12 Febbraio 2025
Mercoledì V Settimana T. O.
Gn 2,4b-9.15-17; Salmo Responsoriale Dal Salmo 103 (104); Mc 7,14-23
Colletta
Custodisci sempre con paterna bontà
la tua famiglia, o Signore,
e poiché unico fondamento della nostra speranza
è la grazia che viene da te,
aiutaci sempre con la tua protezione.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
L’uomo nel paradiso Catechismo della Chiesa Cattolica: 374 Il primo uomo non solo è stato creato buono, ma è stato anche costituito in una tale amicizia con il suo Creatore e in una tale armonia con se stesso e con la creazione, che saranno superate soltanto dalla gloria della nuova creazione in Cristo.
375 La Chiesa, interpretando autenticamente il simbolismo del linguaggio biblico alla luce del Nuovo Testamento e della Tradizione, insegna che i nostri progenitori Adamo ed Eva sono stati costituiti in uno stato di santità e di giustizia originali. La grazia della santità originale era una partecipazione alla vita divina.
376 Tutte le dimensioni della vita dell’uomo erano potenziate dall’irradiamento di questa grazia. Finché fosse rimasto nell’intimità divina, l’uomo non avrebbe dovuto né morire, né soffrire. L’armonia interiore della persona umana, l’armonia tra l’uomo e la donna, infine l’armonia tra la prima coppia e tutta la creazione costituiva la condizione detta «giustizia originale».
377 Il dominio del mondo che Dio, fin dagli inizi, aveva concesso all’uomo, si realizzava innanzi tutto nell’uomo stesso come padronanza di sé. L’uomo era integro e ordinato in tutto il suo essere, perché libero dalla triplice concupiscenza che lo rende schiavo dei piaceri dei sensi, della cupidigia dei beni terreni e dell’affermazione di osé contro gli imperativi della ragione.
378 Il segno della familiarità dell’uomo con Dio per il fatto che Dio locolloca nel giardino, dove egli vive per coltivarlo e custodirlo (Gn 2,15): il lavoro non per una fatica penosa, ma la collaborazione dell’uomo e della donna con Dio nel portare a perfezione la creazione visibile.
379 Per il peccato dei nostri progenitori andrà perduta tutta l’armonia della giustizia originale che Dio, nel suo disegno, aveva previsto per l’uomo
I Lettura: Dio crea l’uomo come un vasaio plasma i suoi vasi. Il Creatore insuffla nella narici di Adamo “un alito di vita” e l’uomo diviene un essere vivente. Creato al di sopra di ogni creatura, l’uomo è posto nel giardino di Dio come custode. Oltre alla custodia dovrà coltivare il giardino e ne potrà “mangiare di tutti gli alberi”, ma non potrà mangiare della conoscenza del bene e del male perché nel giorno in cui ne mangerà, certamente dovrà morire. Il racconto al di là dei simboli e delle immagini, dice semplicemente che Dio ha creato l’uomo in una condizione di felicità, la morte non era nel progetto di Dio, invaderà il mondo a motivo del peccato dell’uomo.
Vangelo
Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo.
Per la comprensione del Vangelo è opportuno richiamare alla memoria le norme di purità che gli Ebrei ritenevano di dover osservare prima di prestare il culto liturgico a Dio. Essi distinguevano tra cose, persone, creature, azioni pure e impure . Chi veniva a contatto con ciò che era considerato impuro doveva purificarsi, prima di entrare in contatto con Dio. Per la Bibbia di Gerusalemme, «i rabbini facevano risalire la tradizione orale, attraverso gli “anziani”, a Mosè ... A proposito dell’impurità delle mani, obiettata dai Farisei, Gesù prende in considerazione la questione più generale dell’impurità attribuita dalla legge a certi alimenti [Lev 11] e insegna a posporre l’impurità legale a quella morale, la sola che importa veramente ([cf. At 10,9-16; 10,28 ...]».
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 7,14-23
In quel tempo, Gesù, chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro».
Quando entrò in una casa, lontano dalla folla, i suoi discepoli lo interrogavano sulla parabola. E disse loro: «Così neanche voi siete capaci di comprendere? Non capite che tutto ciò che entra nell’uomo dal di fuori non può renderlo impuro, perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va nella fogna?». Così rendeva puri tutti gli alimenti.
E diceva: «Ciò che esce dall’uomo è quello che rende impuro l’uomo. Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
Parola del Signore.
Pietro Aliquò (La bella notizia del Regno): Nuova controversia e nuova polemica da parte di farisei e scribi. Nuova presa di posizione da parte di Gesù.
Al centro della questione il fatto che i discepoli non rispettano la tradizione perché mangiano «con mani immonde» e cioè non lavate. Per capire, bisogna ricordare che la legge di Mosè proibiva ogni contatto con perso
ne a alimenti dichiarati «impuri» (Lv 11-16).
«Nella vita quotidiana, al ritorno da luoghi aperti al pubblico o dai mercati, gli israeliti si sentono ritualmente “impuri”: non hanno forse sfiorato dei peccatori e dei pagani (venditori e occupanti romani)? Da questo, le loro accurate purificazioni prima di prendere il pasto e la domanda posta a Gesù riguardo alla noncuranza dei suoi amici in relazione a queste norme».
Gesù denuncia con forza l’ipocrisia e la falsità dei farisei e degli scribi. Ai farisei e agli scribi che si rifanno alla tradizione, richiama l’ osservazione lamento del profeta Isaia: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Is 29,13). Gesù accusa farisei e scribi di sostituire tradizioni umane alla parola di Dio. Per dare forza e concretezza all’accusa, Gesù porta l’esempio dei voti. «Onora tuo padre e tua madre» (Es 20,12).
Questa la volontà di Dio. Ma i farisei, dichiarando korbàn (cioè offerta sacra destinata al tempio) ciò che è dovuto ai genitori, vengono meno a un punto fondamentale della legge. Per ottenere offerte a favore del tempio eludono abilmente la parola di Dio. Parlano di tradizioni, ma tradiscono la legge. Non davvero ipocrisia più grande.
Chiamata la folla, Gesù dice: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; son invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo». Parabola stringata ed essenziale.
Ma i discepoli, al solito, non capiscono. Hanno bisogno ancora una volta di una chiave di lettura. E Gesù gliela dà: ciò che contamina l’uomo non sono gli alimenti, ma i pensieri che escono dal cuore. Il cuore è la sede dei pensieri e degli affetti. Nel cuore nascono i sentimenti, le idee, le aspirazioni, i sogni e le intenzioni. In pratica: se il cuore è buono, l’uomo è buono; se il cuore è cattivo, l’uomo è cattivo. Alla religione delle tradizioni e della divisione tra puri (farisei) e impuri (peccatori), Gesù sostituisce quella del cuore.
Si può dire che l’uomo vale quanto il suo cuore.
Teofilatto scrive: «I discepoli del Signore, istruiti ad abbracciare la sola virtù e a non essere superstiziosi nelle altre pratiche, mangiavano con mani non lavate, con semplicità e non con cura eccessiva. Ma i farisei, cercando una occasiona di accusa, li rimproveravano di questo, e non in quanto trasgressori della Legge, ma delle tradizioni degli anziani. Non stava scritto infatti nella Legge: “Bisogna lavarsi per un cubito” cioè fino al gomito, ma questa norma era stata trasmessa dagli anziani.
«Per rimproverare più gravemente i giudei, Gesù aggiunge anche le parole del profeta da cui sono contestati.
Infatti essi rimproverano i discepoli di avere trasgredito le disposizioni degli anziani, ma il Signore pronuncia su di loro un giudizio ancora più grave, cioè di aver prevaricato la Legge di Mosè ...
«Il Signore, insegnando agli uomini che non dobbiamo intendere in senso corporale le osservanze che la Legge prescrive, comincia a questo punto ad aprire la comprensione della Legge dicendo che niente di ciò che entra può rendere profano, cioè può inquinare qualcuno, ma ciò che esce dal cuore. Quelle, sono le cose che lo inquinano e le enumera tutte.
«L’occhio cattivo - dice - ovvero l’invidia o l’intemperanza. Infatti l’invidioso rivolge un occhio cattivo e maligno all’oggetto dell’invidia e l’intemperante che guarda attraverso il suo occhio attira il male. Intende poi come bestemmia l’accusa contro Dio, come se uno dicesse: Non c’ è provvidenza! Questa è bestemmia. Quindi aggiunge la superbia; la superbia infatti è come dire disprezzo di Dio, quando uno opera il bene e non lo attribuisce a Dio, ma alla propria virtù.
È stoltezza poi la contesa verso gli uomini. Tutte quelle affezioni contaminano l’anima, scaturiscono ed escono da essa» (Esposizione sul Vangelo di Marco 7).
Sul piano pastorale e spirituale bisogna puntare sulla formazione all’interiorità. Il cuore, biblicamente inteso, è il criterio di discernimento della bontà o meno di pensieri, parole scelte e azioni. Da qui la preghiera incessante al Signore perché crei in noi «un cuore puro» e rinnovi «uno spirito saldo» (Sal 5 0,12). Qualcuno ha scritto che non si vede bene se non con il cuore.
La legge e i cristiani - Le polemiche asfissianti sull’osservanza della legge tra Farisei e cristiani andranno avanti ancora per molti anni. La Chiesa apostolica dovrà fare i conti sopra tutto con i credenti provenienti dal giudaismo, i quali, fanatici e per nulla rinnovati nel cuore, cercheranno di imporre il giogo della legge mosaica ai cristiani in modo particolare a quelli che provenivano dal paganesimo. Una lotta estenuante che imporrà all’apostolo Paolo di prendere spesso carta e penna per difendere con forza l’affrancamento dalla legge mosaica: «Se siete morti con Cristo agli elementi del mondo, perché lasciarvi imporre, come se viveste ancora nel mondo, dei precetti quali «Non prendere, non gustare, non toccare»? Tutte cose destinate a scomparire con l’uso: sono infatti prescrizioni e insegnamenti di uomini! Queste cose hanno una parvenza di sapienza, con la loro affettata religiosità e umiltà e austerità riguardo al corpo, ma in realtà non servono che per soddisfare la carne» (Col 2,20-23). E non pago scriverà agli stolti Galati: «Cristo ci ha liberati perché restassimo liberi; state dunque saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù. Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla» (Gal 5,1-2).
La libertà è un anelito che trova radici profonde nel cuore dell’uomo. È il frutto di lotte, di conquiste pagate a caro prezzo ... ma cosa significa libertà per l’uomo di oggi? Che valore ha? Cosa significa vivere da uomini liberi? Il Magistero della Chiesa risponde a queste domande e lo fa dicendo innanzi tutto che la libertà dell’uomo è «finita e fallibile».
«Di fatto, l’uomo ha sbagliato. Liberamente ha peccato. Rifiutando il disegno d’amore di Dio, si è ingannato da sé; è divenuto schiavo del peccato. Questa prima alienazione ne ha generate molte altre. La storia dell’umanità, a partire dalle origini, sta a testimoniare le sventure e le oppressioni nate dal cuore dell’uomo, in conseguenza di un cattivo uso della libertà» (Catechismo della Chiesa Cattolica 1739). Quindi, l’uomo, nel gustare il dono della libertà, deve partire dalla sincera consapevolezza che nel cuore porta una profonda ferita inferta dal peccato dei Progenitori e dal suo peccato attuale: un vulnus che lo spinge al male (Rom 7,14-25). Per cui se la libertà non è incanalata nell’alveo di veri valori può diventare libertinaggio e paradossalmente mera schiavitù. Per cui, l’esercizio della libertà «non può implicare il diritto di dire e di fare qualsiasi cosa».
«È falso pretendere che l’uomo, soggetto della libertà, sia un “individuo sufficiente a se stesso ed avente come fine il soddisfacimento del proprio interesse nel godimento dei beni terrestri”. Peraltro, le condizioni d’ordine economico e sociale, politico e culturale richieste per un retto esercizio della libertà troppo spesso sono misconosciute e violate. Queste situazioni di accecamento e di ingiustizia gravano sulla vita morale ed inducono tanto i forti quanto i deboli nella tentazione di peccare contro la carità. Allontanandosi dalla legge morale, l’uomo attenta alla propria libertà, si fa schiavo di se stesso, spezza la fraternità coi suoi simili e si ribella contro la volontà divina» (ibidem 1740).
Solo Cristo ha veramente reso liberi gli uomini perché con la sua croce gloriosa li ha «riscattati dal peccato che li teneva in schiavitù». Noi siamo liberi perché Cristo ci ha liberato dal peccato. La vera libertà consiste nel non essere più schiavi del peccato: in Cristo «abbiamo comunione con “la verità” che ci fa liberi [Gv 8,32]. Ci è stato donato lo Spirito e, come insegna l’Apostolo , “dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” [2Cor 3,17]» (ibidem 1741). E non è vero che la «grazia di Cristo si pone in concorrenza con la nostra libertà», soprattutto «quando questa è in sintonia con il senso della verità del bene che Dio ha messo nel cuore dell’uomo» (ibidem 1742).
Celiando, George Orwell diceva ai suoi amici: «La libertà è poter affermare che due più due fa quattro. Se ciò è garantito, tutto il resto segue». Sarà vero, ma la libertà inizia ad essere realtà solo quando l’uomo accoglie con amore il «Dono-Gesù che viene dall’alto e discende dal Padre della luce».
La Parola di Dio commentata dai Padri della Chiesa: Sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo ...: L’amarezza è vinta dalla tolleranza: «Dunque seguiamo il Signore come servi e sopportiamo le maledizioni per poter essere benedetti! Quando ascolterò parole insolenti a malvagie rivolte contro di me con poca moderazione, risponderò io stesso con eguale amarezza oppure sarò tormentato da una muta impazienza. Però se dopo aver ricevuto qualche maledizione io colpirò, come potrò seguire l’insegnamento del Signore dove è stato insegnato che l’uomo è inquinato non dai vasi ma dalle cose che escono dalla sua bocca [cfr. Mc 7, 15]?» (Tertulliano, La pazienza 8,3-5).
Il Santo del Giorno - 12 febbraio 2025: Martiri di Abitina. È l’Eucaristia la fonte che trasforma ogni gesto in testimonianza d’Infinito - La comunità cristiana non è una semplice associazione di persone che condividono un ideale di vita, valori buoni per l’esistenza o l’impegno verso i meno fortunati. Essere cristiani significa testimoniare in ogni momento la vita di Dio, e questa testimonianza ha la propria radice nell’Eucaristia. I santi Martiri di Abitina, ricordati oggi dal Martirologio Romano, rappresentano un profetico richiamo all’irrinunciabile legame tra la vita della comunità cristiana e il sacramento del Sangue e del Corpo di Cristo.
Non si tratta di vivere rifugiati in una dimensione spirituale ma di alimentare i gesti della quotidianità con la forza dell’Infinito, del Totalmente Altro, dell’amore di Dio. Di questo ci parlano i 49 martiri ricordati oggi, uomini e donne di Abitina (o Abitene), città dell’Africa Proconsolare, vissuti tra la fine del III secolo e l’inizio del IV. In quegli anni l’imperatore Diocleziano aveva scatenato una dura repressione contro i cristiani obbligando il clero a consegnare i libri sacri e vietando le riunioni. Ma il gruppo di Abitina, guidato dal sacerdote Saturnino, aveva sfidato il divieto, riunendosi di nascosto per l’Eucaristia. Scoperti, furono arrestati e poi inviati a Cartagine dal proconsole Anulino, davanti al quale tutti dichiararono di non poter rinunciare alla celebrazione domenicale. Per questo vennero incarcerati e poi martirizzati. (Matteo Liut)
O Dio, che ci hai resi partecipi
di un solo pane e di un solo calice,
fa’ che uniti a Cristo in un solo corpo
portiamo con gioia frutti di vita eterna per la salvezza del mondo.
Per Cristo nostro Signore.