4 Febbraio 2025
Martedì IV Settimana T. O.
Eb 12,1-4; Salmo Responsoriale Dal Salmo 21 (22); Mc 5,21-43
Colletta
Signore Dio nostro,
concedi a noi tuoi fedeli
di adorarti con tutta l’anima
e di amare tutti gli uomini con la carità di Cristo.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Morte, apparente fallimento [1186] Ma ha un senso la morte, o meglio l’uomo che muore? All’apparenza sembrerebbe di no. L’uomo è tutto un desiderio di vivere e con tutto se stesso rifiuta la morte, ma essa si avvicina inesorabile. La caducità ci appartiene per natura. In un certo senso si comincia a morire quando si comincia a vivere, e si finisce di morire quando si finisce di vivere: le cellule dell’organismo si invecchiano, si perdono e non tutte vengono reintegrate; le esperienze personali si consumano in fretta. «L’uomo, nato di donna, breve di giorni e sazio di inquietudine, come un fiore spunta e avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma» (Gb 14,1-2). Prima o poi, improvvisa o preceduta da intensa sofferenza, arriva la morte. La persona sembra svanire nel nulla. Il desiderio insopprimibile di vivere sembra votato al fallimento. Di qui senso di smarrimento e di impotenza, angoscia. «Sono prigioniero senza scampo; si consumano i miei occhi nel patire» (Sal 88,9-10).
La morte del cristiano [1189] Il cristiano teme la morte come tutti gli uomini, come Gesù stesso. La fede non lo libera dalla condizione mortale. Tuttavia sa di non essere più solo. Obbediente all’ultima chiamata del Padre, associato a Cristo crocifisso e risorto, confortato dallo Spirito Santo, può vincere l’angoscia, a volte perfino cambiarla in gioia. Può esclamare con l’apostolo Paolo: «La morte è stata ingoiata per la vittoria. Dov’è, o morte, la tua vittoria?» (1Cor 15,54-55). Allora la morte assume il significato di un supremo atto di fiducia nella vita e di amore a Dio e a tutti gli uomini. Il morente è una persona e il morire un atto personale, non solo un fatto biologico. Esige soprattutto una compagnia amica, il sostegno dell’altrui fede, speranza e carità. L’ambiente più idoneo per morire, come per nascere, è la famiglia, non l’ospedale o l’ospizio.
I Lettura: I cristiani, imitando i grandi testimoni del passato, devono cercare «le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1). Per correre sulla via della fede senza gli impacci del peccato, i credenti oltre a tenere lo sguardo su Gesù, in una continua e amorosa meditazione del mistero della Passione, devono nutrirsi dei dolori del Cristo: «Chiunque vuol vivere in perfezione non faccia altro che disprezzare quello che Cristo disprezzò sulla croce, e desiderare quello che egli desiderò. Nessun esempio di virtù è infatti assente dalla croce» (San Tommaso d’Aquino).
Vangelo
Fanciulla, io ti dico: Àlzati!
La donna affetta di emorragia guarisce per la sua fede. Gesù, «con la sua strana domanda: “Chi mi ha toccato”, enfatizza il fatto, mettendo pure in imbarazzo la donna, ma lo fa per esaltare pubblicamente la sua fede e indicarla come requisito necessario per la guarigione» (Bruno Barisan).
I verbi usati dall’evangelista Marco «“vivere”, “salvare”, “morire”, sono “intenzionalmente ambivalenti [come nella nostra lingua], e dicono sia la salvezza e vita fisica come quella spirituale. Gesù quindi viene presentato da Marco come datore, direttamente di salute e vita fisica, ma indirettamente e sopratutto [e questo i suoi lettori ormai lo intendevano bene] datore di salute e vita spirituale» (Messale dell’Assemblea Cristiana, Feriale, ELLEDICI).
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 5,21-43
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male.
E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: "Chi mi ha toccato?"». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.
Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Parola del Signore.
La bambina non è morta, ma dorme - Il caso si presentava ormai senza soluzioni: dalla casa del capo della sinagoga erano venuti alcuni a dire che la fanciulla era morta. Non aveva quindi più senso continuare a importunare il Maestro di Nazaret.
Gesù, il figlio di Maria (Mc 6,3), come se non avesse inteso nulla, esorta Giairo, il padre della fanciulla morta, a desistere dal suo timore e a continuare ad avere fede in lui. Poi, con Pietro, Giacomo e Giovanni, che saranno le «colonne della Chiesa» (Gal 2,9), si avvia verso la casa di Giairo.
La scelta dei tre discepoli non è lasciata al caso: più avanti sempre Pietro, Giacomo e Giovanni, e soltanto loro, saranno chiamati ad essere gli unici testimoni privilegiati della trasfigurazione (Mc 9,2) e della preghiera nel giardino del Getsemani (Mc 14,33). Gesù, così come dettava la legge mosaica (Dt 19,15), vuole dei testimoni qualificati che in seguito avessero potuto testimoniare la realtà del miracolo che stava per operare.
La casa di Giairo è sprofondata nel dolore: gli strepiti, i pianti dei parenti e delle prèfiche, accrescono la confusione e il chiasso.
Forse per riportare un po’ di calma, Gesù entrando dice ai piagnoni: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme».
Le parole di Gesù non devono far credere che si tratta di morte apparente, la fanciulla è veramente morta. Gesù non è ancora entrato nella camera dove era stato composto il cadavere della fanciulla, ma per il fatto che aveva già deciso di restituire alla vita la figlia di Giairo, il presente stato della fanciulla è soltanto temporaneo e paragonabile ad un sonno.
Riecheggiano le parole che Gesù dirà quando gli portano la notizia della morte di Lazzaro: «Lazzaro, il nostro amico, s’è addormentato; ma io vado a svegliarlo» (Gv 11,11).
Questo linguaggio eufemistico è stato adottato dalla Chiesa che lo ha esteso a tutti coloro che «si addormentano nel Signore» (At 7,60; 13,36; 1Cor 7,39; 11,30), in attesa della risurrezione finale (1Ts 4,13-16; 1Cor 15,20-21.51-52).
Per i brontoloni le parole di Gesù sembrano essere fuori posto: come se Egli avesse voluto irridere il dolore dei genitori, dei parenti e degli amici convenuti in quel luogo di dolore.
La reazione però segnala anche un’ottusa ostilità nei confronti di Gesù e sopra tutto mette in evidenza la mancanza di fede nella sua potenza. È la sorte di tutti i profeti (Lc 4,24). Tanta cecità, pur addolorandolo intimamente, non lo ferma, per cui dopo aver messo alla porta gli increduli piagnoni, prende con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entra dove era la bambina.
Gesù presa la mano della fanciulla, il gesto abituale delle guarigioni (Mc 1,13.41; 9,27), pronuncia le parole ‘Talità kum’. Sono parole aramaiche, la lingua che parlava Gesù, e Marco si affretta a dare la traduzione forse per evitare che venissero scambiate per qualche formula magica. La guarigione è immediata e istantanea.
La risurrezione della fanciulla è collocata all’apice di una sequenza di miracoli dall’impatto dirompente: la tempesta sedata (Mc 4,35-41), la liberazione dell’indemoniato geraseno (Mc 5,1-20). La vittoria di Gesù sugli elementi della natura impazziti (Sal 88,10), poi sul potere del maligno, e qui infine sulla morte stessa, mettono in luce la potenza del Figlio di Dio. La raccomandazione di dare da mangiare alla fanciulla svela la tenerezza di Gesù verso gli ammalati e i sofferenti. Allo stupore segue il perentorio ordine da parte di Gesù di non divulgare il miracolo. Il comando, che è in linea con tutti i testi relativi al segreto messianico (Mc 1,25.33-44; 3,12; ecc.), vuole rinviare alla Croce e alla Risurrezione perché soltanto questi eventi possono rivelare la vera identità del Cristo e i doni che Egli è venuto a portare agli uomini (Ef 4,7).
Oggi, Gesù, pur sedendo alla destra del Padre (Rom 8,34; Ef 1,20), continua ad essere presente nella sua Chiesa: per questa Presenza, i credenti fruiscono della potenza salvifica del Cristo celata misteriosamente nei sacramenti fino a che arrivino «all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere la misura della pienezza di Cristo» (Ef 4,13).
La morte - Emanuele Ghini (Morte in Schede Bibliche Pastorali): L’evento della morte, considerato realisticamente dalla rivelazione biblica come il totale venir meno della vita, non è visto in sé, ma sempre in stretta relazione con Iahvé, il Dio vivo: la morte la cui forza di estinzione è rappresentata dallo Sheól, si oppone alla vita come situazione di distacco da Dio nei confronti della pienezza dell’unica «fonte della vita».
Dall’assoluto monoteismo di Israele, legato al Dio unico, deriva la proibizione di ogni culto dei morti, peraltro sepolti con cura e pietà.
L’alleanza, che stabilisce un rapporto non personale ma nazionale fra Israele e Iahvé, fa sì che il problema della morte non assuma carattere drammatico, nella certezza della continuità del popolo, nonostante il venir meno dei singoli. Nel contesto vivo e in rapida evoluzione dell’alleanza, la morte è un problema poco essenziale: sia che si riconosca ai morti una sopravvivenza d’ombra nello Sheol, sia che si attribuisca loro un sonno eterno nel sepolcro di famiglia, il tema della morte non mette in crisi la fede di Israele. Da qui la rassegnazione con cui la morte è generalmente considerata e la pace con cui è accolta in tarda vecchiaia. Solo la morte precoce pone all’uomo la domanda che trova risposta nella potenza distruttiva del peccato delle origini. Ma poiché al peccato Dio ha sovvenuto con l’alleanza, la morte è superabile attraverso l’obbedienza alle «dieci parole» perché l’obbedienza, come assenso alla consacrazione operata dalla alleanza, è vita.
Israele ha lentamente intravvisto un superamento della morte sia nella conversione sollecitata dai profeti, sia nel personale rapporto con Iahvé che risolve anche, come per i salmisti e i sapienti, il problema della retribuzione. È l’apocalittica però che supera definitivamente la morte, annunciando la risurrezione dei giusti e dei peccatori nel regno escatologico.
Nel NT è soprattutto l’apostolo Paolo che, riprendendo la meditazione di Gen. 3, attribuisce la morte al peccato di Adamo. Col peccato e la legge, la morte è la principale potenza cosmica che domina sul mondo schiavo di Satana. Con l’avvento di Cristo, la morte è distrutta. Giovanni vede la morte di Cristo come passaggio da questo mondo al Padre, per un disegno di salvezza; Paolo, come atto di obbedienza che annulla il peccato e la morte nella risurrezione. La morte di Cristo per amore degli uomini è così creazione e nascita.
Per il cristiano, morto con Cristo, la fine della vita è ingresso nella vita stessa di Dio. Ciò esige l’adesione della fede, che già in sé è vita e comunica l’immortalità, mentre la sua mancanza è morte e conduce alla morte seconda della perdizione.
Morendo con Cristo il cristiano rinasce, per l’opera dello Spirito, alla vita nuova che lo rende partecipe dello stesso dinamismo trinitario, compiendo così la trasformazione definitiva nella viva immagine di Dio che, già iniziata nell’economia della figura, sarà completa alla parusia, quando i morti risorgeranno fruendo della vita stessa di Dio.
Cristo è toccato dalla fede - Ambrogio, Exp. in Luc., 6, 57-59: Cominciò a sperare in un rimedio che potesse salvarla: riconobbe che il tempo era venuto per il fatto che si presentava un medico dal cielo, si levò per andare incontro al Verbo, vide che egli era pressato dalla folla.
Ma non credono coloro che premono intorno, credono quelli che lo toccano. Cristo è toccato dalla fede, è visto dalla fede, non lo tocca il corpo, non lo comprendono gli occhi; infatti non vede colui che non guarda pur avendo gli occhi, non ode colui che non intende ciò che ode, e non tocca colui che non tocca con fede...
Se ora noi consideriamo fin dove giunge la nostra fede e se comprendiamo la grandezza del Figlio di Dio, vediamo che a suo confronto noi non possiamo che toccare la frangia del suo vestito, senza poterne toccare le parti superiori. Se dunque anche noi vogliamo essere guariti, tocchiamo la frangia della tunica di Cristo.
Egli non ignora quelli che toccano la sua frangia, e che lo toccano quando egli è voltato dall’altra parte. Dio non ha bisogno degli occhi per vedere, non ha sensi corporali, ma possiede in se stesso la conoscenza di tutte le cose. Felice dunque chi tocca almeno la parte estrema del Verbo: e chi mai potrebbe riuscire a toccarlo tutto intero?
Il Santo del giorno - 4 Febbraio 2025 - San Giuseppe (Desideri) da Leonessa: Nasce a Leonessa, nel Reatino, l’8 gennaio 1556. Eufranio rimane orfano da piccolo e a sedici entra nel convento dei cappuccini di Assisi e a diciassette anni pronuncia i voti e prende il nome di Giuseppe. Ordinato sacerdote nel 1580 si dedica alla predicazione. Ma il suo sogno è la missione, sogno che si avvera quando, a trentun’anni, viene mandato a Costantinopoli dove i vescovi cattolici sono stati allontanati e i fedeli rimasti sono emarginati: a costoro i cappuccini danno assistenza. Ma Giuseppe si spinge oltre, cerca di parlare al sultano Murad III, prova a penetrare nel suo palazzo ma viene arrestato. Dopo essere stato legato ad una trave sotto la quale arde un fuoco per tre giorni, viene espulso dal Paese. Torna in Italia e riprende a fare il predicatore. In ogni paese che attraversa lascia un segno indelebile: a tal punto che nascono molte confraternite intitolate al suo nome. Muore ad Amatrice il 4 febbraio 1612 a seguito di una dolorosa malattia.
È stato proclamato santo da Benedetto XIV nel 1746. (Avvenire)
O Signore, che ci hai nutriti con il dono della redenzione,
fa’ che per la forza di questo sacramento di eterna salvezza
cresca sempre più la vera fede.
Per Cristo nostro Signore.