23 Aprile 2024
 
MARTEDÌ DELLA IV SETTIMANA DI PASQUA
 
At 11, 19-26; Salmo Responsoriale Dal Salmo 86 (87); Gv 10, 22-30
 
Colletta
Dio onnipotente,
che ci dai la grazia di celebrare
il mistero della risurrezione del tuo Figlio,
concedi a noi di testimoniare con la vita
la gioia di essere salvati.

Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, ma non senza riserve...: Catechismo della Chiesa Cattolica 438: La consacrazione messianica di Gesù rivela la sua missione divina. «È, d’altronde, ciò che indica il suo stesso nome, perché nel nome di Cristo è sottinteso colui che ha unto, colui che è stato unto e l’unzione stessa di cui è stato unto: colui che ha unto è il Padre, colui che è stato unto è il Figlio, ed è stato unto nello Spirito che è l’unzione». La sua consacrazione messianica eterna si è rivelata nel tempo della sua vita terrena nel momento in cui fu battezzato da Giovanni, quando Dio lo «consacrò in Spirito Santo e potenza» (At 10,38) «perché egli fosse fatto conoscere a Israele» (Gv 1,31) come suo Messia. Le sue opere e le sue parole lo riveleranno come «il Santo di Dio». Numerosi ebrei ed anche alcuni pagani che condividevano la loro speranza hanno riconosciuto in Gesù i tratti fondamentali del «figlio di Davide» messianico promesso da Dio a Israele. Gesù ha accettato il titolo di Messia cui aveva diritto, ma non senza riserve, perché una parte dei suoi contemporanei lo intendevano secondo una concezione troppo umana, essenzialmente politica.
 
I Lettura: La Chiesa amplia sempre più i suoi confini, complice la persecuzione scatenata dal Sinedrio contro i discepoli di Gesù. Il brano  introduce l’episodio della fondazione della chiesa di Antiochia, come conseguenza diretta del martirio di Stefano ed è ad Antiochia che i credenti vengono chiamati cristiani: ossia adepti e seguaci di Christus. I pagani di Antiochia, coniando questo appellativo hanno preso il titolo «Cristo» (unto) per un nome proprio.
 
Vangelo
Io e il Padre siamo una cosa sola.
 
Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente: chi vola basso non vedrà mai il cielo, chi non abbandona la carne e il sangue (Mt 16,17)  non potrà entrare nel mistero del Cristo. I Giudei avevano tutto, prove inoppugnabili, morti risuscitati, paralitici risanati, lebbrosi purificati, ciechi che avevano ricuperato la vista, muti la favella, sordi l’udito..., eppure non capivano ancora. L’evangelista svela il perché: non avevano fede, e non erano pecore di Cristo. Due condizioni necessarie perché vengano nettati gli occhi dell’anima, e aprirsi alla luce folgorante della rivelazione: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente, e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio (Mt 16,16; Gv 6,69).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10, 22-30
 
Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».
Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
 
Gesù-Pastore conosce le sue pecore: una conoscenza che supera il campo dell’intelletto e sconfina nell’amore (cfr. Os 6,6; 1Gv 1,3). Nel vangelo di Giovanni «conoscenza e amore crescono insieme, per cui è difficile dire se l’amore è il frutto della conoscenza o la conoscenza è frutto di amore [...]. L’amore è unito alla conoscenza quando il rapporto tra Gesù e il Padre è descritto come una reciproca conoscenza [Gv 7,29; 8,55; 10,15). La stessa reciproca conoscenza è il vincolo tra Gesù e i suoi discepoli [Gv 10,14ss]» (John L. McKenzie). Questa profonda intimità genera nel cuore dei credenti il frutto della vita eterna: essendo stati «rigenerati non da un seme corruttibile ma incorruttibile, per mezzo della parola di Dio viva ed eterna» (1Pt 1,23), i credenti gustano la gioia della vita eterna già d’adesso, nelle pieghe di una quotidianità a volte impastata di peccato e di acute contraddizioni. Questa intensa comunione di amore con il Cristo sarà portata perfettamente a compimento nel Regno dei Cieli: solo nel Regno i credenti, strappati dalla contingenza della vita terrena, non «avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna... Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,16-17). In attesa di questi beni, la comunione amorosa con il Buon Pastore dona ai discepoli già ora pace, serenità e sicurezza. «Colui che si affida a Gesù con la fede trova in lui quella sicurezza assoluta che non trova mai in alcuna sicurezza o protezione umana. In lui infatti è presente il potere divino. Lo stesso potere viene poi attribuito al Padre e la stessa sicurezza proviene dalla certezza che “ciò che mi ha dato” [cfr. 6,36-40] nessuno lo può rapire dalla mano del Padre [cfr. Is 43,13; Sap 3,1). In questi due versetti 28-29 si riflette la serena esperienza della comunità giovannea che si sentiva il gregge protetto dal Figlio di Dio e che nessuno poteva rapire: né le persecuzioni [16,4] né le eresie [1Gv]» (Giuseppe Segalla). Questa sicurezza è significata anche dalle parole di Gesù che rivelano l’identità di sostanza tra lui e il Padre: «Io e il Padre siamo una cosa sola».
 
Il buon pastore - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Il vangelo di oggi si apre con l’invito perentorio dei giudei a Gesù durante la festa della dedicazione del tempio di Gerusalemme: «Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». La risposta di Cristo inizia con il riferimento alle sue opere, prova eloquente della sua identità. «Ma voi non credete, perché non siete mie pecore».
Così Gesù introduce di nuovo il tema della parabola di ieri, tornando su alcune idee che aveva già espresso. Ma ora mette in risalto la comunione intima che egli costituisce con i suoi fedeli. Due sono le disposizioni fondamentali per questa comunione di vita: la conoscenza del pastore e l’ascolto della sua voce, perché Gesù si identifica con Dio fino al punto di dire: «io e il Padre siamo una cosa sola ».
Nel vangelo di ieri Gesù dichiarava di essere la porta delle pecore. Ma dopo fa ancora di più: si definisce come il buon pastore, l’unico e autentico pastore per un solo gregge. E lo è per tre ragioni che lo differenziano dal pastore mercenario.
Primo: perché è disposto a dare la vita per le sue pecore nel momento del pericolo. «Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore».
Secondo: perché conosce le sue pecore ed è conosciuto da loro. «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre cono e me e io cono co il Padre». In senso biblico, il verbo «conoscere» non è ristretto al piano concettuale a puramente intellettivo, ma significa una conoscenza che crea comunione di vita, una relazione personale, attiva, amorosa, reciproca. Nel caso di Gesù con i suoi questa conoscenza è tanto profonda, che la paragona alla sua mutua conoscenza con il Padre.
Terzo: perché, di fatto, dà la vita per i suoi. «E offro la vita per le pecore. Per questo il Padre mi ama perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso».
Questa è la migliore garanzia della premura pastorale di Gesù.
 
Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente - Marida Nicolaci (Vangelo secondo Giovanni): La domanda dei Giudei (v. 24) - Il linguaggio con cui i Giudei esprimono a parole la brama che il loro «accerchiare» Gesù esprime fisicamente non potrebbe essere più chiaro. La frase che in senso figurato significa «fino a quando ci terrai col fiato sospeso?» letteralmente suona: «fino a quando ci toglierai l’anima/vita (psyché)?». Il contesto prossimo della scena spinge a valorizzare tale linguaggio: a Gesù, buon pastore, nessuno può «togliere la psyché» perché lui è già disponibile a donarla per il gregge per obbedire al comando del Padre. I Giudei, invece, più gli si avvicinano e se ne sentono attirati più lo considerano come una minaccia per la loro vita nella misura in cui egli non si concede a loro così come lo vorrebbero. Ciò che li anima nel muoversi verso Gesù è un desiderio di possesso violento che non trova, però, la soddisfazione che cerca. Essi vogliono che Gesù si riveli proprio a loro come messia, se lo è veramente («dillo a noi»)! Dal suo dichiararsi messia la loro stessa vita potrebbe dipendere e non aspettano da lui che una dichiarazione chiara, senza più enigmi, allusioni e ambiguità di linguaggio. Il loro atteggiamento possessivo appare, però, come una negazione della dedizione totale all’unico Dio richiesta dalla legge: come i martiri stessi del giudaismo avevano e avrebbero dimostrato, amare Dio con tutto il cuore, l’anima (psyché) e le forze (Dt 6,4-5) significa amarlo anche se questo dovesse «togliere l’anima/vita tpsyché)» (Mishnah Berakot 9,5; Talmud babilonese Berakot 61b).
Davanti alla prova di fede cui li mette Gesù con il suo strano messianismo e con il suo strano concetto del regno di Dio, questi Giudei mostrerebbero di non essere disposti, nonostante tutto il loro zelo per Dio, la legge, la nazione ed il tempio, a lasciarsi «togliere la vita». Gesù, ai loro occhi rischia di fare la parte che i farisei e i sommi sacerdoti attribuiranno ai romani (cf 11,47s)!
 
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di Giovanni 61,2: Le pecore difese da un’unica potenza Proprio perché tu comprenda che la frase il Padre me le ha date venne pronunciata da lui perché non lo chiamassero nuovamente “avversario di Dio” dopo aver detto nessuno le può strappare dalle mie mani, prosegue dimostrando che la mano sua e quella del Padre sono una cosa sola. Se le cose non stessero così, avrebbe detto: “Il Padre me le ha date, è più grande di tutti, e nessuno le può rapire dalle mie mani”. Non disse però così, ma: dalle mani del Padre mio. Quindi, perché tu non pensi che egli sia debole e che le pecore siano al sicuro solo grazie alla potenza del Padre, aggiunse: Io e il Padre siamo una cosa sola. È come se dicesse: “Non ho detto che nessuno rapirà le pecore grazie alla potenza del Padre, nel senso che io non sia capace di difenderle. Infatti io e il Padre siamo una cosa sola”; cioè, secondo la potenza, in quanto è di essa che qui si parla. Se poi la potenza è identica, è evidente che anche la sostanza è identica.
 
Il Santo del giorno - 23 Aprile 2023 - San Giorgio. Non siamo soli a combattere i nostri personali «draghi» - Non siamo soli a combattere i nostri personali “draghi”, con le loro minacce e le loro ombre. Ad aiutarci a vincere le nostre paure, che troppo spesso bloccano il passo e ci inceneriscono c’è la potenza del Vangelo di Cristo, l’annuncio del Risorto che ha vinto le fauci della morte. Non solo: la fede è quell’arma che non solo vince il male, ma che converte, illumina e fa crescere la speranza. Icona di questa battaglia è san Giorgio, che secondo la tradizione uccise il drago che minacciava Silene. Il racconto è leggendario ma esprime la grandezza di un santo che di fatto è venerato in tutto il mondo e ha ispirato movimenti e associazioni. La sua biografia ci è giunta confusa e arricchita da racconti senza fondamento storico. Secondo un antico racconto della passione, una «Passio», Giorgio era nato in Cappadocia e fu educato nella fede dai genitori. Divenne poi tribuno dell’armata dell’imperatore di Persia Daciano, anche se altre versioni lo indicano come membro dell’armata di Diocleziano (243-313) imperatore romano, che nel 303 diede vita a una feroce persecuzione contro i cristiani. Giorgio si ribellò: strappò l’editto dell’imperatore e si dichiarò cristiano. Per questo fu arrestato, torturato, incarcerato e poi ucciso. Aveva vinto la violenza offrendo la propria vita. (Matteo Liut)
 
Il divino sacrificio che abbiamo offerto e ricevuto,
o Signore, rinnovi la nostra vita,
perché, sempre uniti a te in comunione di amore,
serviamo degnamente la tua gloria.
Per Cristo nostro Signore.