20 Febbraio 2025
Giovedì VI Settimana T, O.
Gen 9,1-13; Salmo Responsoriale Dal Salmo 101 (102); Mc 8,27-33
Colletta
O Dio, che hai promesso di abitare
in coloro che ti amano con cuore retto e sincero,
donaci la grazia di diventare tua degna dimora.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Educat [817]: «Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua» (Mc 8,34). Il discepolo di Gesù deve assumere il suo atteggiamento filiale di obbedienza al Padre e al divino disegno di salvezza, che lo ha condotto alla croce e alla risurrezione. «Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono» (Eb 5,8-9).
Camminare dietro a Cristo significa camminare nella carità, avere i suoi medesimi sentimenti, amare come egli ha amato, fino a dare la vita per i fratelli: «Egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli... Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma coi fatti e nella verità» (1Gv 3,1618).
Ma è impossibile amare come Cristo ha amato, se egli stesso non ama in noi; è impossibile andargli dietro, se egli stesso non viene a vivere dentro di noi. Ebbene, comunicandoci lo Spirito Santo, egli entra nella nostra esistenza e la vive con noi, sì che ogni cristiano può dire come Paolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» (Gal 2,20). Egli perciò non rimane un modello esteriore; anzi, viene interiorizzato in virtù dello Spirito.
I Lettura: Catechismo della Chiesa Cattolica: L’Alleanza con Noè 56 Dopo che l’unità del genere umano è stata spezzata dal peccato, Dio cerca prima di tutto di salvare l’umanità intervenendo in ciascuna delle sue parti. L’Alleanza con Noè dopo il diluvio esprime il principio dell’economia divina verso le «nazioni», ossia gli uomini riuniti in gruppi, «ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni» (Gn 10,5).
57 Quest’ordine, ad un tempo cosmico, sociale e religioso della pluralità delle nazioni, ha lo scopo di limitare l’orgoglio di una umanità decaduta, la quale, concorde nella malvagità, vorrebbe costruire da se stessa la propria unità alla maniera di Babele. Ma, a causa del peccato, sia il politeismo che l’idolatria della nazione e del suo capo costituiscono una continua minaccia di perversione pagana per questa economia provvisoria.
58 L’Alleanza con Noè resta in vigore per tutto il tempo delle nazioni, fino alla proclamazione universale del Vangelo. La Bibbia venera alcune grandi figure delle «nazioni», come «Abele il giusto», il re-sacerdote Melchisedek, figura di Cristo, i giusti «Noè, Daniele e Giobbe» (Ez 14,14). La Scrittura mostra così a quale altezza di santità possano giungere coloro che vivono secondo l’Alleanza di Noè nell’attesa che Cristo riunisca «insieme tutti i figli di Dio che erano dispersi» (Gv 11,52).
Vangelo
Tu sei il Cristo ... Il Figlio dell’uomo deve molto soffrire.
A differenza di Matteo, Marco, come Luca, è molto più stringato: alla confessione della messianicità di Gesù non aggiunge quella della filiazione divina e omette altri particolari. A seguito della professione di fede esplicita nella sua messianicità, Gesù fa il primo annunzio della passione: «al compito glorioso di Messia egli aggiunge il compito doloroso di servo sofferente. Con questa pedagogia, che sarà rafforzata qualche giorno dopo dalla trasfigurazione, anch’essa seguita dall’imposizione del silenzio e da un annunzio analogo (Mt 17,1-12), egli prepara la loro fede alla prossima crisi della sua morte e resurrezione» (Bibbia di Gerusalemme). Pietro, non comprendendo appieno le parole, tenta di vanificare il progetto del Maestro, diventando in questo modo il fautore, certo incosciente, dello stesso Satana (cf. Mt 4,1-10).
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,27-33
In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».
Parola del Signore.
E voi chi dite che io sia? - Gesù è «in cammino verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo». La città, ai piedi del monte Ermon, era stata ricostruita sfarzosamente, in stile totalmente ellenistico, da Filippo, figlio di Erode il Grande e Cleopatra di Gerusalemme. L’aveva chiamata Cesarea in onore di Tiberio Cesare aggiungendovi il suo nome per distinguerla dalle altre Cesaree.
Camminando, Gesù saggia la fede dei suoi discepoli e la conoscenza che essi hanno della sua persona. Questo modo informale sembra suggerire che Gesù voglia mettere a proprio agio i suoi interlocutori perché possano esprimere le loro idee con franchezza, in tutta libertà. La risposta è spontanea e fa intendere che essi non si associano al sentire comune. Interpellati personalmente, «voi chi dite che io sia?», essi rispondono affidandosi alla mediazione di Pietro. Che sia Pietro a prendere la parola fa capire che già in gruppo ne avevano parlato ed ora lasciavano la parola a colui di cui riconoscevano una certa autorità.
«Tu sei il Cristo», il Messia. Questa risposta va al di là della stessa comprensione umana di Pietro così come suggerisce Matteo: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (16,17).
Il divieto severo di «non parlare di lui a nessuno», è volto anche a non suscitare false speranze soprattutto in mezzo al popolo: il messianismo atteso dai giudei, un messianismo politico, liberatore, non era in sintonia con quello di Gesù.
A questo punto, Gesù cominciò a insegnare loro che il «Figlio dell’uomo doveva molto soffrire ... venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare».
Figlio dell’uomo, questo titolo in origine stava ad indicare l’uomo in tutta la debolezza della sua condizione umana (cf. Ez 2,1), successivamente verrà usato da Daniele (7,13) e poi dall’apocalittica giudaica (Enoch) per indicare il personaggio trascendente, d’origine celeste, che riceve da Dio il regno escatologico, in questo modo si veniva ad evidenziare, in maniera misteriosa ma sufficientemente chiara, il carattere del suo messianismo.
È questa la prima occasione in cui Gesù annunzia ai discepoli i patimenti e la morte che dovrà soffrire, successivamente lo farà altre due volte (cf. Mc 9,30-31; 10,32-34). L’annuncio disorienta gli Apostoli. Tutto sembrava andare sull’onda del successo: miracoli, prodigi, risurrezioni di morti, ed anche un ampio consenso popolare. È impossibile accettare che tutto debba volgere verso la disfatta: la loro esaltante avventura non poteva finire tragicamente e soprattutto con la morte ignominiosa di Gesù, così come lui definisce la sua dipartita.
Gesù parla di morte e di risurrezione: se la sua morte imbarazza i discepoli, ancora di più la sua risurrezione; infatti, come si legge altrove, gli stessi discepoli si chiedevano «che cosa volesse dire risuscitare dai morti» (Mc 9,10).
Il discorso era chiaro, deciso senza sconti, appunto «apertamente». Pietro, come si era si sentito in dovere di rispondere in rappresentanza di tutto il gruppo apostolico, così ora si arroga il diritto di chiamare in disparte il Maestro e rimproverarlo.
Voleva convincerlo a gettare acqua sul fuoco, ma in verità non poteva capire perché la sua mente era ancora chiusa (cf. Mc 6,52; 7,18; 8,17-18; 8,21.33; 9,10.32.38), così chiusa da aprirsi al nefasto influsso di Satana.
Lui, il diavolo, Satana, il grande seduttore di tutta la terra (Ap 12,9), aspettava proprio questo momento: aveva promesso di mettersi di traverso, ostacolare il progetto di Dio (Lc 4,13). E Pietro inconsapevolmente fa suo il giuoco: con il suo intervento inopportuno, opponendosi, si mette di traverso avversando il progetto salvifico del Padre che “necessariamente” (Lc 24,26) doveva passare attraverso la morte di croce del Figlio (Fil 2,10).
Il rimprovero di Gesù va in questo senso, non vuole dire che Pietro sia posseduto dal demonio, ma soltanto che le vie di Dio non sono le vie degli uomini (Is 55,8-9).
Il testo greco ha Va’ dietro di me, Satana. Una risposta che vuole fare “ordine gerarchico”. Chi sta dietro è il discepolo. Gesù dice a Pietro: «Ritorna al tuo posto. Riprendi il tuo posto di discepolo».
Gesù, voltatosi, rimprovera Pietro guardando in faccia i discepoli. Il Maestro attua questa manovra non perché non voglia guardare Pietro negli occhi, ma perché il rimprovero fatto al Capo degli Apostoli è una parola che da tutti deve essere intesa e capita, perché tutti, anche le alte cariche gerarchiche della Chiesa, possono essere preda di Satana, possono diventare Satana, nessuno escluso: «Non ho forse scelto io voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo!» (Gv 6,70).
Convocata la folla, Gesù aggiunge quel tassello che mancava e tanto necessario perché Pietro comprendesse il suo dire: «Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Anche qui dobbiamo mettere l’accento sulla volontà di Gesù di sottolineare che tutti devo-no seguire il suo insegnamento, folla e Apostoli.
Rinnegare se stessi è rinunciare a ritenersi padroni della propria vita. È donare incondizionatamente la propria vita a Dio: è permettere che Lui l’impasti, secondo la sua infinita sapienza, anche con l’acqua del dolore e della morte cruenta, cioè con la morte di croce. La croce per il cristiano non è un incidente di percorso. Il secondo paradosso è ancora più comprensibile: mentre la vita terrena vissuta rifiutando il Cristo va verso l’eterna dispersione, la vita terrena vissuta nel nome di Cristo, seguendolo nelle fatiche e nei patimenti, nonostante la morte terrena, va verso la perfetta comunione: i credenti infatti saranno una cosa sola con i Tre.
L. Szabò: Il diluvio antico. - Il ricordo di una inondazione catastrofica, che risale ad un passato lontanissimo, fu conservato ed ingrandito da leggende sumero-babilonesi di date diverse. Alla luce della fede monoteistica la tradizione biblica fece una cernita tra i materiali di questa eredità popolare e li permeò di un insegnamento morale e religioso. Ciò che era attribuito al capriccio degli dèi gelosi appare ormai come la giusta opera del Dio unico; l’idea di disastro fa posto a quella di epurazione in vista d’una salvezza, rappresentata dall’arca liberatrice; al di là delle forze irresponsabili spicca un giudizio divino che colpisce il peccatore e fa del giusto il seme di una nuova umanità. L’avventura di Noè cessa così di essere un episodio accidentale; riassume e simboleggia tutta la storia di Israele e la storia stessa dell’umanità. Noè solo è detto giusto (Gen 7,1), ma, come Adamo, rappresenta tutti i suoi e li salva con sé (Gen 7,l.7.13). Mediante questa elezione gratuita Dio si riserva un piccolo resto, i superstiti che saranno il ceppo di un nuovo popolo. Se il cuore dell’uomo salvato è ancora incline al peccato, Dio ormai si dichiara paziente: la sua misericordia si oppone al castigo puramente vendicativo ed apre la via alla conversione (Gen 8,15-22). Il giudizio mediante le acque finisce così in una alleanza che assicura la fedeltà di Dio non soltanto alla famiglia di Noè, ma all’intera umanità (Gen 9,1-17).
2. Figura dell’avvenire. - La teologia profetica ha riconosciuto nel diluvio, come nella liberazione per mezzo delle acque del Mar Rosso al tempo dell’esodo, il tipo stesso dei giudizi salvifici di Dio. II ritorno dall’esilio del resto, che sarà il seme d’un nuovo popolo, non appare solamente come un nuovo esodo, ma come la ripresa dell’opera di Noè all’uscita dall’arca: «In un amore eterno io ho misericordia di te, dice Dio; mi è successo come al tempo di Noè, quando ho giurato che le acque di Noè non avrebbero più sommerso la terra» (Is 54,7ss). L’idea di un giudizio salutare è evocata dai sapienti: «Noè fu trovato perfetto e giusto, al tempo dell’ira egli fu il rampollo; grazie a lui un resto rimase sulla terra allorché si produsse il diluvio; alleanze eterne furono stabilite con lui» (Eccli 44,17s; cfr. Sap 10,4s; 14,6). Le immagini messianiche del rampollo e del resto fanno già di Noè la figura di Gesù Cristo, che un giorno sarà il principio di una nuova creazione.
3. Il diluvio dei nuovi tempi. - Per annunziare il giudizio escatologico Gesù evoca il diluvio (Mt 24,37ss). Questo giudizio d’altronde è anticipato quaggiù. Difatti Cristo, come un nuovo Noè, discese nelle grandi acque della morte e ne uscì vincitore con una moltitudine di superstiti. Coloro che si immergono nelle acque del *battesimo, ne escono salvi e configurati al Cristo risorto (1Piet 3,18-21). Se dunque il diluvio prefigura il battesimo, l’arca liberatrice può apparire agli occhi dei Padri come la figura della Chiesa che galleggia sulle acque di un mondo peccatore e raccoglie tutti coloro «che vogliono salvarsi da questa generazione perversa» (Atti 2,40). Tuttavia il giudizio finale che minaccia gli empi non è ancora giunto. Come nei giorni del diluvio, questa dilazione manifesta la misericordia paziente di Dio; il giudizio escatologico è sospeso, in attesa che la comunità messianica realizzi la sua pienezza (cfr. 2Piet 2,5.9; 3,8s). Attraverso le immagini apocalittiche del suo tempo, l’autore della seconda lettera di Pietro distingue tre tappe nella storia della salvezza: il mondo antico che fu giudicato mediante l’acqua, il mondo presente che perirà per il fuoco, il mondo futuro con i suoi cieli nuovi e la sua terra nuova (2Piet 3,5ss.11ss). L’antica alleanza con Noè si realizzerà così pienamente in un ordine nuovo, in cui l’opera creatrice di Dio sarà riuscita a far vivere in armonia l’uomo e l’universo purificati.
Le due nature in Cristo - Leone Magno, Epist. 28, ad Flav.: A proposito di questa unità della persona da intendersi nelle due nature, si legge che il figlio dell’uomo è disceso dal cielo, quando il Figlio di Dio assunse carne dalla Vergine da cui nacque. E si dice ancora che il Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, per quanto egli abbia sofferto tutto ciò non nella sua divinità, per la quale l’Unigenito è coeterno e consustanziale al Padre, ma nella debolezza della natura umana. Per questo tutti professiamo nel Simbolo che l’unigenito Figlio di Dio fu crocifisso e sepolto, secondo quanto dice l’Apostolo: “Se infatti lo avessero saputo, non avrebbero mai crocifisso il Signore della maestà” (1Cor 2,8). E lo stesso Signore nostro e Salvatore, volendo ammaestrare nella fede i suoi discepoli, li interrogò chiedendo loro: «La gente chi dice che sia io, Figlio dell’uomo?». E avendo quelli riferito alcune opinioni altrui, disse: «Ma voi, chi dite che io sia?». Chi dite che sia io, proprio io, che sono figlio dell’uomo, che voi vedete in condizione di schiavo, in una carne vera? E allora san Pietro divinamente ispirato, per giovare con la sua professione a tutte le genti disse: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”(Mt 16,16). E ben giustamente il Signore lo proclamò beato e a buon diritto dalla pietra angolare (Cristo) egli derivò la forza e il nome, perché per divina rivelazione egli lo proclamò messia e insieme Figlio di Dio. Accettare una di queste due realtà senza l’altra, nulla avrebbe giovato alla salvezza, ed era ugualmente pericoloso credere che il Signore Gesù Cristo fosse solamente Dio e non uomo, o solo uomo e non Dio... La Chiesa cattolica vive e cresce in questa fede: in Gesù, non crede all’umanità senza vera divinità, e neppure alla divinità senza vera umanità.
Il Santo del Giorno - 20 Febbraio 2025 - Santa Giacinta Marto. Nei piccoli è custodito il significato della storia: Agli occhi dei più piccoli è affidato il mistero della storia, sono loro i portatori del messaggio più profetico per la nostra storia: Dio va cercato nelle cose più minute, negli angoli più marginali del mondo. Per questo le parole della Madre di Dio nel 1917, in un periodo buio e doloroso, vennero affidate a tre bambini: Lucia dos Santos, Francesco Marto e sua sorella Giacinta. Proprio di quest’ultima ricorre oggi la memoria liturgica. Proclamata santa il 13 maggio 2017 a Fatima da papa Francesco, assieme al fratello: la loro storia li vede testimoni delle apparizioni mariane avvenute esattamente un secolo prima, nel 1917, in Portogallo. Giacinta, che aveva 7 anni, si trovava al pascolo con il fratello e la cugina Lucia, quando apparve loro la Vergine. Il messaggio della Madonna era semplice ma potente: solo la preghiera e la conversione potranno costruire la vera pace nel mondo. L’anno seguente, verso la fine del 1918, Giacinta contrasse la terribile influenza, la “spagnola”, che la portò alla morte il 20 febbraio 1920 nell’ospedale «Dona Estefânia» di Lisbona, all’età di nove anni e undici mesi. Aveva vissuto la sua breve esistenza offrendo tutto a Dio, anche la sofferenza.
O Signore, che ci hai fatto gustare il pane del cielo,
fa’ che desideriamo sempre questo cibo che dona la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.