7 Febbraio 2025
Venerdì IV Settimana T. O.
Eb 13,1-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 26 (27); Mc 6,14-29
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Catechismo della Chiesa Cattolica - Matrimonio nel disegno di Dio 1601 «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato da Cristo Signore alla dignità di sacramento».
Grandezza del Matrimonio 1603 «L’intima comunione di vita e di amore coniugale, fondata dal Creatore e strutturata con leggi proprie, è stabilita dal patto coniugale [...]. Dio stesso è l’autore del matrimonio».2488 La vocazione al matrimonio è iscritta nella natura stessa dell’uomo e della donna, quali sono usciti dalla mano del Creatore. Il matrimonio non è un’istituzione puramente umana, malgrado i numerosi mutamenti che ha potuto subire nel corso dei secoli, nelle varie culture, strutture sociali e attitudini spirituali. Queste diversità non devono far dimenticare i tratti comuni e permanenti. Sebbene la dignità di questa istituzione non traspaia ovunque con la stessa chiarezza,2489 esiste tuttavia in tutte le culture un certo senso della grandezza dell’unione matrimoniale. «La salvezza della persona e della società umana e cristiana è strettamente connessa con una felice situazione della comunità coniugale e familiare».
Matrimonio come segno dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa 1617 Tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo, che introduce nel popolo di Dio, è un mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze che precede il banchetto di nozze, l’Eucaristia. Il Matrimonio cristiano diventa, a sua volta, segno efficace, sacramento dell’Alleanza di Cristo e della Chiesa. Poiché ne significa e ne comunica la grazia, il Matrimonio fra battezzati è un vero sacramento della Nuova Alleanza.
Caratteristiche dell’amore coniugale 1643 «L’amore coniugale comporta una totalità in cui entrano tutte le componenti della persona richiamo del corpo e dell’istinto, forza del sentimento e dell’affettività, aspirazione dello spirito e della volontà ; esso mira a una unità profondamente personale, quella che, al di là dell’unione in una sola carne, conduce a non fare che un cuore solo e un’anima sola; esso esige l’indissolubilità e la fedeltà della donazione reciproca definitiva e si apre sulla fecondità. In una parola, si tratta di caratteristiche normali di ogni amore coniugale, ma con un significato nuovo che non solo le purifica e le consolida, ma anche le eleva al punto di farne l’espressione di valori propriamente cristiani».
I Lettura: Settimio Cipriani (Le Lettere di Paolo): In questo ultimo capitolo che per alcuni è solo una «appendice» di tutta la lettera, se non addirittura una «interpolazione», l’autore dà alcuni avvertimenti di carattere pratico e richiama all’osservanza di virtù fondamentali, come la carità (1-3.16), la castità (v. 4), il distacco dal denaro (vv. 5-6), l’obbedienza (v. 17). C’è anche un ritorno del tema della «fedeltà» a Cristo (vv. 7-15).
Tra i doveri di carità si ricorda soprattutto l’«amore» vicendevole», quale si conviene a «fratelli» nella fede (Cfr. 1 Tess. 4, 9; Rom. 12,10), l’obbligo dell’«ospitalità» ( fr. Rom. 2,13 2,13) e l’assistenza ai «prigionieri» e ai perseguitati (v. 3)’. Nell’ospite, oltre che simbolicamente presente Cristo (Matt. 25,35), può essere anche nascosto realmente qualche «Angelo» (v. 2), come capitò a Tobia (Tob. 12,15-20), ad Abramo e Sara (Gen. 18.19), a Manae (Giud. 13, 22); in questi ultimi casi, anzi, era presente lo stesso Iahwèh.
Riguardo poi ai «prigionieri» e ai perseguitati, ci si senta solidali con loro in base alla fondamentale legge di «simpatia» del corpo mistico. «Piangere con chi piange, godere con chi gode» (Rom. 12, 15), tanto più che, essendo ancora «nel corpo», abbiamo noi pure la possibilità concreta di subire, forse in un prossimo futuro, la stessa sorte (v. 3). È evidente il rimando ad uno stato di tribolazione, se non proprio di persecuzione, in cui si trova la comunità, destinataria della lettera (cfr. 10, 32-34).
Vangelo
Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto.
La decapitazione di Giovanni il Battista è una triste storia che mette in evidenza la dissolutezza del re Erode, schiavo delle sue passioni. Il Battista accusava pubblicamente Erode di adulterio, e il mozzargli la testa fu il modo più spiccio per zittirlo. Ma possiamo pensare che Marco “abbia voluto presentare lo scioglimento del gruppo del Battista per indicare che la comunità creata da Gesù era totalmente nuova; pur osservando la veneranda memoria del grande profeta scomparso” (Felipe. F. Ramos).
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 6,14-29
In quel tempo, il re Erode sentì parlare di Gesù, perché il suo nome era diventato famoso. Si diceva: «Giovanni il Battista è risorto dai morti e per questo ha il potere di fare prodigi». Altri invece dicevano: «È Elìa». Altri ancora dicevano: «È un profeta, come uno dei profeti». Ma Erode, al sentirne parlare, diceva:
«Quel Giovanni che io ho fatto decapitare, è risorto!».
Proprio Erode, infatti, aveva mandato ad arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, perché l’aveva sposata. Giovanni infatti diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere con te la moglie di tuo fratello».
Per questo Erodìade lo odiava e voleva farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri.
Venne però il giorno propizio, quando Erode, per il suo compleanno, fece un banchetto per i più alti funzionari della sua corte, gli ufficiali dell’esercito e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla fanciulla: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le giurò più volte: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». Ella uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». E subito, entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: «Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista». Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto.
E subito il re mandò una guardia e ordinò che gli fosse portata la testa di Giovanni. La guardia andò, lo decapitò in prigione e ne portò la testa su un vassoio, la diede alla fanciulla e la fanciulla la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputo il fatto, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Parola del Signore.
Lo storico giudaico Giuseppe Flavio narra, nel libro diciottesimo della sua «Antichità giudaiche», che Erode Antipa, per timore dei disordini politici che avrebbe potuto causare il movimento suscitato dal Battista, lo imprigionò nella fortezza di Macheronte, nel sud della Perea, dove lo fece decapitare. Il racconto del secondo vangelo riferisce evidentemente l’aspetto più soggettivo dell’avvenimento che Giuseppe Flavio racconta oggettivamente. Ecco dunque quello che diceva il popolo: quest’uomo di Dio è stato vittima della vendetta d’una donna irritata. Ha dovuto pagare con la morte il coraggio d’aver parlato chiaro ai grandi di questo mondo.
Del resto, il racconto è ricco delle inesattezze che sono caratteristiche delle storie trasmesse di bocca in bocca. La seconda moglie di Antipa, Erodiade, non aveva sposato Filippo, come dice Marco, ma un altro fratello del re, chiamato Erode, che per il resto non ebbe nulla a che vedere con questa storia. È anche possibile che questo Erode avesse il soprannome di Filippo; e, in questo caso, il nostro testo non sarebbe in contraddizione con quello che sappiamo da altre fonti.
Una cosa è sicura: la donna che vediamo ballare e che si chiama Salomè - come riferisce con maggior precisione Giuseppe Flavio, mentre i vangeli ne tacciono il nome - era figlia del primo matrimonio di Erodiade e divenne moglie di Filippo, fratello di Antipa, che regnò nel nord della Palestina fino all’anno 34. L’incertezza dei dati cronologici che abbiamo non consente di stabilire se essa era già sposata al momento della scena descritta. Nel nostro testo, è chiamata «ragazza», e pare che, al tempo della festa qui ricordata, avesse vent’anni. Antipa aveva spinto Erodiade a lasciare suo fratello Erode e l’aveva sposata dopo essersi liberato della sua prima moglie, figlia del principe arabo Areta. Questo matrimonio era dunque il risultato d’un adulterio, anche se coperto dalle formalità giuridiche. In più, andava contro le prescrizioni della legge giudaica (Lv 18,16) secondo le quali il matrimonio fra cognati era invalido.
Perché l’evangelista ha inserito nel suo scritto questo vivace racconto popolare? In primo luogo, per mettere in rilievo l’atteggiamento ridicolo di quel discusso monarca, schiavo, da una parte, delle sue passioni, e dall’altra, interessato alla figura austera del Battista. In fin dei conti, quell’Erode era più coerente con se stesso che non i farisei benpensanti i quali collaboravano con lui, simulando un’estrema dignità morale.
In secondo luogo possiamo pensare che l’evangelista, inserendo questo racconto nel contesto teologico della proclamazione del regno di Dio (4,1-6.29), abbia voluto presentare lo scioglimento del gruppo del Battista per indicare che la comunità creata da Gesù era totalmente nuova, pur conservando la veneranda memoria del grande profeta scomparso.
Il matrimonio sia rispettato da tutti e il letto nuziale sia senza macchia - Charles Wiéner: Cristo e il matrimonio - 1. La nuova legge. - Riferendosi esplicitamente, al di là della legge di Mosè, al disegno creatore della Genesi, Gesù afferma il carattere assoluto del matrimonio e la sua indissolubilità (Mt 19, 1-9): Dio stesso unisce l’uomo e la donna, dando alla loro libera scelta una consacrazione che li trascende. Essi sono «una sola carne» dinanzi a lui; perciò il ripudio, tollerato «a motivo della durezza dei cuori», dev’essere escluso nel regno di Dio, in cui il mondo ritorna alla sua perfezione originale. L’eccezione del «caso di fornicazione» (Mt 19, 9) non ha certamente di mira una giustificazione del divorzio (cfr. Mc 10, 11 s; Lc 16, 18; 1 Cor 7, 10 s); concerne o il rinvio di una sposa illegittima, oppure una separazione cui non potrà far seguito un altro matrimonio. Di qui lo spavento dei discepoli dinanzi al rigore della nuova legge: «Se questa è la condizione dell’uomo nei confronti della donna, è meglio non sposarsi!» (Mt 19, 10). Questa esigenza sui principi non esclude la misericordia verso gli uomini peccatori. A più riprese Gesù incontra adultere o persone infedeli all’ideale dell’amore (Lc 7, 37; Gv 4, 18; 8, 3 ss; cfr. Mt 21, 31 s). Le accoglie, non per approvare la loro condotta, ma per apportare loro una conversione ed un perdono che sottolineano il valore dell’ideale tradito (Gv 8, 11).
2. Il sacramento del matrimonio. - Gesù non si accontenta di ricondurre l’istituzione del matrimonio a questa perfezione primitiva che il peccato umano aveva oscurato. Gli dà un fondamento nuovo che gli conferisce il suo significato religioso nel regno di Dio. Con la nuova alleanza che fonda nel suo proprio sangue (Mt 26, 28), egli stesso diventa lo sposo della Chiesa. Per i cristiani, diventati con il battesimo templi dello Spirito Santo (1 Cor 6, 19), il matrimonio è quindi «un grande mistero in rapporto a Cristo ed alla Chiesa» (Ef 5, 32). La sottomissione della Chiesa a Cristo e l’amore redentore di Cristo per la Chiesa, che egli ha salvato dandosi per essa, sono così la regola vivente che gli sposi devono imitare; potranno farlo, perché la grazia di redenzione tocca il loro stesso amore assegnandogli il suo ideale (5, 21-33). La sessualità umana, di cui bisogna valutare con prudenza le esigenze normali (1 Cor 7, 1-6), è assunta ora in una realtà sacra che la trasfigura.
Matrimonio e verginità - «Non è bene che l’uomo sia solo», diceva Gen 2, 18. Nel regno di Dio instaurato da Gesù appare un nuovo ideale. Per il regno, degli uomini si faranno «eunuchi volontari» (Mt 19, 11 s). È il paradosso della verginità cristiana. Fra il tempo del VT, in cui la fecondità era un dovere primario al fine di perpetuare il popolo di Dio, e la parusia, in cui il matrimonio sarà abolito (Mt 22, 30 par.), due forme di vita coesistono nella Chiesa: quella del matrimonio, che il mistero di Cristo e della Chiesa trasfigura, e quella del celibato consacrato, che Paolo reputa la migliore (1 Cor 7, 8. 25-28). Non si tratta di disprezzare il matrimonio (cfr. 7, 1), ma di vivere pienamente il mistero nuziale al quale ogni cristiano partecipa già con il battesimo (2 Cor 11, 2): con l’unirsi al Signore totalmente per non piacere che a lui solo (1 Cor 7, 32-35), si attesta che la figura del mondo presente, alla quale l’istituzione matrimoniale è correlativa, si avvia verso la fine (7, 31). In questa prospettiva l’ideale sarebbe che «coloro che hanno moglie vivano come se non l’avessero» (7, 29) e che le vedove non si risposino. Ma tutto questo dipende in fin dei conti dal Signore: si tratta di vocazioni diverse e complementari nell’ambito del corpo di Cristo: in questo, come negli altri campi, «ciascuno riceve da Dio il proprio dono particolare, uno questo l’altro quello» (7, 7; cfr. Mi 19, 11).
Danzò e piacque a Erode: «“Bada a te stesso”, perché tu possa notare con precisione cosa in te entra e cosa da te esce! Non al cibo io penso, che si digerisce e si espelle: ai pensieri, io penso, alle parole. Non penetri in te la brama del talamo altrui; non si insinui nel tuo spirito, non adeschi i tuoi occhi la bellezza della donna che passa, e il tuo cuore non la chiuda in sé. I tuoi discorsi non intessino la rete della seduzione, non tenda scaltri tranelli al prossimo, non lo infanghi con lo scherno e il motteggio. Dio ti ha creato per la caccia, non per la rapina, egli che ha detto: Ecco, io mando molti cacciatori [Ger 16,16]. Cacciatore non di misfatti, ma di redenzione; cacciatore non di colpa, ma di grazia. Tu sei un pescatore di Cristo, a cui è rivolta la parola: D’ora in poi sarai pescatore di uomini (Lc 5,10). Getta dunque la tua rete: usa dunque dei tuoi occhi, delle tue parole perché nessuno resti schiacciato nell’acqua, ma tu lo possa trarre a te» (Ambrogio, Esamerone, 6,50).
Il Santo del Giorno - 7 Febbraio 2025 - Beato Anselmo Polanco Fontecha Vescovo e martire: Nacque nel 1881 a BuenaVista de Valdavia (Palencia- Spagna). A 15 anni entrò nell’Ordine agostiniano nel convento di Valadolid, dove nel 1897 emise i primi voti, poi passò a quello di La Vid (Burgos), dove completò gli studi e celebrò la prima Messa nel 1904. Negli anni 1922-1932 fu nominato priore e provinciale del suo Ordine. Nel 1935 venne nominato vescovo di Teruel. Durante la guerra civile spagnola il vescovo Polanco divenne per la città di Turel divenne un punto di riferimento per molti fedeli. L’8 gennaio 1938 la città fu occupata dall’esercito repubblicano e venne arrestato monsignor Polanco. Per 13 mesi sopportò con pazienza il carcere, organizzando con i suoi compagni di prigionia una intensa vita spirituale, e il 7 febbraio 1939, insieme al suo fedele vicario Filippo Ripoll, fu fucilato e poi dato alle fiamme. Ripoll e Polanco sono stati beatificati da Giovanni Paolo II il primo ottobre 1995. I resti mortali dei due martiri riposano nella cattedrale di Teurel. (Avvenire)
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.