30 Gennaio 2025
 
Giovedì III Settimana T. O.
 
Eb 10,19-25; Salmo Responsoriale Dal Salmo 23 (245); Mc 4,21-25
 
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guida le nostre azioni secondo la tua volontà,
perché nel nome del tuo diletto Figlio
portiamo frutti generosi di opere buone.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Voi siete la luce del mondo: Benedetto XVI (Omelia, 13 Settembre 2008): “Conservate le vostre lampade accese” (cfr. Lc 12,35): la lampada della fede, la lampada della preghiera, la lampada della speranza e dell’amore! Questo camminare nella notte, portando la luce, parla con forza al nostro intimo, tocca il nostro cuore e dice molto di più che ogni altra parola pronunciata o intesa. Questo gesto riassume da solo la nostra condizione di cristiani in cammino: abbiamo bisogno di luce e, allo stesso tempo, siamo chiamati a divenire luce. Il peccato ci rende ciechi, ci impedisce di proporci come guide per i nostri fratelli, e ci spinge a diffidare di loro e a non lasciarci guidare. Abbiamo bisogno di essere illuminati e ripetiamo la supplica del cieco Bartimeo: “Maestro, fa’ che io veda!” (Mc 10,51). Fa’ che io veda il mio peccato che mi intralcia, ma soprattutto: Signore, fa’ che io veda la tua gloria! Lo sappiamo: la nostra preghiera è già stata esaudita e noi rendiamo grazie perché, come dice san Paolo nella Lettera agli Efesini: “Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14), e san Pietro aggiunge: “Egli vi ha chiamati dalle tenebre alla sua ammirabile luce” (1Pt 2,9). A noi che non siamo la luce, Cristo può ormai dire: “Voi siete la luce del mondo” (Mt 5,14), affidandoci la cura di fare risplendere la luce della carità. Come scrive l’apostolo san Giovanni: “Chi ama suo fratello, dimora nella luce e non v’è in lui occasione di inciampo” (1Gv 2,10).Vivere l’amore cristiano è fare entrare la luce di Dio nel mondo e, insieme, indicarne la vera sorgente. San Leone Magno scrive: “Chiunque, in effetti, vive piamente e castamente nella Chiesa, chi pensa alle cose di lassù, non a quelle della terra (cfr. Col 3,2), è in certo modo simile alla luce celeste; mentre realizza egli stesso lo splendore di una vita santa, indica a molti, come una stella, la via che conduce a Dio” (Serm. III, 5).
 
Prima Lettura: Bibbia di Gerusalemme: v. 19: Soltanto il sommo sacerdote, una volta all’anno, aveva accesso al Santo dei santi. Ormai tutti i credenti hanno accesso presso Dio attraverso il Cristo (cf. Eb 4,14-16; 7,19.25; 9,11; 10,9, Rm 5,2, Ef 1,4; 2,18; 3,12, Col 1,22).
v. 25: il giorno: il giorno del Signore (1Ts 5,2, 1Cor 1,8+). Questo versetto (cf. 32-36) sembra supporre lotte e calamità che venivano interpretate come preludi della venuta del Signore (cf. 2Ts 2,1+).
 
Vangelo
La lampada viene per essere messa sul candelabro. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi.
 
Se è lapalissiano che Dio e il mondo sono due realtà che si escludono a vicenda, è pur vero che dobbiamo incarnarci in questo mondo: a questo mondo dobbiamo dare sapore; a questo mondo che si avvoltola nel suo peccato dobbiamo portare la luce di Cristo. Se è vero che “una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è [...] conservarsi puri da questo mondo” (Gc 1,27), è anche vero che siamo mandati a questo mondo (Mt 16,15), perché “desista dalla sua condotta perversa e viva” (Ez 3,18) della vita di Dio. Questo mondo ha un disperato bisogno della luce di Dio, della nostra testimonianza, della nostra vita, delle nostre opere buone, per conoscere e benedire Dio, il Padre di tutti che sta nei cieli. I cristiani hanno nei confronti del mondo una missione: riconciliarlo con Dio. Per portare a termine questa opera, non “possiamo perdere il sapore e la luminosità del cristianesimo diluendoli in chiacchiere, e neanche in semplici pratiche pie. Vedendo la nostra fede religiosa e la nostra condotta orientate alla fratellanza e all’amore, la gente ci riconoscerà come portatori della luce di Cristo e darà gloria al Padre. Come il sale e la luce, la nostra fede e la nostra condizione cristiana non ammettono mezzi termini: o trasformano e illuminano la vita, o non servono a niente” (Basilio Caballero).
 
Dal Vangelo secondo Marco
Mc 4,21-25
 
In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: «Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? O non invece per essere messa sul candelabro? Non vi è infatti nulla di segreto che non debba essere manifestato e nulla di nascosto che non debba essere messo in luce. Se uno ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Diceva loro: «Fate attenzione a quello che ascoltate. Con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi; anzi, vi sarà dato di più. Perché a chi ha, sarà dato; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Parola del Signore.
 
Evangelizzare senza trionfalismi - José Maria González-Ruiz: Il regno di Dio è proclamato, in primo luogo, con la parola; e Marco ci presenta qui tutta una teologia della parola. Gesù comincia a proclamarlo con una formula apparentemente misteriosa: la «parabola».
Occorre assolutamente saper distinguere la parabola dall’allegoria. Una parabola si serve d’un avvenimento di ogni giorno, conosciuto da tutti, per mettere in evidenza la relazione che lo unisce con una cosa che non è conosciuta da tutti e che, in qualche modo, gli può essere paragonata. Al contrario, l’allegoria è un racconto che contiene particolari abbastanza singolari e nel quale ogni elemento richiede una propria interpretazione. L’allegoria cerca ex professo di travestire e nascondere in qualche modo il senso, così che solo gl’iniziati possano riconoscere in essa quello che si vuole dire. È molto simile a quel linguaggio simbolico che si usa in certi movimenti clandestini.
Ora le parabole di Gesù recano quasi sempre qualche mescolanza di elementi allegorici. Questo stile allegorico che, intenzionalmente, illumina e nasconde allo stesso tempo, è inerente alla stessa natura «misteriosa» del messaggio. Non si tratta d’una forma di occultismo, come nel caso della cabala, ma dell’enorme rispetto che Dio dimostra per la libertà umana.
Marco fa molto bene a mettere al primo posto la parabola del buon seme, che è la chiave di tutte le altre, perché illustra il mistero delle scelte di Dio.
L’immagine della semina non è originale: era usata universalmente a cominciare dai tempi di Platone. L’elemento originale è l’ampia descrizione che si fa dell’insuccesso della semina. In Palestina, si arava dopo la semina; quindi si seminava anche sul sentiero o in mezzo alle spine.
Nella spiegazione della parabola che Gesù dà ai suoi discepoli, si insiste assai su quello che potremmo chiamare la «quotidianità» della proclamazione del regno di Dio. Marco, come sempre, intende evitare ogni interpretazione trionfalistica del vangelo. La proclamazione della grande notizia avviene come una semina, a misura che si va sviluppando la storia umana; anzi, sebbene sia destinato a tutti, il vangelo è accettato nelle forme più diverse: senza impegno, con superficialità, con attenzione, con piena dedizione. Per questo, il regno di Dio è considerato come un «mistero». Nel Nuovo Testamento, il termine «mistero» è usato principalmente da san Paolo, che ne definisce chiaramente i contorni. Il mistero designa, in generale, l’adempimento del grande progetto salvifico di Dio, che si realizza in Cristo.
Ci, troviamo dunque, ancora una volta, di fronte al motivo centrale del secondo vangelo: la riservatezza messianica. La proclamazione del regno non avviene in una forma trionfalistica, ma nel pieno rispetto della libertà umana e senza tutta quella battaglia propagandistica che sognavano molti contemporanei di Gesù. Per questo l’evangelizzazione dovrebbe sempre avvenire in punta di piedi, senza ricorrere all’ortopedia delle grandi organizzazioni culturali che soffocano la libertà di opinione del credente e che, per conseguenza, distruggono il «mistero» del regno di Dio.
 
Viene forse la lampada per essere messa sotto il moggio o sotto il letto? - Jean-Baptiste Brunon: Con la sua luce, la lampada significa una presenza viva, quella di Dio, quella dell’uomo.
1. La lampada, simbolo della presenza divina. - «La mia lampada sei tu, a Jahve» (2Sam 2,29). Con questo grido il salmista proclama che Dio solo può dare luce e vita. Non è egli forse il creatore dello spirito che è nel­
l’uomo come «una lampada di Jahve» (Prov 20,27)? Non rischiara forse egli come una lampada la via del fedele con la sua parola (Sal 119,105), con i suoi comandamenti (Prov 6,23)?
Le Scritture profetiche non sono forse «una lampada che brilla in luogo oscuro, sino a che il giorno incominci a spuntare e l’astro del mattino si levi nei nostri cuori » (2Piet 1,19)? Quando verrà questo giorno supremo non ci sarà più «notte; gli eletti faranno a meno di lampada a di sole per farsi luce», perché «l’agnello sarà la loro lucerna» (Apoc 22,5; 21,23).
2. La lampada, simbolo della presenza umana. - Il simbolismo della lampada si ritrova nel piano più umile della presenza umana. A David, Jahve promette una lampada, cioè una discendenza perpetua (2Re 8,19; 1Re 11,36; 15,4). Per contro, se il paese è infedele, Dio minaccia di fare sparire da esso «la luce della lampada» (Ger 25,10): allora non ci sarà più felicità duratura per il malvagio la cui lampada presto si spegne (Prov 13,9; Giob 18,5s).
Per esprimere la sua fedeltà a Dio e la continuità della sua preghiera, Israele fa ardere in perpetuo una lampada nel santuario (Es 27,20ss; 1 Sam 3,3); lasciarla spegnere, significherebbe far intendere a Dio che lo si abbandona (2Cron 29,7). Per contro, beati coloro che vegliano nell’attesa del Signore, come le giovani donne prudenti (Mt 25, 1-8) od il servo fedele (Lc 12,35), le cui lampade restano accese.
Dio attende ancora di più dal suo fedele: invece di lasciare la sua lampada sotto il moggio (Mt 5,15s par.), egli deve brillare come un luminare in mezzo ad un mondo perverso (Fil 2,15), come già il profeta Elia, la cui «parola bruciava come una fiaccola» (Eccli 48,1), come ancora Giovanni Battista, questa «lucerna che arde e risplende» (Gv 5,35) per rendere testimonianza alla vera luce (1,7s). Così anche la Chiesa, fondata su Pietro e Paolo, « i due olivi e le due lucerne che stanno dinanzi al Signore della terra» (Apoc 11, 4), deve far risplendere fino alla fine dei tempi la gloria del figlio dell’uomo (1,12 s).
 
Un cristiano deve necessariamente diffondere la luce - Crisostomo Giovanni, Omelia 20 (sugli Atti degli apostoli): Niente è più freddo di un cristiano, che non si interessa della salvezza degli altri. Non puoi, a questo proposito, prendere come scusa la tua povertà: la vedova che offrì le due monetine si leverebbe ad accusarti. Anche Pietro disse: Non ho né oro né argento (At 3,6) e Paolo era talmente povero, che spesso soffriva la fame e mancava del cibo necessario. Non puoi appellarti all’umiltà della tua nascita: anch’essi erano gente oscura, nati da umile condizione. Non puoi mettere avanti come pretesto la tua ignoranza: anch’essi erano gente incolta. Anche se tu fossi uno schiavo, un fuggiasco perfino, potresti ugualmente compiere tutto quello che dipende da te, perché anche Onesimo era uno schiavo: eppure guarda a che dignità fu chiamato!... Non puoi prendere come scusa la tua debolezza fisica: anche Timoteo era debole di salute e aveva molti mali. Come testimonianza delle sue infermità senti cosa gli dice san Paolo: Fa’ uso anche di un po’ di vino, a motivo del tuo stomaco e delle tue frequenti indisposizioni (1Tm 5,23). Qualsiasi persona può portare aiuto al suo prossimo, se desidera fare tutto quello che può. [...].
Non dire: mi è impossibile trascinare gli altri; se tu sei cristiano, è impossibile che questo non avvenga. Come è vero che le realtà naturali non possono essere in contraddizione fra di loro, così anche per quello che abbiamo detto: operare il bene è insito nella natura stessa del cristiano. Se tu affermi che un cristiano è nell’impossibilità di portare aiuto agli altri, offendi Dio e gli dai del bugiardo. Sarebbe più facile per la luce essere tenebra, che per un cristiano non diffondere luce attorno a sé. Non dire: è impossibile. È il contrario che è impossibile. Non fare violenza a Dio.
 
Il Santo del Giorno - 30 Gennaio 2025 - Santa Batilde, regina: Di origine anglosassone, Batilde durante un viaggio fu catturata da alcuni pirati e venduta in Francia, nel 641, ad Erchinoaldo, dignitario di corte di Neustria, che, dopo essere rimasta vedovo, voleva sposarla. L’ex schiava si rifiutò, accettando poi di sposare Clodoveo II re di Neustria e di Borgogna. Ebbe tre figli, Clotario III, Tierrico III e Childerico II. Nel 657 Batilde divenne vedova e quindi reggente del regno in nome del figlio Clotario; con la guida dell’abate Genesio, si diede alle opere di carità, aiutando i poveri e i monasteri. Lottò strenuamente contro la simonia e contro la schiavitù, che fu interdetta per i cristiani, mentre con proprio denaro restituì la libertà a moltissimi schiavi. Quando il figlio Clotario III raggiunse la maggiore età, Batilde si ritirò nel monastero di Chelles, nella diocesi di Parigi, che lei stessa nel 662, aveva fatto restaurare. Vi morì nel 680. Fu sepolta a Chelles, accanto al figlio Clotario III, morto nel 670. (Avvenire)
 
O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.