano il tempo per riposarsi, pregare, prender le distanze rispetto alla loro attività e ritrovarsi insieme. Si noti questa sollecitudine molto umana di Gesù. Il riposo, la distensione e anche il tempo di riflessione e di ripresa sono indispensabili a ogni uomo, compresi gli operai del Vangelo» (I quattro vangeli commentati).
Ma molti «però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero» (Mc 6,33). Questa intrusione inopportuna non genera stizza o rabbia; infatti, Gesù, sceso dalla barca, vedendo quell’immensa folla, «ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore» (Mc 6,34). Un’immagine molto ricorrente nell’Antico Testamento per indicare il popolo che vaga senza meta perché senza guide (Cf. Num 27,17; 1Re 22,17; Ez 34,5).
La commozione di Gesù per la folla importuna non è semplicemente un sentimento di pietà o di commiserazione: la motivazione sta nel fatto che erano come pecore senza pastore e Gesù è il “buon Pastore” secondo il cuore di Dio, mandato dal Padre a radunare l’umanità dispersa in un solo ovile (Gv 10,16). Gesù di fronte alla folla che lo incalza, dimenticando il riposo, si mette a insegnare ad essa «molte cose». L’attività cui Gesù dà il primato è quello dell’insegnamento e dell’annuncio. Ora nutre la folla con il pane della parola, in seguito moltiplicherà i pani e la sazierà fisicamente.
Questo ordine, insegnamento-nutrimento, non è casuale. È un’indicazione per sé molto preziosa che la Chiesa ha fatto sua: «La Chiesa ha sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il corpo stesso del Signore, non tralasciando mai, soprattutto nella liturgia, di nutrirsi del pane di vita prendendola dalla mensa sia della parola di Dio sia del corpo di Cristo e di porgerlo ai fedeli» (DV 21).
 
Gesù si mise a insegnare alla folla molte cose - Roberto Tufariello (Insegnare in Schede Bibliche Pastorali): Cristo è il maestro per eccellenza. Durante la sua vita pubblica, l’insegnamento costituisce un aspetto essenziale della sua attività. Nei brevi passi che riassumono la sua azione durante i viaggi in Galilea, si dice in primo luogo che egli insegnava, poi che annunziava la buona novella del regno e infine che guariva i malati (Mt 4,23).
L’insegnamento aveva luogo generalmente nelle sinagoghe (Mt 9,35; 12,9ss; 13,54; Mc 1,21; Lc 4,15; Gv 18,20); a Gerusalemme però aveva luogo nel tempio (Mc 12,35; Lc 21,37; Mt 26,55; Gv 7,14ss; 8,20). Egli però ha insegnato anche in piena campagna, presso la riva di un lago, per strada, o in casa. Insegnava quotidianamente (Mt 26,55) e in modo speciale in occasione delle feste (Gv 8,20).
«Con questi dati dei vangeli concorda il fatto che gran parte di quanto ci è stato tramandato su Gesù è costituito da insegnamenti» (Kittel).
Come si comportasse Gesù nella sua azione didattica, possiamo vederlo dal racconto della visita nella sinagoga di Nazaret (Lc 4,16-21): dopo aver letto in piedi un passo biblico (Is 61,1-2), Gesù siede alla maniera di coloro che spiegavano la scrittura (Cf. Lc 2,46), e stando così seduto parla riferendosi al testo letto (Cf. Mt 13,53ss; Mc 6,2-3).
La forma del suo insegnamento, quindi, non differisce da quella usata dai maestri di Israele, tra i quali si è confuso fin nella sua giovinezza (Lc 2, 46) e che spesso lo hanno interrogato per essere illuminati (Cf. Mt 22,16; Gv 3,10). A lui, come ad essi, viene dato il titolo di rabbi, cioè maestro, ed egli lo accetta (Gv 13,13); rimprovera però agli scribi e ai farisei di ricercare questo titolo, dimenticando che per gli uomini c’è un solo maestro, Dio (Mt 23,6-8).
Tuttavia, se appare alle folle come un maestro tra gli altri, Gesù se ne distingue in diversi modi. Egli si presenta come l’interprete autorizzato della legge, che vuole portare alla perfezione (Mt 5,17). A tale riguardo egli insegna con una autorità singolare, a differenza degli scribi, così pronti a nascondersi dietro l’autorità degli antichi (Mt 7,28-29). Non dalla tradizione dei padri, ma dalla propria persona egli fa derivare la propria autorità: «Io vi dico...» (Mt 5,21-22.27-28.31-32; ecc.).
Inoltre la sua dottrina presenta un carattere di novità che colpisce gli ascoltatori (Mc 1,27), sia che si tratti del suo annuncio del regno, sia delle regole di vita che egli dà; trascurando le questioni di scuola, oggetto di una tradizione farisaica che respinge (Cf. Mt 15,1-9), egli vuol far conoscere il messaggio autentico di Dio e portare gli uomini ad accoglierlo.
Il segreto dell’atteggiamento così nuovo di Gesù è nella sua stessa persona, nella sua coscienza di essere il figlio di Dio. A differenza dei maestri umani, la sua dottrina non è «sua», ma di colui che lo ha mandato (Gv 7,16-17): egli dice soltanto ciò che il Padre gli rivela e gli ispira (Gv 8,28). Il Padre infatti «ammaestra» Gesù, cioè plasma la sua volontà in piena conformità alla propria, perché possa parlare in suo nome. Accogliere l’insegnamento di Gesù, quindi, significa essere docili a Dio stesso.
L’insegnamento di Gesù comporta un appello rivolto da Dio a tutto l’uomo; esso quindi non si riduce all’aspetto dottrinale, ma mira a educare e a configurare l’uomo secondo la volontà di Dio (Cf. Mt 5,48). Già i maestri di Israele avevano accentrato la loro attività didattica nella legge perché la concepivano come la via sulla quale l’uomo si affatica per giungere a Dio. Gesù è l’erede e il termine di questo insegnamento (Rom 10,4). Ora egli, con ognuna delle sue parole, porta gli ascoltatori nel vivo della volontà di Dio, perché la conoscano e vi aderiscano (Gv 7,17). Per giungere a tanto, bisogna aver ricevuto quella grazia interiore che, secondo la promessa dei profeti, rende l’uomo docile all’insegnamento di Dio (Gv 6,44-45). Non tutti accolgono questa grazia: la parola di Cristo urta contro l’accecamento volontario di coloro che pretendono di possedere la luce, mentre sono ciechi (Cf. Gv 9,39-41).
 
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose - Beda il Venerabile, In Evang. Marc., 2, 6, 30-34: Matteo spiega più chiaramente in qual modo ebbe compassione di loro, dicendo: “Ebbe misericordia della folla e risanò i loro ammalati” (Mt 14,14). Questo è infatti nutrire veramente compassione dei poveri e di coloro che non hanno pastore, cioè mostrare loro la via della verità con l’insegnamento, liberarli con la guarigione dalle malattie corporali, ma anche spingerli a lodare la sublime liberalità del Signore ristorando gli affamati. Le parole seguenti di questo passo sottolineano appunto che egli fece tutto questo. Mette alla prova la fede delle folle e, dopo averla provata, la ricompensa con un degno premio. Cercando infatti la solitudine, vuol vedere se le folle vogliono o no seguirlo. Esse lo seguono e, compiendo il viaggio fino al deserto, «non su cavalcature o su carri, ma con la fatica dei loro piedi» (Girolamo), dimostrano quale pensiero essi abbiano per la loro salvezza. E Gesù, come colui che può, ed è salvatore e medico, fa intendere quanta consolazione riceva dall’amore di coloro che credono in lui, accogliendo gli stanchi, ammaestrando gli ignoranti, risanando gli infermi e ristorando gli affamati. Ma secondo il significato allegorico, molte schiere di fedeli, dopo aver abbandonato le città dell’antica vita, ed essersi liberati dall’appoggio di varie dottrine, seguono Cristo che si dirige nel deserto dei gentili. E colui che era un tempo «Dio conosciuto solo in Giudea» (cf. Sal 75,2), dopo che i denti dei giudei sono diventati «armi e frecce, e la loro lingua una spada tagliente», viene esaltato «come Dio al di sopra dei cieli e la sua gloria si diffonde su tutta la terra»«(cf. Sal 56,5-6)
 
Il Santo del giorno - 8 Febbraio 2025 - Santa Giuseppina Bakhita. Una schiava che ci insegna la strada per la libertà: Tutti abbiamo le nostre “catene”, tutti in qualche modo siamo alla ricerca di una strada che ci porti alla vera libertà. Milioni di persone nel mondo sperimentano questa tensione sulla propria pelle, come autentica ricerca di fuga dalla schiavitù. Su questo cammino di liberazione abbiamo una patrona speciale, una schiava divenuta testimone della libertà più grande, santa Giuseppina Bakhita, suora canossiana morta a Schio (Vicenza) nel 1947. Era nata nel 1868 in Darfur e tra il 1877 e il 1882 passò, come schiava, da un padrone all’altro, tra atroci sofferenze e umiliazioni. Venne poi comprata dal console italiano di Karthoum, Callisto Legnani, che, una volta tornato in Italia la affidò a una famiglia di amici di Mirano (Venezia), i Michieli. Divenuta la bambinaia della loro figlia, Alice, Bakhita per un periodo – mentre i genitori si erano dovuti spostare sul Mar Rosso – venne inviata assieme alla bimba nel collegio retto dalle Canossiane a Venezia. Qui conobbe Cristo, che donò una nuova luce alla sua vita.
Cominciò così per lei un nuovo cammino che l’avrebbe portato alla consacrazione. Nel 1890, dopo essere riuscita a farsi riconoscere libera cittadina italiana, ricevette il Battesimo e nel 1896 emise i voti.
Visse poi il suo ministero da religiosa a Schio, dove per 50 anni, dopo un inizio non facile anche a causa del colore della sua pelle e dei pregiudizi, fu un esempio di santità umile e quotidiana  (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.