15 Febbraio 2025
Sabato V Settimana T. O.
Gen 3,9-24; Salmo Responsoriale Dal Salmo 89 (90); Mc 8,1-10
Colletta
Custodisci sempre con paterna bontà
la tua famiglia, o Signore,
e poiché unico fondamento della nostra speranza
è la grazia che viene da te,
aiutaci sempre con la tua protezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
La realtà del peccato - Catechismo della Chiesa Cattolica 386 Nella storia dell’uomo è presente il peccato: sarebbe vano cercare di ignorarlo o di dare altri nomi a questa oscura realtà. Per tentare di comprendere che cosa sia il peccato, si deve innanzi tutto riconoscere il profondo legame dell’uomo con Dio, perché, al di fuori di questo rapporto, il male del peccato non può venire smascherato nella sua vera identità di rifiuto e di opposizione a Dio, mentre continua a gravare sulla vita dell’uomo e sulla storia.
387 La realtà del peccato, e più particolarmente del peccato delle origini, si chiarisce soltanto alla luce della rivelazione divina. Senza la conoscenza di Dio che essa ci dà, non si può riconoscere chiaramente il peccato, e si è tentati di spiegarlo semplicemente come un difetto di crescita, come una debolezza psicologica, un errore, come l’inevitabile conseguenza di una struttura sociale inadeguata, ecc. Soltanto conoscendo il disegno di Dio sull’uomo, si capisce che il peccato è un abuso di quella libertà che Dio dona alle persone create perché possano amare lui e amarsi reciprocamente.
Il peccato originale - una verità essenziale della fede 388 Col progresso della Rivelazione viene chiarita anche la realtà del peccato. Sebbene il popolo di Dio dell’Antico Testamento abbia in qualche modo conosciuto la condizione umana alla luce della storia della caduta narrata dalla Genesi, non era però in grado di comprendere il significato ultimo di tale storia, che si manifesta appieno soltanto alla luce della morte e della risurrezione di Gesù Cristo. Bisogna conoscere Cristo come sorgente della grazia per conoscere Adamo come sorgente del peccato. È lo Spirito Paraclito, mandato da Cristo risorto, che è venuto a convincere « il mondo quanto al peccato » (Gv 16,8), rivelando colui che del peccato è il Redentore.
389 La dottrina del peccato originale è, per così dire, « il rovescio » della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo.
Per leggere il racconto della caduta 390 Il racconto della caduta (Gen 3) utilizza un linguaggio di immagini, ma espone un avvenimento primordiale, un fatto che è accaduto all’inizio della storia dell’uomo. La Rivelazione ci dà la certezza di fede che tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori.
I Lettura: Bibbia di Gerusalemme: v. 15 Il testo ebraico, annunziando un’ostilità tra la razza del serpente e quella della donna, oppone l’uomo al diavolo e alla sua «razza», ma lascia anche intravedere la vittoria finale dell’uomo: è un primo barlume di salvezza, il «protovangelo». La traduzione greca, cominciando l’ultima frase con un pronome maschile, attribuisce questa vittoria non alla discendenza della donna in generale, ma a uno dei figli della donna: così è preparata l’interpretazione messianica che molti Padri espliciteranno. Con il Messia, sua madre è implicata, e l’interpretazione mariologica della traduzione latina ipsa conteret è divenuta tradizionale nella chiesa.
v. 16 La condanna colpisce i colpevoli nelle loro attività essenziali. La donna come madre e sposa, l’uomo come lavoratore. Il testo non può significare che, senza il peccato, la donna avrebbe generato senza dolore e che l’uomo avrebbe lavorato senza avere il sudore sulla fronte. Tanto varrebbe concludere, dal v Gen 14, che prima del peccato i serpenti avevano zampe. Il peccato sconvolge l’ordine voluto da Dio: invece di essere l’associata dell’uomo e sua eguale (Gen 2,18-24), la donna diventerà la seduttrice dell’uomo che la asservirà per averne figli; invece di essere il giardiniere di Dio in Eden, l’uomo lotterà contro un suolo divenuto ostile. Ma il grande castigo sarà la perdita della familiarità con Dio (v 23). Saranno pene ereditarie; ma perché sia espresso l’insegnamento di una colpa ereditaria, bisognerà attendere che san Paolo metta in parallelo la solidarietà di tutti in Cristo salvatore e la solidarietà di tutti in Adamo peccatore (Rm 5).
v. 20 Eva: il nome di Eva, Hawwah, è spiegato con la radice hajah, «vivere».
v. 22 L’uomo peccatore si è eretto a giudice del bene e del male (Gen 2,17+), ciò che è privilegio di Dio. - albero della vita: l’albero della vita viene da una tradizione parallela a quella dell’albero della conoscenza.
L’uomo è mortale per natura (cf. v 19), ma aspira all’immortalità che gli sarà finalmente accordata. Il paradiso perduto per la colpa dell’uomo è parallelo all’immagine del paradiso ritrovato per la grazia di Dio.
Vangelo
Mangiarono a sazietà.
José Maria González-Ruiz (Vangelo secondo Marco in Commento della Bibbia Liturgica): La critica continua a esprimere la sua perplessità di fronte alla seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci, così vicina è rassomigliante a quella di 6,34-44. Un punto di partenza può far supporre che ci troviamo di fronte a un doppione d’un unico racconto. Ma come spiegare che l’evangelista, indubbiamente cosciente di questa circostanza, abbia inserito qui questo «secondo» racconto?
Consideriamo come possibile e persino probabile che Marco abbia raccolto il racconto di 6,34-44 dalle labbra d’un narratore popolare galileo, come sarebbe avvenuto per quasi tutti i racconti di miracoli. Allo stesso tempo, sarebbe potuto giungergli un racconto diverso dello stesso avvenimento, scritto con uno stile meno diretto e forse più astratto. L’evangelista era realmente convinto che si trattasse di due episodi o ha inserito semplicemente il doppione nel contesto di questa parte del suo vangelo? Non possiamo sciogliere il dubbio; comunque sia, la seconda moltiplicazione dei pani e dei pesci è in un contesto diverso da quello del capitolo sesto. Intendiamo dunque descrivere le intenzioni «kerygmatiche» dell’evangelista tenendo conto di questo stesso contesto.
Tutta questa sezione è indirizzata a mettere in rilievo lo scopo dell’evangelizzazione, anche nel suo aspetto taumaturgico: disalienare l’uomo, liberarlo dà tutto quello che minaccia la sua esistenza, non solo nel limite estremo della vita, ma anche nella sua azione di ogni giorno.
Nei due racconti è difficile non vedere un’allusione al cibo eucaristico, così come l’eucaristia era celebrata nella comunità giudeo-ellenistica di Cesarea, dove sarebbe nato il secondo vangelo. È curioso che si possa nuovamente osservare che la formula è identica a quella riferita da Paolo in 1Cor 11,20-24. Il racconto del secondo evangelista si comprende molto bene in un contesto simile: la fratellanza cristiana non si limitava alle belle parole, ma cercava di compiere il «miracolo» di distribuire i beni di alcuni a tutta la comunità. Da allora l’atteggiamento della Chiesa di fronte all’indigenza di molti, causata dall’accaparramento di pochi, non avrebbe potuto contentarsi delle lettere, ma avrebbe dovuto offrire la testimonianza di chiari fatti pastorali.
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 8,1-10
In quei giorni, poiché vi era di nuovo molta folla e non avevano da mangiare, Gesù chiamò a sé i discepoli e disse loro: «Sento compassione per la folla; ormai da tre giorni stanno con me e non hanno da mangiare. Se li rimando digiuni alle loro case, verranno meno lungo il cammino; e alcuni di loro sono venuti da lontano».
Gli risposero i suoi discepoli: «Come riuscire a sfamarli di pane qui, in un deserto?». Domandò loro: «Quanti pani avete?». Dissero: «Sette».
Ordinò alla folla di sedersi per terra. Prese i sette pani, rese grazie, li spezzò e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla. Avevano anche pochi pesciolini; recitò la benedizione su di essi e fece distribuire anche quelli.
Mangiarono a sazietà e portarono via i pezzi avanzati: sette sporte. Erano circa quattromila. E li congedò.
Poi salì sulla barca con i suoi discepoli e subito andò dalle parti di Dalmanutà.
Parola del Signore.
Pietro Aliquò (La bella notizia del Regno): Non si sa quando («in quei giorni») e dove (in terra pagana) Gesù fa questa moltiplicazione dei pani. Anzi, non si sa con certezza se questa è una nuova moltiplicazione dei pani o un nuovo racconto di quella che Gesù ha fatto per i giudei (Mc 6,34-44). Una o due moltiplicazioni dei pani? Gli interpreti non la pensano tutti allo stesso modo. Ciò che conta per noi, in modo particolare, è il contenuto e il significate del racconto. Puntiamo su questo.
Protagonisti del racconto sono la folla che da tre giorni segue Gesù, è stanca e ha fame; Gesù che sente compassione, prende l’iniziativa e interviene; i discepoli che si vedono ancora una volta coinvolti e che dichiarano di avere soltanto sette pani e pochi pesciolini. In questo contesto alcuni particolari meritano di essere evidenziati.
L’indicazione di tempo, tre giorni, allude alla Pasqua di Gesù. L’espressione «alcuni di loro vengono da lontano» vuol dire che tra la folla ci sono anche pagani. Il numero 7, poi (sette pani, sette sporte), è il numero dei pagani. Gesù ordina alla folla di sedersi e compie alcuni gesti: prende i pani, rende grazie a Dio, li spezza e li dà ai discepoli perché li distribuiscano. Sono i gesti della prima moltiplicazione dei pani. Saranno i gesti dell’ultima cena e quelli della celebrazione dell’eucaristia nella comunità cristiana. La gente mangia e si sazia. C’è pane per tutti, anche per i pagani, giudei e pagani, in pratica, sono invitati al banchetto del Messia.
Sul piano pastorale e spirituale bisogna prendere sempre più coscienza che il Vangelo è per l’uomo, per tutto l’uomo, unità profonda di anima e di corpo (non c’ è posto quindi per uno spiritualismo disincarnato), che il discepolo per vivere deve mangiare, deve cioè partecipare alla mensa di Gesù (chi non mangia, muore), che alla mensa del Signore sono invitati tutti, giudei e pagani (nessuna esclusione quindi, né teorica né pratica).
Stanislas Lyonnet (Peccato in Dizionario di Teologia Biblica): Le conseguenze del peccato - Tra l’uomo e Dio tutto è mutato: questo è il verdetto della coscienza. Ancor prima che intervenga il castigo propriamente detto (Gen 3, 23), Adamo ed Eva, che fruivano fino allora della familiarità divina (cfr. 2, 25), «si nascondono dinanzi a Jahve Dio tra gli alberi» (3,8). L’iniziativa è venuta dall’uomo e su di lui ricade la responsabilità della colpa; egli non ha più voluto saperne di Dio e lo fugge; l’espulsione dal paradiso ratificherà questa volontà dell’uomo; ma questi allora constaterà che la minaccia non era una menzogna: lontano da Dio non c’è più possibilità di accesso all’albero della vita (3, 22); non c’è più che la morte, definitiva.
Rottura tra l’uomo e Dio, il peccato introduce parimenti una rottura tra i membri della società umana, già nel paradiso, entro la stessa coppia primordiale. Appena commesso il peccato, Adamo, accusandola, rinnega la sua solidarietà con colei che Dio gli aveva dato come aiuto (2, 18), «osso delle sue ossa e carne della sua carne» (2, 23), ed il castigo consacra questa rottura: «La tua passione ti spingerà verso il tuo marito ed egli dominerà su di te» (3, 16). In seguito, questa rottura si estenderà ai figli di Adamo: ecco l’uccisione di Abele (4,8), poi il regno della violenza e della legge del più forte celebrato dal canto selvaggio di Lamec (4,24).
E non è tutto. Il mistero del peccato supera il mondo umano. Tra Dio e l’uomo è entrato in scena un terzo personaggio, di cui il VT non parla quasi, senza dubbio per evitare che se ne faccia un secondo Dio, ma che la sapienza (Sap 2,24) identificherà col demonio o Satana e che riapparirà con il NT.
Infine il racconto di questo primo peccato non termina senza che all’uomo sia data una speranza. Indubbiamente la schiavitù alla quale egli si è condannato credendo di acquistare l’indipendenza, è, di per sé, definitiva; il peccato, una volta entrato nel mondo, non può che proliferare, e, a mano a mano che si moltiplicherà, la vita effettivamente diminuirà fino a cessare completamente col diluvio (Gen 6, 13 ss). L’iniziativa della rottura è venuta dall’uomo; è chiaro che l’iniziativa della riconciliazione non può venire che da Dio. Ma appunto, già in questo primo racconto, Dio lascia intravvedere che un giorno prenderà l’iniziativa (3, 15).
La bontà di Dio, che l’uomo ha disprezzato, infine prevarrà; «vincerà il male col bene» (Rom 12,21). La Sapienza precisa che Adamo « fu liberato dalla sua colpa» (Sap 10, 1).
In ogni caso, la Genesi fa già vedere questa bontà di azione: essa preserva Noè e la sua famiglia dalla corruzione universale e dal suo castigo (Gen 6,5-8), al fine di creare con lui, per così dire, un nuovo universo (8, 17-21s, confrontato con 1, 22. 28; 3, 17); soprattutto, quando « le nazioni unanimi nella loro perversità furono confuse» (Sap 10,5), essa scelse Abramo e lo ritrasse dal mondo peccatore (Gen 12, 1; cfr. Gia 24, 2 s. 14), affinché «per mezzo suo si dicano benedette tutte le nazioni della terra » (Gen 12, 2 s, rispondendo visibilmente alle maledizioni di 3, 14 ss).
Giovanni Damasceno (Esposizione della fede ortodossa, 2,20): Prima della trasgressione non v’era nulla che non fosse sottoposto all’arbitrio dell’uomo, costituito da Dio signore di tutto quanto esiste sulla terra e nelle acque. Anzi, persino il serpente era confidente dell’uomo: gli si avvicinava più in fretta degli altri animali e conversava con lui con accenti carezzevoli. Perciò l’autore del male, il diavolo, si servì di lui per dare un così perverso consiglio ai progenitori [cfr. Gen 3,1]. Inoltre, la terra produceva spontaneamente i frutti dei quali si nutrivano gli animali sottomessi all’uomo. Non c’erano né piogge né inverno. Ma dopo la trasgressione, quando l’uomo fu abbassato al livello delle bestie senza ragione e divenne simile ad esse [Sal 48,14], per aver violato il comando del Signore e per aver voluto porre la sua bruta cupidigia al di sopra della sua razionalità, la creazione di cui dal Creatore era stato fatto arbitro si ribellò contro di lui. E fu condannato a coltivare con sudore la terra da cui era stato tratto.
Il Santo del giorno - 15 Febbraio 2025 - San Claudio de la Colombiere, Sacerdote: Nato a Grenoble, in Francia, il 2 febbraio 1641 era il terzo figlio di un notaio. Brillante negli studi entrò a 17 anni nel noviziato di Avignone della Compagnia di Gesù. A venticinque anni andò a studiare teologia a Parigi e a ventotto fu ordinato sacerdote. Il gesuita Claudio de la Colombière fu superiore del collegio di Paray-le-Monial e confessore delle vicine Suore della Visitazione. Tra esse c’era Margherita Maria Alacoque, propagatrice del culto al Sacro Cuore di Gesù, che sarebbe divenuta santa. Rappresentò una guida sicura per i fedeli, disorientati dalle dispute tra Francia e Roma a causa delle dottrine gianseniste. Venne poi mandato a Londra come cappellano della futura regina Maria Beatrice d’Este. Ma fu arrestato con l’accusa di voler restaurare la Chiesa cattolica in Inghilterra. Espulso, tornò a Paray-le-Monial, dove morì solo tre mesi dopo, il 15 febbraio 1682. È santo dal 31 maggio 1992. (Avvenire)
O Dio, che ci hai resi partecipi
di un solo pane e di un solo calice,
fa’ che uniti a Cristo in un solo corpo
portiamo con gioia frutti di vita eterna per la salvezza del mondo.
Per Cristo nostro Signore.