26 Febbraio 2025
 
Mercoledì VII Settimana T. O.
 
Sir 4,12-22 (NV) [gr. 4, 11-19]; Salmo Responsoriale Dal Salmo 118 (119); Mc 9,38-40
 
Colletta
Il tuo aiuto, Dio onnipotente,
ci renda sempre attenti alla voce dello Spirito,
perché possiamo conoscere ciò che è conforme alla tua volontà
e attuarlo nelle parole e nelle opere.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Papa Francesco (Angelus 30 Settembre 2018): Giovanni e gli altri discepoli manifestano un atteggiamento di chiusura davanti a un avvenimento che non rientra nei loro schemi, in questo caso l’azione, pur buona, di una persona “esterna” alla cerchia dei seguaci. Invece Gesù appare molto libero, pienamente aperto alla libertà dello Spirito di Dio, che nella sua azione non è limitato da alcun confine e da alcun recinto. Gesù vuole educare i suoi discepoli, anche noi oggi, a questa libertà interiore.
Ci fa bene riflettere su questo episodio, e fare un po’ di esame di coscienza. L’atteggiamento dei discepoli di Gesù è molto umano, molto comune, e lo possiamo riscontrare nelle comunità cristiane di tutti i tempi, probabilmente anche in noi stessi. In buona fede, anzi, con zelo, si vorrebbe proteggere l’autenticità di una certa esperienza, tutelando il fondatore o il leader dai falsi imitatori. Ma al tempo stesso c’è come il timore della “concorrenza” – e questo è brutto: il timore della concorrenza –, che qualcuno possa sottrarre nuovi seguaci, e allora non si riesce ad apprezzare il bene che gli altri fanno:  non va bene perché “non è dei nostri”, si dice. È una forma di autoreferenzialità. Anzi, qui c’è la radice del proselitismo. E la Chiesa – diceva Papa Benedetto – non cresce per proselitismo, cresce per attrazione, cioè cresce per la testimonianza data agli altri con la forza dello Spirito Santo.
La grande libertà di Dio nel donarsi a noi costituisce una sfida e una esortazione a modificare i nostri atteggiamenti e i nostri rapporti. È l’invito che ci rivolge Gesù oggi. Egli ci chiama a non pensare secondo le categorie di “amico/nemico”, “noi/loro”, “chi è dentro/chi è fuori”, “mio/tuo”, ma ad andare oltre, ad aprire il cuore per poter riconoscere la sua presenza e l’azione di Dio anche in ambiti insoliti e imprevedibili e in persone che non fanno parte della nostra cerchia. Si tratta di essere attenti più alla genuinità del bene, del bello e del vero che viene compiuto, che non al nome e alla provenienza di chi lo compie. E – come ci suggerisce la restante parte del Vangelo di oggi – invece di giudicare gli altri, dobbiamo esaminare noi stessi, e “tagliare” senza compromessi tutto ciò che può scandalizzare le persone più deboli nella fede.
 
I Lettura: L’Antico Testamento - Siracide (Ed. Paoline): 4,12 Chi ama la sapienza, ama la vita. Cfr. Prv 8,35, dove analogamente è detto che “chi trova me (la sapienza), trova la vita” e, si aggiunge, “ottiene favore dal Signore2. Qui non si specifica da chi proviene la gioia che ricolma quanti cercano e amano la sapienza, ma lo si deduce facilmente dal contesto (13-14).
4,14 Coloro che la venerano rendono culto. L’autore crea qui, sul piano terminologico (latreuō, leitourgeō) e concettuale, un rapporto di tipo cultuale tra l’amore della sapienza e l’amore di Dio, nel senso che la ricerca intellettuale che ha come via e termine il “timore del Signore” è da considerare anch’essa un modo di pregare e onorare Dio.
• Santo. Titolo solenne di Dio - frequente in Isaia, soprattutto nella sua formula più lunga, “il santo d’Israele” -, utilizzato da Ben Sira anche più avanti (23,9; 43,10; 47,8; 48,20).
4,15 Chi l’ascolta. Non solo perché è attento agli insegnamenti della sapienza, ma perché agisce in modo da metterli in pratica.
• con equità. Qui si traduce dall’ebraico ‘emet (fedeltà, verità, equità), dato che, seguendo il testo greco, si dovrebbe tradurre i “popoli” (ethne), venendo introdotto il concetto dei saggi abilitati a giudicarli. Cfr. anche Sap 3,8.
4,17 Che la conquista della sapienza comporti grandi rischi e prove severe lo testimonia questo lungo, minaccioso versetto. La sapienza è rappresentata nella veste di colei che accompagna il discepolo su ardui sentieri per verificare le sue attitudini e la sua capacità di resistenza. Il discepolo è messo cioè di fronte alle esperienze più dure, ben più pesanti dei suoi pur gravosi doveri scolastici; se egli saprà attraversarle indenne, senza cadere o perdersi, allora la sapienza riconoscerà l’autenticità della sua ricerca e la tempra dell’uomo fedele su cui poter contare.
4,19 l’abbandonerà ... destino. La rappresentazione della disciplina e del “metodo” pedagogico della sapienza si chiude con un’ulteriore minaccia sulle conseguenze funeste - per quanto solo alluse nel testo greco - che colpiranno quanti si saranno allontanati da lei.
4,20 bada ... guàrdati dal male. L’invito è a vigilare e a mettersi nell’atteggiamento morale giusto: sia per evitare il male, sia per agire bene, valutando le situazioni che possono rappresentare un pericolo o un’opportunità.
4,21 c’è una vergogna che è onore e grazia. La vergogna che viene qui giudicata positiva è il sincero riconoscimento dei propri peccati, seguito dalla volontà di pentirsi e di cambiare vita per vivere nella pace e nella giustizia gradite al Signore.
4,22 Non usare riguardi a tuo danno. Il monito sembra da intendere nel senso di non fare a se stessi delle preferenze che alla fine possono ritorcersi contro.
• non vergognarti a tua rovina. Non essendo specificato a quale vergogna ci si riferisce, si tratta probabilmente di qualunque vergogna porti al peccato (21) e come tale alla rovina.
 
Vangelo
Chi non è contro di noi è per noi.
 
Giovanni nel pretendere l’esclusivo potere di cacciare i demoni si rivela settario, molto lontano da una mentalità di servizio. La comunità cristiana, «deve essere aperta a tutti, anche quanti sono al di là della cerchia visibile dei suoi, e deve saper distinguere: un conto è essere pro o contro il Maestro [Mt 12,30], un conto è non appartenere esplicitamente ai suoi discepoli» (F. Lambiasi).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 9,38-40
 
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva».
Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi».
 
Parola del Signore.
 
Chi non è contro di noi, è per noi - I Vangeli, in molte occasioni, non temono di mettere in evidenza i limiti caratteriali e le povertà intellettuali e spirituali degli Apostoli. Così, la richiesta da parte del discepolo che «Gesù amava» di mettere a regime lo Spirito Santo denuncia apertamente una mentalità gretta, tribale, non plasmata ancora dallo Spirito.
Giovanni è l’apostolo che aveva chiesto a Gesù, per sé e per suo fratello Giacomo, i primi posti nel Regno celeste (Mc 10,35-40). E sempre loro due chiederanno a Gesù di incenerire i Samaritani il cui unico torto era stato quello di non aver voluto accogliere il Maestro (Lc 9,54). Tutto questo, oltre a far capire con quale pasta Gesù costruì la sua Chiesa, al dire di molti autori, è un’ulteriore prova della veridicità dei racconti evangelici.
Quella di Giovanni, in pratica, è la richiesta di ottenere il monopolio della potenza del nome di Gesù. La risposta del Maestro sgombra il campo da ogni dubbio: di questa potenza i discepoli non sono i padroni; essa è data da Dio e solo Dio ne dispone i tempi e i modi e l’avvenuto miracolo attesta che chi l’ha operato ha agito con corretta intenzione: «non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me».
Gli esorcisti occupavano un posto molto importante anche in Israele in quanto a satana veniva addebitata ogni sorta di sciagure: l’uomo sedotto da satana scivolando nel peccato andava incontro ad ogni tipo di sofferenze, disgrazie e anche malattie fisiche, che palesavano in questo modo il giusto castigo di Dio. Gesù generalmente non contraddice questo modo di pensare, ma in qualche caso esclude una relazione diretta e precisa tra colpa e malattia (cf. Lc 13,2; Gv 5,14; 9,3).
La replica di Gesù - Chi non è contro di noi, è per noi - è una lezione di alto tono magistrale: dinanzi a Dio e di fronte al bene assoluto della salvezza, non vi sono distinzioni tra uomo e uomo, tra «tu sei dei nostri» e «tu non lo sei». L’unica distinzione che il Vangelo fa è riportata nel capitolo 25 di Matteo (vv. 31-45): avevo fame, avevo sete, ero ammalato, forestiero, nudo, malato e mi avete dato accoglienza e assistenza (oppure non me l’avete data). Solo su questa distinzione verterà il giudizio di Dio.
 
Basilio Caballero - Dio non è un monopolio - Secondo il libro degli Atti degli Apostoli (19,13ss) e le lettere di san Paolo, il problema posto dal vangelo di oggi si ripropose nella comunità primitiva. Come comportarsi con alcuni che, senza far parte dei discepoli di Gesù, scacciavano i demoni nel suo nome? La regola di comportamento è sempre la stessa. In casi simili, l’apostolo Paolo diceva: « Purché ... Cristo venga annunziato, io me ne rallegro» (Fil 1,18), perché «né chi pianta, né chi irriga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere» (lCor 3,7).
È un problema anche per i nostri giorni. L’appartenenza alla Chiesa non è l’unico criterio di adesione a Cristo e al regno di Dio. E questo regno non è limitato all’ambito della Chiesa, ma respira in tutti gli uomini e le donne di buona volontà, anche se non frequentano i nostri templi. Chi ama il prossimo e lavora sinceramente per un mondo più umano e per i diritti della persona, specialmente dei meno privilegiati, è a favore del vangelo e, se non rifiuta espressamente Cristo, è con lui e con noi, suoi seguaci.
Come vediamo da questa pagina evangelica, prima della Pasqua e della pentecoste, gli apostoli si credevano gli unici depositari del nome, della missione, del messaggio e dei poteri di Gesù. Era un modo in più di ambire al potere. Dopo avrebbero capito che non era così. Ebbene, il problema del monopolio si estende al giorno d’ oggi anche all’interno della nostra comunità cristiana. Dio, Cristo, il suo vangelo, i carismi, il bene e la verità non sono monopolio esclusivo di nessuno; appartengono sia alla gerarchia ecclesiastica, clero, religiosi e religiose, sia agli apostoli laici e al semplice popolo.
San Paolo ripete nelle sue lettere che nel popolo di Dio esistono diversità di carismi e di funzioni, ma un solo Spirito che li distribuisce, un solo Signore, una fede e una speranza comuni, e un solo Dio e Padre di tutti.
Gesù vuole la sua comunità in atteggiamento di dialogo e aperta al servizio di tutti gli uomini, tanto sul piano interno che esterno. Con questa apertura ed empatia non svendiamo il cristianesimo, non mettiamo in saldo il vangelo, né patrociniamo l’indifferenza e le mezze tinte che lo diluiscono. La parola di Dio è efficace e richiede la conversione a tutti, senza equivoci né compromessi, ma è anche profondamente umana e comprensiva.
 
Origene: Giovanni gli rivolse la parola: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava i demoni in nome tuo, ma non gliel’abbiamo permesso perché non è dei nostri»" (Mc 9,38).
Giovanni, che amava con straordinario fervore il Signore e perciò era degno di essere riamato, riteneva dovesse essere privato del beneficio chi non ricopriva un ufficio. Ma viene ammaestrato che nessuno dev’essere allontanato dal bene che in parte possiede, ma che piuttosto dev’essere invitato a ciò che non ancora possiede. Continua infatti: “Ma Gesù gli disse: «Non gliel’impedite. Non c’è nessuno infatti che operi miracoli nel mio nome e possa subito dopo parlar male di me. Chi infatti non è contro di voi, è con voi»” (Mc 9,39-40).
Lo stesso concetto ripete il dotto Apostolo: “Purché Cristo sia in ogni modo annunziato, per dispetto o con lealtà, io di questo godo e godrò!” (Fil 1,18). Ma anche se egli s’allieta per coloro che annunziano Cristo in modo non sincero e, poiché fanno di conseguenza talvolta miracoli per la salvezza degli altri, consiglia che non ne vengano impediti, tuttavia costoro per tali miracoli non possono sentirsi giustificati; anzi, in quel giorno in cui diranno: “Signore, Signore, non abbiamo forse profetato in nome tuo, e non abbiamo scacciato i demoni nel tuo nome, e nel tuo nome non abbiamo compiuto molti miracoli?”, essi riceveranno questa risposta: “Non vi ho mai conosciuti, allontanatevi da me voi che operate l’iniquità” (Mt 7,22-23). Perciò, per quanto riguarda gli eretici e i cattivi cattolici, dobbiamo solennemente respingere non quelle credenze e quei sacramenti che essi hanno in comune con noi e non contro di noi, ma la scissione che si oppone alla pace e alla verità, per la quale essi sono contrari a noi e non seguono in unità con noi il Signore.
 
Il Santo del Giorno - 26 Marzo 2025 - San Ludgero di Munster Vescovo (Frisia, c. 745 - 26 marzo 809): Nato verso il 745 in Frisia è legato all’evangelizzazione della Germania transrenana, come discepolo di Gregorio e di Alcuino di York. Dopo l’ordinazione sacerdotale, ricevuta a Colonia nel 777, si dedicò alla evangelizzazione della regione pagana della Frisia. Nel 776, durante la prima spedizione in questa zona, Carlo Magno impose il battesimo a tutti i guerrieri vinti; ma la rivolta di Widukindo fu accompagnata da un’apostasia generale. Ludgero fuggì e raggiunse Montecassino. La rivolta di Widukindo venne domata nel 784. Lo stesso Carlo Magno andò a incontrare Ludgero a Montecassino e lo rimandò in patria, incaricandolo di riprendere la missione nella Frisia. Prese il posto dell’abate Bernardo nel territorio della Sassonia. Nel 795 Ludgero vi eresse il monastero, attorno al quale sorse l’attuale città di Munster. Il territorio apparteneva alla circoscrizione ecclesiastica di Colonia, poiché Ludgero accettò soltanto nell’804 di essere consacrato vescovo della nuova diocesi. A lui si deve anche la fondazione del monastero benedettino di Werden, dove è sepolto. Morì nell’anno 809. (Avvenire)
 
Dio onnipotente,
il pegno di salvezza ricevuto in questi misteri
ci conduca alla vita eterna.
Per Cristo nostro Signore.