16 Febbraio 2025
VI Domenica T. O.
Ger 17,5-8; Salmo Responsoriale Dal Salmo 1; 1Cor 15,12.16-20; Lc 6,17.20-26
Colletta
O Dio, Signore del mondo,
che prometti il tuo regno ai poveri e agli oppressi
e resisti ai potenti e ai superbi,
concedi alla tua Chiesa
di vivere secondo lo spirito delle beatitudini
proclamate da Gesù Cristo, tuo Figlio.
Egli è Dio, e vive e regna con te.
Catechismo della Chiesa Cattolica 989 Noi fermamente crediamo e fermamente speriamo che, come Cristo è veramente risorto dai morti e vive per sempre, così pure i giusti, dopo la loro morte, vivranno per sempre con Cristo risorto, e che egli li risusciterà nell’ultimo giorno. Come la sua, anche la nostra risurrezione sarà opera della Santissima Trinità:
991 Credere nella risurrezione dei morti è stato un elemento essenziale della fede cristiana fin dalle sue origini. « Fiducia christianorum resurrectio mortuorum; illam credentes, sumus – La risurrezione dei morti è la fede dei cristiani: credendo in essa siamo tali »:
I Lettura: Mentre il re ed i suoi ministri si affannano a cercare alleanze ed appoggio con l’Egitto contro l’Assiria, il profeta Geremia predica la fiducia in Dio. Solo Dio, certo non l’esercito egiziano, avrebbe salvato Israele dagli Assiri; ma non viene ascoltato. A ragione pertanto può dire: «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo … Sarà come un tamerisco nella steppa… dimorerà in luoghi aridi nel deserto, in una terra di salsedine, dove nessuno può vivere». Maledetto, non perché il Signore voglia per lui il male, o gli mandi delle disgrazie, ma perché da se stesso si è messo sulla strada della rovina. L’uomo che confida nell’uomo è sulla strada sbagliata. Mettere tutta la propria fiducia nelle cose materiali e fare di esse il fine ed il fondamento della propria vita, è andare incontro alla delusione e al fallimento.
II Lettura: Negare la risurrezione di Cristo significa negare anche la risurrezione dell’uomo. Non solo: negare «la risurrezione dei morti pregiudica altresì il regno di Cristo e ultimamente il regno di Dio. Al dominio del Signore e alla signoria divina sarebbe sottratta la morte, ultimo nemico dell’uomo: e non sarebbe più vero ciò che dichiara il salmo 110 inteso da tutta la tradizione della chiesa primitiva in senso cristologico: “finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi”. E sarebbe irrealizzabile il “Dio tutto in ogni cosa” che costituisce appunto il traguardo della regalità divina» (G. B.). Verrebbero annullate anche le Beatitudini in quanto non avrebbe più senso il soffrire per il regno dei cieli. All’uomo privato delle realtà ultraterrene, finché è in vita, non resterebbe che mangiare, bere e darsi alla gioia poiché con la morte finisce tutto.
Vangelo
Beati i poveri. Guai a voi, ricchi.
Luca riporta quattro beatitudini e le fa seguire da quattro maledizioni antitetiche, contrapposte alle beatitudini. A differenza di Matteo, Luca rifugge dal dare alle beatitudini una connotazione spirituale. Essendo il premio fissato nella vita ultraterrena, l’uomo deve stare sempre saldo nella fede confidando nella promessa di Dio, come Abramo, il quale «credette, stando saldo nella speranza contro ogni speranza» (Rom 4,18).
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 6,17.20-26
In quel tempo, Gesù, disceso con i Dodici, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne.
Ed egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva:
«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.
Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell’uomo.
Rallegratevi in quel giorno ed esultate,
perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo.
Allo stesso modo infatti agivano
i loro padri con i profeti.
Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti».
Parola del Signore
La pericope lucana delle Beatitudini è presente anche nel vangelo di Matteo (Cf. 5,1-12), ma con nette divergenze.
Mentre in Matteo (Cf. 5,1) Gesù rivolge il discorso alla folla, in Luca lo indirizza ai discepoli, a quanti cioè hanno già fatto una scelta, ponendosi alla sua sequela. Si doveva «trattare di credenti che vivevano in situazioni di povertà materiale e di oppressione, come testimoniano le maledizioni rivolte agli oppressori. Ebbene Luca dice: proprio loro si devono considerare beati e felici» (G. BE).
Inoltre, il testo lucano contiene quattro beatitudini, a differenza delle otto riportate da Matteo, e quattro guai. Questa opposizione, beati-guai, che ricorda le due vie «Vita e bene, morte e male» (Cf. Dt 30,15-20), mette il discepolo di fronte a una radicale scelta a cui seguono precise conseguenze: o la benedizione o la maledizione (Cf. Mt 12,30).
La concisione della pericope può attestare che probabilmente Luca, a differenza di Matteo, descrive l’insegnamento di Gesù in una forma che verosimilmente è molto più vicina allo stile del Maestro.
Anche per quanto riguarda il messaggio i due evangelisti si diversificano. Mentre Matteo «compone le beatitudini in vista soprattutto di una catechesi che vuole descrivere le condizioni etiche per entrare nel regno dei cieli, Luca considera piuttosto la situazione del mondo nel quale la Chiesa si trova a vivere: il punto di vista sociale sta per Luca in primo piano [Cf. beati voi poveri]. Anche l’opposizione tra adesso dei vv. 21 e 25, che indica appunto un’epoca storica ben determinata, e in quel giorno del v. 23, oltre ai futuri, è degna di essere sottolineata: essa infatti mette in grande rilievo il carattere messianico ed escatologico delle beatitudini-maledizioni per Luca» (Carlo Ghidelli).
Il povero «è caratterizzato non solo da uno stato d’indigenza o di afflizione ma soprattutto dall’umile consapevolezza di poter confidare in Dio, da una insoddisfazione nei confronti dei beni del mondo, dalla tristezza a causa delle miserie proprie e degli uomini, per cui orienta tutte le sue attese verso Dio. In questo senso i poveri si oppongono ai sazi, a coloro che si sentono contenti di se stessi, autosufficienti e paghi dei loro attuali godimenti» (P. Rosario Scognamiglio).
I guai rivolti ai ricchi non devono fare pensare a una condanna tout court della ricchezza. Per il mondo biblico, la ricchezza è semplicemente un dono di Dio (Cf. Gn 31,5-9; Dt 28,3-7) e nella letteratura sapienziale a volte è lodata. Infatti, grandi sono i vantaggi che la ricchezza porta con sé: amicizie (Pro 14,20; 19,4), onore (Sir 10,30), pace (Sir 44,6), una vita beata e piena di sicurezza (Pro 10,5; 18,11.16; Sir 31,8.11), possibilità di praticare l’elemosina (Tb 12,8). Le condanne sono rivolte ai ricchi avari, rapaci e senza scrupoli nei loro affari.
La condanna è per chi idolatra la ricchezza ponendola al posto di Dio. E in questo senso, va compreso l’insegnamento di Paolo: «... Quelli invece che vogliono arricchirsi, cadono nella tentazione, nell’inganno di molti desideri insensati e dannosi, che fanno affogare gli uomini nella rovina e nella perdizione. L’avidità del denaro infatti è la radice di tutti i mali; presi da questo desiderio, alcuni hanno deviato dalla fede e si sono procurati molti tormenti» (1Tm 6,10).
Nelle parole di Gesù si viene ad evidenziare così un conflitto tra il discepolo, il credente, il quale pone la sua fiducia unicamente in Dio, e l’empio, il miscredente, colui che ha posto la speranza nei beni caduchi e transitori, come il denaro, il piacere. Nelle Beatitudini, ancora una volta, emerge il modo di agire di Dio che stride formalmente e sostanzialmente con l’agire del mondo: l’uomo è beato non a motivo di una felice sorte, ma a motivo di una cattiva sorte quale la povertà, la persecuzione, il dolore.
Ma tutto sopportato per Cristo e il suo regno, altrimenti si scivolerebbe in un dolorismo inutile.
Gesù e i poveri - Roberto Tufariello (Poveri Schede Bibliche Pastorali Vol VI): Spesso il Vangelo ci mostra i poveri attorno a Gesù. Si tratta di mendicanti, di infermi, di vedove... che si rivolgono a lui. A loro riguardo, Gesù in primo luogo ha ripreso l’insegnamento tradizionale sul dovere di assistenza ai poveri. Egli stesso pratica l’elemosina (Gv 13,29) e vede in essa un’opera tipica della «giustizia» (Mt 6,1-4); la loda nella povera vedova del tempio (Mc 12,41-44) e in Zaccheo (Lc19,8-9); la raccomanda ai suoi discepoli (Mc 10,21; Lc 11,41; 12,33; 16,9; Cf. 14,13.21).
Questo testo indica la grande dignità dei poveri, destinati ad essere un segno perenne della presenza del Signore, il quale nell’incarnazione, nella vita pubblica, nella passione ha voluto assumere la povertà, la sofferenza e l’insuccesso per dare loro un senso nuovo.
La beatitudine dei poveri - Abbiamo due versioni di questa beatitudine, ambientata nel discorso del monte: quella lucana, caratterizzata dal discorso diretto e dalla menzione dei poveri senza alcuna aggiunta: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Lc 6,20). In altre parole: mi congratulo con voi che versate in situazione obiettiva di disagio, miseria, oppressione, distretta, perché Dio sta per diventare re, difensore e protettore vostro.
Si tratta di una proclamazione messianica di gioia, per l’imminente intervento regale e liberatore di Dio.
La versione di Matteo invece si caratterizza per il discorso in terza persona e soprattutto per la precisazione dei destinatari: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (5,3). La beatitudine viene così spiritualizzata: beneficiari sono quanti realizzano la virtù della povertà spirituale, cioè dell’umiltà: essere curvi davanti a Dio. A loro è promesso l’ingresso nel regno finale di Dio.
La dimensione messianica della beatitudine dei poveri, presente a livello di Gesù di Nazaret, emerge di nuovo nel detto testimoniato da Mt 11,6 e Lc 7,23, in cui rispondendo alla delegazione del Battista, Gesù rimanda ai segni da lui compiuti, segni messianici preannunciati da Isaia: i ciechi recuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi vengono mondati, i sordi odono, i morti risuscitano; il tutto sintetizzato nel lieto annuncio proclamato ai poveri: «Ai poveri è predicata la buona novella» (Mt 11,5; Lc 1,11). Il Vangelo (euaggelizesthai) proclamato da Gesù ha quali destinatari e beneficiari i poveri, intesi come persone bisognose, che l’intervento di grazia di Dio, mediato da Gesù, toglie dal bisogno e dalla miseria, in concreto dalla cecità, dall’essere storpio, dalla lebbra, dalla sordità, dalla morte.
In breve, il messaggio di gioia proclamato ai poveri non consiste in una parola consolatoria, destinata a rafforzare la rassegnazione, ma in un’azione efficace di liberazione e di giustizia resa a coloro che giustizia non hanno.
Gesù, benché ricco, si è fatto povero per noi - Ambrogio, Esposizione del Vangelo secondo Luca 5,53-514: Beati i poveri, egli dice. Non tutti i poveri sono beati; effettivamente, la povertà sta in mezzo. I poveri possono essere buoni e cattivi, a meno che qui si debba intendere beato quel povero che il profeta ha descritto con queste parole: è migliore un povero giusto che un ricco bugiardo (Prv 19, 22 - Settanta). Beato è quel povero il quale ha invocato e il Signore l’ha esaudito (Sal34, 6): cioè il povero di ogni colpa, il povero di vizi, il povero nel quale il principe del mondo non trova nulla (d. Gv 14, 30), il povero che emula quel Povero, il quale essendo ricco si è fatto povero per noi. Quindi Matteo ne ha dato l’interpretazione completa, dicendo: Beati i poveri nello spirito (Mt 5,3); infatti, colui che è povero nello spirito non si gonfia, non si monta la testa nei suoi disegni carnali.
Infatti che cosa mi gioverebbe esser privo dei beni del mondo, se non fossi mite e mansueto?
Il Santo del Giorno - 16 Febbraio 2025 - Beata Filippa Mareri, Vergine: Nasce dalla nobile famiglia dei Mareri sul finire del XII secolo, nel castello di loro proprietà, in provincia di Rieti. Avviata da san Francesco alla vita di perfezione negli anni 1221-1225, prende la decisione di consacrarsi a Dio con tale determinazione che né le pressioni dei parenti, né le minacce del fratello Tommaso, né le richieste dei pretendenti riescono a rimuovere. Fugge da casa insieme ad alcune compagne e si ritira in una grotta nei pressi di Mareri, oggi detta «Grotta di Santa Filippa» e vi rimane fino al 1228, quando i due fratelli le donano il Castello di loro proprietà con annessa la Chiesa di San Pietro de Molito. La Beata vi si trasferisce con le sue seguaci e vi organizza la vita claustrale secondo il programma di San Francesco per le Clarisse di San Damiano. La cura spirituale del monastero viene affidata al beato Ruggero da Todi dallo stesso san Francesco. Filippa muore nel 1236. (Avvenire)
O Signore, che ci hai fatto gustare il pane del cielo,
fa’ che desideriamo sempre questo cibo che dona la vera vita.
Per Cristo nostro Signore.