29 Gennaio 2025
Mercoledì III Settimana T. O.
Eb 10,11-18; Salmo Responsoriale Dal Salmo 109 (110); Mc 4,1-20
Colletta
Dio onnipotente ed eterno,
guida le nostre azioni secondo la tua volontà,
perché nel nome del tuo diletto Figlio
portiamo frutti generosi di opere buone.
Per il nostro Signore Gesù Cristo.
Quale terra sono? - Giovanni Paolo II (Omelia, 4 giugno 1991) - «La parabola del seminatore, come ogni altra parabola nel Vangelo di Cristo, ha tuttavia il suo senso metaforico, analogico: parla del regno di Dio. Come la storia di questa terra viene attraversata dal lavoro di uomini-seminatori e aratori, così attraverso la storia dell’uomo - degli uomini che abitano la terra - procede il lavoro della parola di Dio e del suo Seminatore. Il Seminatore è Cristo. Già prima di lui vi erano molti seminatori della verità divina: “Dio che aveva già parlato molte volte e in diversi modi... per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni ha parlato... per mezzo del Figlio” [Eb 1,1], Egli stesso - il Figlio eterno - è il Verbo consostanziale al Padre. Il Vangelo della nuova ed eterna Alleanza è la parola di questo Verbo. La terra nel corso di duemila anni è stata già abbondantemente seminata con questa parola. È soprattutto Cristo stesso come Verbo ha reso fertile questa terra della storia umana per mezzo della redenzione mediante il sangue della sua croce. È nella parola della croce continua la sua semina, dando inizio a “un nuovo cielo e una nuova terra” [cf. Ap 21,1]. Tutti i seminatori della parola di Cristo attingono la forza del loro servizio da quell’indicibile mistero, quale è diventata - una volta per sempre - l’unione del Dio Verbo con la natura umana, e in un certo senso con ogni uomo (come insegna l’ultimo Concilio, cfr. Gaudium et spes, 22). Cadono le parole del Vangelo sulla terra delle anime degli uomini, ma soprattutto il Verbo Eterno stesso, generato per opera dello Spirito Santo da una Vergine-Madre, è diventato fonte di vita per le anime umane. Nella parabola evangelica Cristo rivolge l’attenzione soprattutto sulla terra delle anime degli uomini e delle umane coscienze - e mostra che cosa avviene alla parola di Dio in dipendenza dalla specie di questa particolare terra. Udiamo dunque parlare di un seme che è stato portato via e non ha attecchito nel cuore dell’uomo, perché questi ha ceduto al Maligno e non ha capito la Parola. Sentiamo parlare del seme caduto sulla terra rocciosa, sulla terra dura - e che non era in grado di mettere le radici, dunque non ha resistito alla prima prova. Udiamo parlare del seme caduto tra i cardi e le spine - che è stato da essi soffocato [questi cardi e spine sono un’illusione della temporaneità e del benessere che passano]. Solamente il seme caduto sulla terra buona, fertile, produce frutto. Chi è questa terra fertile? Colui che ascolta la parola e la comprende. Ascolta e comprende. Non è sufficiente ascoltare, bisogna accoglierla con la mente e con il cuore. “Chi ha orecchi [per udire], intenda” [Mt 13, 9] - dice il Seminatore divino. Tutti abbiamo udito. Ognuno di noi domandi a se stesso: quale terra sono? Che cosa avviene del seme della verità divina nella mia vita?».
I Lettura: Felipe F. Ramos: I sacerdoti dell’antica legge non hanno riposo nel loro ufficio sacerdotale. Devono celebrare ogni anno il grande giorno dell’espiazione. In più, devono osservare le prescrizioni della legge che ordina loro di offrire sacrifici tutti i giorni. Questo sta a indicare chiaramente che la loro opera non è mai finita. Cristo, invece, una volta offerto il suo sacrificio, « si è assiso alla destra di Dio ». Questo « essere assiso» vuol dire, fra le altre cose, che ha terminato la sua opera, l’ha portata a compimento e non ha bisogno di ripeterla; vuol dire che il suo sacrificio è stato perfetto … L’intronizzazione di Cristo alla destra di Dio dice eloquentemente che la sua opera è perfetta e Don ha bisogno d’essere completata con ripetizioni (come accadeva al sacerdozio di Aronne). La sua autodedizione avvenne una volta per per sempre e ottenne tutto il fine a cui è destinato il sacerdozio.
Vangelo
Il seminatore uscì a seminare.
La parabola del seminatore può essere divisa in due parti: nella prima parte vi è il racconto della semina del seme che cade ora lungo la strada, oppure sul terreno sassoso, o tra i rovi, e infine, altre parti cadono sul terreno buono; nella seconda parte v’è la spiegazione della parabola. Il seme è la Parola che ha una forza intrinseca (Is 55,10-11), ma la sua maturazione è determinata anche dal terreno e dalla azione degli eterni nemici della Parola. I diversi terreni sono gli uditori, la loro capacità e disponibilità nell’accogliere la Parola, mentre gli operatori che tendono a neutralizzare la Parola sono Satana, la tribolazione o la persecuzione a causa della Parola, le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, che soffocano la Parola. L’insegnamento della Parabola sta nell’invito a farsi terreno buono per portare frutto: ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre (Gc,1,17), ma “Dio, che ti ha creato senza di te, non può salvarti senza di te” (Sant’Agostino, Sermo CLXIX,13).
Dal vangelo secondo Marco
Mc 4,1-20
In quel tempo, Gesù cominciò di nuovo a insegnare lungo il mare. Si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli, salito su una barca, si mise a sedere stando in mare, mentre tutta la folla era a terra lungo la riva.
Insegnava loro molte cose con parabole e diceva loro nel suo insegnamento: «Ascoltate. Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; e subito germogliò perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde tra i rovi, e i rovi crebbero, la soffocarono e non diede frutto. Altre parti caddero sul terreno buono e diedero frutto: spuntarono, crebbero e resero il trenta, il sessanta, il cento per uno». E diceva: «Chi ha orecchi per ascoltare, ascolti!».
Quando poi furono da soli, quelli che erano intorno a lui insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, affinché guardino, sì, ma non vedano, ascoltino, sì, ma non comprendano, perché non si convertano e venga loro perdonato».
E disse loro: «Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? Il seminatore semina la Parola. Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la Parola, ma, quando l’ascoltano, subito viene Satana e porta via la Parola seminata in loro. Quelli seminati sul terreno sassoso sono coloro che, quando ascoltano la Parola, subito l’accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della Parola, subito vengono meno. Altri sono quelli seminati tra i rovi: questi sono coloro che hanno ascoltato la Parola, ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e la seduzione della ricchezza e tutte le altre passioni, soffocano la Parola e questa rimane senza frutto. Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto: il trenta, il sessanta, il cento per uno».
Parola del Signore.
Evangelizzare senza trionfalismi - José María González-Ruiz: Il regno di Dio è proclamato, in primo luogo, con la parola; e Marco ci presenta qui tutta una teologia della parola. Gesù comincia a proclamarlo con una formula apparentemente misteriosa: la «parabola».
Occorre assolutamente saper distinguere la parabola dall’allegoria. Una parabola si serve d’un avvenimento di ogni giorno, conosciuto da tutti, per mettere in evidenza la relazione che lo unisce con una cosa che non è conosciuta da tutti e che, in qualche modo, gli può essere paragonata. Al contrario, l’allegoria è un racconto che contiene particolari abbastanza singolari e nel quale ogni elemento richiede una propria interpretazione. L’allegoria cerca ex professo di travestire e nascondere in qualche modo il senso, così che solo gl’iniziati possano riconoscere in essa quello che si vuole dire. È molto simile a quel linguaggio simbolico che si usa in certi movimenti clandestini.
Ora le parabole di Gesù recano quasi sempre qualche mescolanza di elementi allegorici. Questo stile allegorico che, intenzionalmente, illumina e nasconde allo stesso tempo, è inerente alla stessa natura «misteriosa» del messaggio. Non si tratta d’una forma di occultismo, come nel caso della cabala, ma dell’enorme rispetto che Dio dimostra per la libertà umana.
Marco fa molto bene a mettere al primo posto la parabola del buon seme, che è la chiave di tutte le altre, perché illustra il mistero delle scelte di Dio.
L’immagine della semina non è originale: era usata universalmente a cominciare dai tempi di Platone. L’elemento originale è l’ampia descrizione che si fa dell’insuccesso della semina. In Palestina, si arava dopo la semina; quindi si seminava anche sul sentiero o in mezzo alle spine.
Nella spiegazione della parabola che Gesù dà ai suoi discepoli, si insiste assai su quello che potremmo chiamare la «quotidianità» della proclamazione del regno di Dio. Marco, come sempre, intende evitare ogni interpretazione trionfalistica del vangelo. La proclamazione della grande notizia avviene come una semina, a misura che si va sviluppando la storia umana; anzi, sebbene sia destinato a tutti, il vangelo è accettato nelle forme più diverse: senza impegno, con superficialità, con attenzione, con piena dedizione. Per questo, il regno di Dio è considerato come un «mistero». Nel Nuovo Testamento, il termine «mistero» è usato principalmente da san Paolo, che ne definisce chiaramente i contorni. Il mistero designa, in generale, l’adempimento del grande progetto salvifico di Dio, che si realizza in Cristo.
Ci, troviamo dunque, ancora una volta, di fronte al motivo centrale del secondo vangelo: la riservatezza messianica. La proclamazione del regno non avviene in una forma trionfalistica, ma nel pieno rispetto della libertà umana e senza tutta quella battaglia propagandistica che sognavano molti contemporanei di Gesù. Per questo l’evangelizzazione dovrebbe sempre avvenire in punta di piedi, senza ricorrere all’ortopedia delle grandi organizzazioni culturali che soffocano la libertà di opinione del credente e che, per conseguenza, distruggono il «mistero» del regno di Dio.
Non capite questa parabola, e come potrete comprendere tutte le parabole? - D. Sesbüé: Nel vangelo. - Il mistero del regno e della persona di Gesù è talmente nuovo che anch’esso non può manifestarsi se non gradualmente, e secondo la ricettività diversa degli uditori. Perciò Gesù, nella prima parte della sua vita pubblica, raccomanda a suo riguardo il «segreto messianico», posto in così forte rilievo da Marco (1, 34. 44; 3, 12; 5, 43 ...). Perciò pure egli ama parlare in parabole che, pur dando una prima idea della sua dottrina, obbligano a riflettere ed hanno bisogno di una spiegazione per essere perfettamente comprese. Si perviene così a un insegnamento a due livelli, ben sottolineato da Mc 4, 33-34: il ricorso a temi classici (il re, il banchetto, la vite, il pastore, le semine...) mette sulla buona strada l’insieme degli ascoltatori; ma i discepoli hanno diritto a un approfondimento della dottrina, impartito da Gesù stesso. I loro quesiti ricordano allora gli interventi dei veggenti nelle apocalissi (Mt 13, 10-13. 34 s 36. 51; 15, 15; cfr. Dan 2, 18 ss; 7, 16). Le parabole appaiono così una specie di mediazione necessaria affinché la ragione si apra alla fede: più il credente penetra nel *mistero rivelato, più approfondisce la comprensione delle parabole; viceversa, più l’uomo rifiuta il messaggio di Gesù, più gli resta interdetto l’accesso alle parabole del regno. Gli evangelisti sottolineano appunto questo fatto quando, colpiti dalla ostinazione (*indurimento) di molti Giudei di fronte al vangelo, rappresentano Gesù che risponde ai discepoli con una citazione di Isaia: le parabole mettono in evidenza l’accecamento di coloro che rifiutano deliberatamente di aprirsi al messaggio di Cristo (Mt 13, 10-15 par.). Tuttavia, accanto a queste parabole affini alle apocalissi, ce ne sono di più chiare che hanno di mira insegnamenti morali accessibili a tutti (così Lc 8, 16 ss; 10, 30-37; 11, 5-8).
L’INTERPRETAZIONE DELLE PARABOLE - Se ci si pone in questo contesto biblico ed orientale in cui Gesù parlava, e si tiene conto della sua volontà di insegnamento progressivo, diventa più facile interpretare le parabole. La loro materia sono i fatti umili della vita quotidiana, ma anche, e forse soprattutto, i grandi avvenimenti della storia sacra. I loro temi classici, facilmente reperibili, sono già pregni di significato per il loro sfondo di VT, al momento in cui Gesù se ne serve. Nessuna inverosimiglianza deve stupire nei racconti composti con libertà ed interamente ordinati all’insegnamento; il lettore non dev’essere urtato dall’atteggiamento di taluni personaggi presentati per evocare un ragionamento a fortiori od a contrario (ad es. Lc 6, 1-8; 18, 1-5). Ad ogni modo bisogna anzitutto mettere in luce l’aspetto teocentrico, e più precisamente cristocentrico, della maggior parte delle parabole. Qualunque sia la misura esatta dell’allegoria, in definitiva il personaggio centrale deve per lo più evocare il Padre celeste (Mt 21, 28; Lc 15, 11), o Cristo stesso - sia nella sua missione storica (il «seminatore» di Mt 13, 3. 24. 31 par.), sia nella sua gloria futura (il «ladro» di Mt 24, 43; il «padrone» di Mt 25, 14; lo «sposo» di Mt 25, 1); e quando ve ne sono due, sono il Padre ed il Figlio (Mt 20, 1-16; 21, 33. 37; 22, 2). Infatti l’amore del Padre testimoniato agli uomini con l’invio del suo Figlio è la grande rivelazione portata da Gesù. A questo servono le parabole che mostrano il compimento perfetto che il nuovo *regno dà al disegno di Dio sul mondo.
Nerses Snorhali, Jesus, 468-469
La parabola del seminatore (Mt 13,3-9)
Io mi sono indurito come roccia;
Son divenuto simile al sentiero;
Le spine del mondo m’hanno soffocato,
Hanno reso infeconda la mia anima.
Ma, o Signore, Seminator del bene,
La pianta del Verbo fa’ in me crescere:
Perché in uno dei tre io porti frutto:
Tra il cento (per cento), il sessanta o anche il trenta.
Il Santo del Giorno - 29 Gennaio 2025 - Sant’Afraate. Dalla spiritualità orientale una voce che c’insegna la radice della fratellanza: «All’uomo che ama Dio si addice ed è giusto amare l’umiltà e restare nella sua condizione di umiltà. Poiché se la sua radice è piantata nella terra, i suoi frutti salgono davanti al Signore di grandezza». Se sapessimo riconoscere il debito che nutriamo verso la vita, che è dono gratuito, forse sarebbe più facile riconoscerci come fratelli e costruire un mondo di pace. Un saggio insegnamento che trova forza nell’eredità spirituale di sant’Afraate, anacoreta siriano vissuto tra il III e il IV secolo, testimone di una tradizione cristiana orientale non ancora influenzata dal pensiero classico greco e libera dalle controversie cristologiche che segnavano all’epoca l’Occidente. Nato attorno al 270, la sua famiglia era originaria dell’Adiabene, regione della Mesopotamia del nord, parte dell’Impero persiano e oggi in Iraq. Conosciuto come “il sapiente persiano”, Afraate è trai più antichi autori cristiani di lingua siriaca, testimone di una Chiesa di lingua semitica molto vicina alla tradizione giudaica. Sono giunte fino a noi le sue «Demonstrationes», una raccolta di 23 opere tra discorsi e omelie, ordinati secondo il criterio alfabetico, dalla prima alla 22ª lettera dell’alfabeto siriaco. Il 23° testo, un’appendice, è una lettera indirizzata ai “Figli dell’Alleanza”, la comunità monastica alla quale apparteneva Afraate. Visse probabilmente nel monastero di Mar Mattai e secondo alcuni studiosi fu abate e poi vescovo.
O Dio, che in questi santi misteri
ci hai nutriti con il Corpo e il Sangue del tuo Figlio,
fa’ che ci rallegriamo sempre del tuo dono,
sorgente inesauribile di vita nuova.
Per Cristo nostro Signore.