22 Aprile 2024
 
Lunedì IV Settimana di Pasqua
 
At 11,1-18; Salmo Responsoriale dai Salmi 41 (42) e 42 (43); Gv 10,1-10
 
Colletta: O Dio, luce perfetta dei santi, che ci hai donato di celebrare sulla terra i misteri pasquali, fa’ che po siamo godere nella vita eterna la pienezza della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo.
 
Le immagini della Chiesa - Lumen gentium 6: Come già nell’Antico Testamento la rivelazione del regno viene spesso proposta in figure, così anche ora l’intima natura della Chiesa ci si fa conoscere attraverso immagini varie, desunte sia dalla vita pastorale o agricola, sia dalla costruzione di edifici o anche dalla famiglia e dagli sponsali, e che si trovano già abbozzate nei libri dei profeti.
La Chiesa infatti è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cfr. Gv 10,1-10). È pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cfr. Is 40,11; Ez 34,11 ss), e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il buon Pastore e principe dei pastori (cfr. Gv 10,11; 1 Pt 5,4), il quale ha dato la vita per le pecore (cfr. Gv 10,11-15).
 
I Lettura: Pietro con la sua condotta, era entrato in casa di uomini non circoncisi e aveva mangiato insieme con loro, aveva suscitato una ridda di considerazioni abbastanza agitate. Pietro, nel difendere il suo operato, ricorda ai giudeo-cristiani che aveva agito per volontà del Signore, il quale aveva previsto e predetto i tempi della effusione dello Spirito Santo anche sui pagani. A queste parole l’assemblea non può non accogliere con gioia la novità del Vangelo: anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita.
 
Vangelo
Io sono la porta delle pecore.
 
Gesù, con l’allegoria evangelica della «Porta delle pecore», si presenta anche come «il Pastore grande» (Eb 13,20) del popolo eletto e del mondo intero: «E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore» (Gv 10,16). Egli si rivolge alle guide spirituali del popolo eletto e contro di esse riprende le accuse che i profeti rivolgevano ai cattivi pastori i quali, pascendo se stessi, disperdevano il gregge loro affidato (Cf. Ez 34,2; Ger 23,1). Gesù è il buon pastore che le pecore seguono perché ne conoscono la voce come egli le conosce una ad una. L’immagine della porta è usata nella sacra Scrittura per designare l’accesso al mondo di Dio (Cf. Gen 28,17). Qui, affermando di essere la porta, Gesù dà all’immagine lo stesso significato positivo: passando attraverso di lui, e soltanto attraverso di lui, si accede alla salvezza, alla vita. Cristo Gesù è dunque il pastore-messia atteso dal popolo d’Israele, è «il pastore che finalmente redimerà il gregge di Iahvé e lo renderà giusto e santo agli occhi di Dio» (Giorgio Fornasari).
 
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10, 1-10
 
In quel tempo, disse Gesù: «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei». Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.
Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita a l’abbiano in abbondanza».
 
Io sono la porta delle pecore - La similitudine della Porta delle pecore (Gv 10,1-10) segue il racconto del miracolo del cieco nato (Cf. Gv 9,1-41) e quindi fa ben intendere a chi è rivolta.
... chi non entra nel recinto... L’ovile, costruito in luogo soleggiato, era una costruzione bassa, ad arcate, con un recinto costituito quasi sempre da un muro a secco. Il pastore si sdraiava attraverso l’apertura e fungeva da porta per le pecore. A custodire il gregge era posto un guardiano per impedire ai ladri di rubare le pecore.
Solo chi entrava dalla porta veniva riconosciuto dal guardiano e dalle pecore. Il vivere con le pecore «in un luogo isolato fa sì che crei un rapporto speciale tra il pastore e le pecore. I pastori conoscono talmente bene le loro pecore che queste rispondono istantaneamente alla loro voce. Il pastore chiama ogni pecora per nome, e il nome indica qualcosa del carattere e del modo di comportarsi della pecora» (Ralph Gower).
A questa intimità si riferisce Gesù quando dice di conoscere le sue pecore, per cui quando sono chiamate rispondono alla sua voce.
Il termine recinto (greco aulè) nella versione greca dei Settanta è usato per indicare il vestibolo del tempio.
Forse, idealmente, Gesù vuole trasportare i suoi ascoltatori in questo luogo santo, tanto amato dal popolo eletto ed emblema e centro spirituale del giudaismo: così facendo, Gesù dà alle sue parole una valenza altamente pregnante di significato teologico-pastorale.
Il recinto aveva una porta, o un cancello. Gesù è la porta per la quale entrano i veri pastori e dalla quale si esce per trovare il pascolo, cioè per essere salvi e per avere la vita in abbondanza. Applicando a sé l’immagine della porta, Gesù «esprime in maniera unitaria due fondamentali verità: da una parte, egli è mediatore della salvezza, via di accesso unica ai beni messianici; dall’altra, egli stesso è il nuovo Tempio, che si sostituisce definitivamente a quello vecchio materiale [Cf. Gv 2,13-22], cioè non più tramite ma luogo stesso in cui il nuovo Popolo trova la sua salvezza. Così si spiegano le promesse di una comunione piena e senza ostacoli tra Lui e i credenti [espressa mediante i termini contrari di entrare e di uscire], di pascolo e di nutrimento, anzi di vita data loro in abbondanza» (P. Adriano Schenker, o.p. - Rosario Scognamiglio, o.p.).
Gesù disse loro questa similitudine. Similitudine (paroimía) è un termine esclusivo di Giovanni, che ricorre ancora in 16,25.29, mentre i Sinottici parlano di parabola (parabolè), ma il senso è lo stesso. Gesù, palesemente, si rivolge ai farisei, guide cieche del popolo d’Israele: un duro rimprovero se la parabola è letta sopra tutto alla luce dei testi di Ez 34,1ss e di Zac 23,1-3.
In verità, in verità io vi dico... traslitterazione dell’ebraico amen e sta per certamente, veramente, sinceramente. Il suo uso dà autorevolezza al discorso. Gesù insegna con autorità (Cf. Lc 4,31) al contrario degli scribi (Cf. Mt 7,29) e dei profeti che usavano le parole “Dice il Signore”.
... io sono la porta delle pecore, questa affermazione riporta il lettore-credente a tutta una serie di analoghe affermazioni costruite con il verbo «Io sono», uniche nel discorrere giovanneo: il pane della vita (Gv 6,35.48.51), la luce del mondo (Gv 8,12), la risurrezione e la vita (Gv 11,25), la via, la verità e la vita (Gv 14,6), la vera vite (Gv 15,15). Queste affermazioni nelle menti occluse dei farisei avevano un effetto devastante.
Gesù nei suoi insegnamenti si appropriava di questo attributo tipico di IAHWH (Cf. Es 3,14; Is 43,25) per manifestare la sua natura divina. Per le guide cieche d’Israele non poteva non essere che intollerabile e inaccettabile: «Non ti lapidiamo per un’opera buona, ma per una bestemmia: perché tu, che sei uomo, ti fai Dio» (Gv 10,33). Scandalizzandosi e non accettando la rivelazione del Cristo, i farisei si pongono tra le fila di tutti coloro che sono venuti prima di lui, autodichiarandosi ladri e briganti. Chi si arroga il diritto di pascere le pecore di Dio rifiutando di passare dall’unica porta piomba nel mondo delle tenebre che, per così dire, è anteriore all’apparire di Cristo, luce del mondo. Vi è un solo modo per reggere legittimamente il gregge: bisogna passare per Gesù (Cf. Gv 21,15-17).
Io sono la porta... Gesù è la porta delle pecore: è l’unico mediatore della salvezza, «in nessun altro c’è salvezza» (Atti 4,12). Chi cerca «vita e felicità fuori e lungi dal Cristo, si illude: troverà solo amarezza e rovina. Chi si allontana dalla fonte d’acqua viva, si scava cisterne screpolate, incapaci di contenere acqua, o si abbevera ad acque limacciose e inquinate. Chi vuole conseguire la salvezza, servendosi di altri mediatori, giungerà alla perdizione. L’unico mediatore tra Dio e gli uomini è Gesù Cristo [1Tm 2,5]. Egli è l’unico salvatore del genere umano, il sigillo dell’amore del Padre per il mondo [Gv 3,16s; 1Gv 4,14-16]» (Salvatore A. Panimolle)
 
Io sono la porta... Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti...  - Xavier Léon-Dufour (Lettura dell’Evangelo secondo Giovanni): La proclamazione iniziale «Io sono la porta delle pecore» può essere compresa in due maniere: Gesù è la porta per la quale si accede alle pecore, oppure è la porta attraverso la quale passano le pecore. La porta è destinata a coloro che vanno verso le pecore, oppure essa è destinata all’entrata e uscita delle pecore. Secondo la prima lettura, la più comune tra i commentatori, Gesù affermerebbe di essere il solo mediatore per arrivare efficacemente alle pecore, e questo è stato interpretato come l’esigenza di fedeltà a Gesù da parte dei pastori della Chiesa. Ma il contesto dei vv. 7-10 si oppone a questa lettura: qui non è questione di molti pastori ma di uno solo, e i personaggi diversi da lui non vengono nell’ovile per pascolare le pecore, essi le uccidono. È to­tale il contrasto tra il pericolo che essi rappresentano per le pecore e la vita alla quale Gesù dona loro di accedere. Del resto, Gesù non dice che egli è «la porta dell’ovile», ma «delle pecore». Gli sforzi dei critici per legittimare la prima lettura si basano in definitiva su una indebita allegorizzazione della porta menzionata nel quadro simbolico. Gesù non si presenta come il mediatore dei futuri pastori; questa estensione avverrà solo più tardi nella letteratura ecclesiastica. Il v. 8 presenta una difficoltà: chi sono coloro che sono «venuti prima di me», bollati come ladri e briganti? Gesù non si riferisce certamente ai patriarchi e ai profeti d’Israele, di cui ha fatto i suoi testimoni o ha ricordato gli annunci, né al precursore che pure è venuto prima di lui. Costoro, i credenti li hanno ascoltati! D’altra parte, l’esclusione è radicale. Per comprenderla conviene partire dal contesto, dove la Porta, che è Gesù, apre l’ingresso alla vita; Gesù esclude che chiunque altro, all’infuori di lui, possa condurre alla vita sovrabbondante; questo è il senso di «prima di me». Ma per qual motivo qualificare questi intrusi come ladri e briganti?
Il termine «ladro» assume il suo vero significato se, ancora una volta, si tiene conto del contesto.
Non si tratta di colui che ruba al suo simile qualcosa che gli appartiene; in questo testo ciò che viene rubato sono le pecore, ed esse appartengono a Dio stesso. Se Gesù le ha chiamate «sue», l’ha detto in quanto gliele ha dona­te il Padre (v. 29), e il Padre e il Figlio hanno tutto in comune. Il ladro qui è uno che ruba a Dio: ruba a Dio le sue pecore; è un ten­tativo estremo di usurpazione. Ora Dio è un Dio geloso, dice la Scrittura (Es 20,5; 34,14); e Gesù, il cui zelo per la casa del Padre lo condurrà alla morte (2,17), lo sa bene.
Venendo per derubare ciò che appartiene a Dio, questi intrusi non possono che «farle perire» (apollymi) - termine che designa la perdizione definitiva in senso spirituale (Cf. per es. 12,25) - per il fatto che essi le allontanano dalla voce del Figlio.
Quanto al verbo «sacrificare» (thyo, spesso qui mal tradotto con sgozzare), si adatta a uno che ruba a Dio, poiché evoca una parodia di sacrificio.
Inversamente Gesù, che al versetto 9 si designa non più come «la porta delle pecore» ma come «la Porta» semplicemente, conduce alla vita. La «salvezza», ottenuta da colui che passa attraverso il Figlio, è dipinta mediante immagini. L’una deriva dalla metafora della porta, l’altra dalla vita pastorale. L’espressione «entrare e uscire», senza indicazione di luogo, significa per se stessa la libertà di qualcuno nella vita ordinaria, dato che la coppia di termini opposti indica una totalità. La si incontra in Nm 27,17 in con­nessione col tema del gregge di Jhwh. Nel nostro testo essa dice la piena libertà del credente. I «pascoli», simbolo di vita opulenta, preparano la sovrabbondanza su cui si chiude il v. 10 dove si può cogliere un’eco del Salmo 23.
Questa parola di Gesù non dice una cosa diversa da ciò che abbiamo già letto in precedenza, per es. al capitolo 6 nel discorso sul Padrone della vita. Qui però è sottolineata la situazione di pericolo per le pecore che potrebbero andare perdute se non interviene il Figlio e se esse non ascoltano lui solo.
 
I prelati mercenari - Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni 46,5-6: Chi è dunque il mercenario? Vi sono alcuni nella Chiesa che sono preposti in autorità, e di essi l’apostolo Paolo dice: Cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fil 2,21). Che vuol dire “cercano i propri interessi”? Vuol dire che non amano Cristo di un amore disinteressato, che non cercano Dio per se stesso; cercano privilegi e vantaggi temporali, sono avidi di denaro, ambiscono onori terreni. Tal sorta di prelati che amano queste cose e per esse servono Dio, sono mercenari; non possono considerarsi figli di Dio. Di costoro il Signore dice: In verità vi dico: hanno ricevuto la loro mercede (Mt 6,5). Ascolta cosa dice del santo Timoteo l’apostolo Paolo: Spero nel Signore Gesù di mandarvi quanto prima Timoteo, affinché anch’io stia di buon animo conoscendo le vostre notizie. Infatti non ho nessuno che mi sia vicino d’ animo quanto lui; egli si darà premura delle vostre cose con sincerità, giacché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo (Fi 2,19-21). Il pastore era afflitto di trovarsi in mezzo ai mercenari. [ ... ] Cristo è la verità; la verità viene annunziata dai mercenari per secondi fini, mentre viene annunziata dai figli con lealtà. I figli aspettano pazientemente l’eredità eterna del Padre: i mercenari esigono subito la mercede temporale del padrone.
 
Il Santo del giorno - 22 Aprile 2024 -  Beato Adalberto, Conte di Ostrevant: Visse nel sec. VIII, ma poche sono le notizie certe intorno alla sua vita. Nato da illustre casato, fu un ricchissimo signore della corte carolingia e sposò Regina, nipote di Pipino il Breve, dalla quale pare che abbia avuto dieci figlie. La primogenita, Ragenfreda o Reinfreda, è venerata come santa. Adalberto fu di una inesauribile carità e fondò per le figlie un monastero a Denain (Nord), nel quale alla sua morte, avvenuta il 22 apr. 790 ca., fu sepolto. Il Proprio (a. 1625) dell’abbazia di Denain contiene tre lezioni nell’officiatura a lui dedicata il 22 aprile col titolo di beato; però qualche martirologio che lo commemora gli attribuisce il titolo di santo. (Autore: Roger Desreumaux).
 
 
Donaci, o Padre, lo spirito di carità,
perché nutriti dal Corpo e dal Sangue
del tuo Figlio unigenito,
siamo in mezzo a tutti gli uomini
operatori di quella pace che Cristo ci ha lasciato in dono.
Egli vive e regna nei secoli dei secoli.