17 Febbraio 2025
 
Lunedì VI Settimana T, O.
 
Gen 4,1-15.25; Salmo Responsoriale Dal Salmo 49 (50); Mc 8,1-13 
 
Colletta
O Dio, che hai promesso di abitare
in coloro che ti amano con cuore retto e sincero,
donaci la grazia di diventare tua degna dimora.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Catechismo della Chiesa Cattolica Le conseguenze del peccato originale: 2259: La Scrittura, nel racconto dell’uccisione di Abele da parte del fratello Caino, rivela, fin dagli inizi della storia umana, la presenza nell’uomo della collera e della cupidigia, conseguenze del peccato originale. L’uomo è diventato il nemico del suo simile. Dio dichiara la scelleratezza di questo fratricidio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello» (Gen 4,10-11)
La proliferazione del peccato - 1865: Il peccato trascina al peccato; con la ripetizione dei medesimi atti genera il vizio. Ne derivano inclinazioni perverse che ottenebrano la coscienza e alterano la concreta valutazione del bene e del male. In tal modo il peccato tende a riprodursi e a rafforzarsi, ma non può distruggere il senso morale fino alla sua radice.
1866 I vizi possono essere catalogati in parallelo alle virtù alle quali si oppongono, oppure essere collegati ai peccati capitali che l’esperienza cristiana ha distinto, seguendo san Giovanni Cassiano e san Gregorio Magno. Sono chiamati capitali perché generano altri peccati, altri vizi. Sono la superbia, l’avarizia, l’invidia, l’ira, la lussuria, la golosità, la pigrizia o accidia.
1867 La tradizione catechistica ricorda pure che esistono «peccati che gridano verso il cielo». Gridano verso il cielo: il sangue di Abele; il peccato dei Sodomiti; il lamento del popolo oppresso in Egitto; il lamento del forestiero, della vedova e dell’orfano; l’ingiustizia verso il salariato.
Il peccato è un atto personale. Inoltre, abbiamo una responsabilità nei peccati commessi dagli altri, quando vi cooperiamo:
- prendendovi parte direttamente e volontariamente;
- comandandoli, consigliandoli, lodandoli o approvandoli;
- non denunciandoli o non impedendoli, quando si è tenuti a farlo;
- proteggendo coloro che commettono il male.
1869 Così il peccato rende gli uomini complici gli uni degli altri e fa regnare tra di loro la concupiscenza, la violenza e l’ingiustizia. I peccati sono all’origine di situazioni sociali e di istituzioni contrarie alla Bontà divina. Le “strutture di peccato” sono l’espressione e l’effetto dei peccati personali. Inducono le loro vittime a commettere, a loro volta, il male. In un senso analogico esse costituiscono un “peccato sociale”.
 
I Lettura: Il brano odierno del libro della Genesi presuppone una civiltà ben sviluppata; l’istituzione del sacrificio, l’esistenza di altri popoli. L’episodio vuole suggerire che la rivolta dell’uomo contro Dio conduce alla rivolta dell’uomo contro i suoi simili. Il crimine dell’assassinio conferma questo stato di decadenza dell’uomo.
Dio è giusto nel punire il peccato ma misericordioso nell’applicare la pena. Il peccato per quanto possa affascinare il cuore dell’uomo, può essere dominato dall’uomo.
 
Vangelo
Perché questa generazione chiede un segno?
 
Bibbia di Gerusalemme: Il rifiuto di ogni segno, in Mc, è spesso considerato più originario della promessa del «segno di Giona» in Mt e Lc. Forse però Mc ha omesso questo ricordo biblico perché rischiava di sfuggire ai suoi lettori, e Gesù ha realmente promesso questo segno per annunziare il trionfo della sua liberazione finale, così come Mt l’ha ben esplicitato (cf. Mt 12,39+).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,1-13
In quel tempo, vennero i farisei e si misero a discutere con Gesù, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.
Ma egli sospirò profondamente e disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno».
Li lasciò, risalì sulla barca e partì per l’altra riva.
 
Parola del Signore.
 
Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 11 I Farisei, appena ebbero notizia dell’arrivo di Gesù, andarono a lui con l’intenzione di attaccarlo con polemiche dottrinali. Essi, quantunque ostili al Maestro, devono pur ammettere che egli non è un Rabbi come gli altri, ma ha raggiunto una grande popolarità ed esercita un notevole influsso sulle masse. Incominciarono a disputare con lui; «incominciarono» (ἤρξαντο) espressione caratteristica di Marco. Da questa notizia sappiamo che, in quella circostanza, ebbe luogo una disputa, ma non siamo informati del contenuto di essa. La richiesta del segno fu probabilmente la parte saliente o conclusiva di quella discussione. Gli chiesero un segno dal cielo; i Farisei esigono che il Maestro compia un prodigio con il quale possa loro provare di essere profeta o Messia. Alcuni grandi personaggi dell’Antico Testamento avevano compiuto dei prodigi spettacolari, come: Mosè facendo cadere la manna dal cielo (cf. Esodo, 16, 12); Giosuè, arrestando il corso del sole (cf. Giosuè, 10, 12-13); Elia, schiudendo il cielo alla pioggia dopo tre anni di siccità (cf. 1 Re, 18, 44-46); Isaia, facendo indietreggiare l’ombra sul quadrante di Achaz (cf. Isaia, 38, 7-8). Lo pseudo-profeta Theuda al tempo del Procuratore Cuspio Fado (44-46 d. C.) aveva promesso ai gregari del suo moto insurrezionale di farli passare attraverso il Giordano, dopo averne diviso le acque con un miracolo spettacolare (cf. G. Ricciotti, Storia d’Israele, II, n. 406). I Farisei richiedevano da Gesù un prodigio di tale evidenza da costringere anche i più restii a credere alla sua origine divina ed al suo messianismo.
12 Il Salvatore vide chiaramente che i suoi interlocutori non avanzavano quella richiesta per essere illuminati, ma per tentarlo; egli quindi, davanti alla loro cieca ostinazione, emise un sospiro profondo, come il gemito di uno spirito amareggiato, e dichiarò apertamente agli avversari di non accordar loro nessun segno. Nessun segno sarà dato a questa generazione (letteral.: se verrà dato un segno a questa generazione); la risposta non tocca soltanto gli interlocutori, ma l’intera nazione ebraica, la quale si era lasciata sviare dalle sue guide spirituali. La frase, formulata secondo una costruzione propria della lingua ebraica (infatti essa suona letteralmente: se verrà dato...; Volgata: si dabitur...), esprime con vigore un rifiuto, cioè: non sarà dato nessun segno. La proposizione è ellittica, essa va completata nel modo seguente: se verrà dato un segno a questa generazione, che io muoia, opp.: che sia punito da Dio. L’evangelista non riferisce le parole con le quali Gesù afferma di dare agli Ebrei in un avvenire indeterminato il segno di Giona (il segno di Giona allude alla risurrezione di Cristo, come risulta dal confronto con il passo parallelo di Matteo, 16, 4). L’omissione di Marco è dovuta al fatto che egli, scrivendo il vangelo per dei pagani convertiti, non ritenne opportuno parlare del segno di Giona a persone che non conoscevano il racconto biblico di Giona; agli Ebrei invece, destinatari del vangelo di Matteo, il fatto era noto, per questo motivo il primo evangelista amò ricordarlo.
 
Il miracolismo, surrogato della fede - José Maria González-Ruiz (Vangelo secondo Matteo - Commento della Bibbia Liturgica): È opinione comune, anche oggi, che i nemici classici di Gesù siano stati i farisei. In tutte le lingue moderne, il termine «fariseismo» o «farisaico» indica falsità e ipocrisia. Però, considerando con attenzione gli elementi storici, non è molto probabile che i membri di questa setta religiosa siano stati sistematicamente ostili al profeta di Nazaret, le cui idee erano molto vicine alle loro su molti punti. I farisei divennero il simbolo principale dell’ostilità cristiana solo nell’ultima terza parte del secolo I.
Riferendoci ora al secondo vangelo, scopriamo che il suo autore non considera i farisei come i principali avversari di Gesù, anche se li tratta abbastanza duramente. Questa relativa moderazione di Marco nei confronti dei farisei fa pensare a una data abbastanza anticipata per la redazione del suo vangelo: egli presenta i farisei come avversari di Gesù in Galilea, mentre, fuori di essa, hanno una parte molto meno importante (10,2; 12,13).
Orbene, vi era un grave punto di frizione fra Gesù e i farisei. Il secondo evangelista mette molto bene in rilievo questa differenza e, per questo, sta molto attento a presentare Gesù come Figlio dell’uomo e non come il Messia trionfante. Questo presupposto è presente nei racconti taumaturgici del nostro vangelo. Gesù compie miracoli non per meravigliare la povera gente, ma per farle capire che la grande notizia si riferisce realmente alla sua liberazione totale. Perciò i miracoli si riferiscono sempre alla liberazione dell’uomo dalla malattia, dalla morte o dall’angustia.
Al contrario, nella teologia farisaica, si insisteva assai sugli aspetti trionfalistici del futuro Messia. Questo è il senso della pretesa dei farisei che gli chiedono «un segno dal cielo», cioè un’esibizione cosmica che obblighi gli spettatori a ubbidire al glorioso dittatore celeste.
Gesù è fra l’indignazione e lo stupore: «Perché questa generazione chiede un segno?». Nel NT, l’espressione «questa generazione» suppone sempre un giudizio negativo (Mc 8,38; 9,19; Mt 12,39-45; 16,4; 17,17; Lc 9,41; 11,29; Fil 2,15). Il senso temporale passa in secondo piano, mentre resta in primo piano il contenuto umano collettivo. Forse la traduzione più vicina potrebbe essere la espressione moderna «questa gente».
Gesù afferma in modo solenne che il potere salvifico di Dio non si manifesterà attraverso un’esibizione sconvolgente. Nel corso dei secoli le Chiese cadranno spesso in questa tentazione «farisaica»: cercare e offrire segni meravigliosi che mettano a tacere gli avversari, È curioso notare come questa tentazione venga alle Chiese nei momenti critici di decadenza della fede. Non avendo testimonianze vive e reali di disalienazione da offrire agli «altri», tentano di chiuder loro la bocca con supposti fenomeni soprannaturali, molto lontani dallo spirito dei miracoli di Gesù e molto più vicini ai risultati della moderna scienza della parapsicologia.
 
Che cosa è il peccato? Paolo VI (Udienza Generale, 12 febbraio 1975): È il conflitto della nostra volontà, di esseri liberi e responsabili, ma nello stesso tempo di esseri creati e piccoli, con la volontà sovrana, buona e paterna di Dio. È un’azione sbagliata, vista nel suo aspetto religioso. È l’offesa, volontaria e cosciente, al rapporto che, volere o no, intercorre fra la nostra vita e la legge di Dio, Chi pensa e comprende questa trascendente ripercussione del nostro operare su la vigilante presenza giusta e amorosa di Dio, sa che cosa è il peccato; anzi ne avverte l’insondabile e abissale gravità; ricordate le parole del «figliolo prodigo» nella celebre parabola evangelica, vero specchio del dramma del peccato: «Padre, io ho peccato contro il cielo e contro di Te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio» (Luc 15,18-21). Il peccato è simultaneamente offesa a Dio e rovina di chi lo commette (cfr. S. THOMAE Summa Theologiae, I-IIæ, 55, 1 et 2). Una rovina, mentre ancora siamo nella vita presente, non totale; l’uomo resta uomo, cioè capace di ragionare, naturalmente inclinato al bene, debilitato però a perseguirlo con forze naturali intatte; l’esperienza del male, che tanti, anche educatori, credono utile alla formazione della coscienza umana, è come una malattia che, potendo, dovremmo risparmiare all’uomo, al giovane specialmente, già infermo per le conseguenze del peccato originale, e ancora inesperto nel ricorso alle risorse della coscienza morale.
 
Alberto Magno (In ev. Marc., VIII.): chiedendogli, per tentarlo, un segno dal Cielo: questo il senso delle loro parole: Se sei venuto dal Cielo, provacelo mostrandoci dei segni dal Cielo, perché i Padri nostri spesso hanno compiuto tali segni ... come Elia che fece scendere fuoco dal cielo (2Re 1,10), o Giosuè, che fece fermare la luna e il sole (Gs. 10,12-13), o Isaia, che fece retrocedere il sole (Is. 38,8). Quasi fossero piccoli i segni che Egli aveva fatto sulla terra, curando gli infermi; sull’Abisso, risuscitando i morti; sul mare, sedando le tempeste; nell’atmosfera, calmando i venti ... Essi però dicevano così per tentarlo e per mostrare al popolo la sua impotenza e la sua debolezza ... non furono perciò degni di vedere alcun segno.
 
Il Santo del giorno - 17 Febbraio 2025 - San Constabile (Costabile) Quarto Abate di Cava: Nacque verso il 1070 a Tresino in Lucania dalla nobile famiglia Gentilcore. A sette anni Costabile fu affidato all’abate di Cava dei Tirreni, Leone I, divenendo poi monaco nella stessa Abbazia. Dimostrò un impegno encomiabile nella Regola benedettina nella vita monastica, tale che fu incaricato dall’abate di importanti trattative di affari. Il 10 gennaio 1118, con il pieno consenso dei monaci, fu elevato dall’abate a suo coadiutore, succedendogli poi nella carica alla sua morte, il 4 marzo 1122. Morì il 17 febbraio 1124 a soli 53 anni. Dopo la morte apparve varie volte agli abati suoi successori, venendo in loro aiuto nelle contingenze. Si ricordano i suoi interventi prodigiosi per la salvezza delle navi, che in seguito appartennero all’Abbazia, al punto che per tutto il Medioevo fu ritenuto protettore dei marinai dell’Abbazia stessa. (Avvenire)
 
O Signore, che ci hai fatto gustare il pane del cielo,
fa’ che desideriamo sempre questo cibo che dona la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.