6 Marzo 2020

Venerdì della I Settimana di Quaresima

 Ez 18,21-28; Sal 129 (130); Mt 5,20-26

Colletta: Concedi, Signore, alla tua Chiesa di prepararsi interiormente alla celebrazione della Pasqua, perché il comune impegno nella mortificazione corporale porti a tutti noi un vero rinnovamento dello spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Dio non vuole la morte, ma che si converta e viva - Basilio Caballero (La Parola per Ogni Giorno): Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva, dice la prima lettura presa dal profeta Ezechiele che scrive al tempo dell’esilio babilonese. Grazie alla clemenza del Signore, la conversione è sempre possibile. Se è vero che esiste la complicità di tutti nel male e nel peccato che ci circondano, è anche certo che la colpevolezza collettiva non diminuisce la responsabilità personale di ognuno nella parte che gli spetta del male sociale. Dipende da noi rifare la strada in senso inverso. Dio dà sempre una seconda opportunità perché è amico della vita; per questo cancella il passato di chi si pente del suo peccato. Il testo evangelico è preso dal discorso «programmatico» di Gesù. Il Signore comincia con una premessa sulla nuova giustizia, cioè la nuova fedeltà richiesta dal regno di Dio. «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli». Gesù si riferisce al concetto di santità stabilito dai dottori della legge, per dire che non è all’altezza del regno, perché rimane formalismo esteriore e non va alla radice, agli atteggiamenti, al cuore. Al discepolo di Cristo viene chiesto di più. Gesù lo precisa in seguito con sei antitesi, delle quali oggi leggiamo la prima, relativa all’omicidio. Il Signore si appella alla sua autorità, poiché egli non venne ad abolire la legge ma a darle compimento: «Avete inteso che tu detto... Ma io vi dico». Gesù non si accontenta del minimo legale preso alla lettera, ma si colloca al massimo dell’amore e dello spirito della legge. Per questo va molto più in là della prescrizione mosaica sull’omicidio fisico (quinto comandamento), generalizzando la sua applicazione a ogni fatto, parola e gesto che abbiano un’intenzione ingiuriosa verso il fratello.

Dal Vangelo secondo Matteo 5,20-26: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli. Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: Stupido, dovrà essere sottoposto al sinèdrio; e chi gli dice: Pazzo, sarà destinato al fuoco della Geènna. Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono. Mettiti presto d’accordo con il tuo avversario mentre sei in cammino con lui, perché l’avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia, e tu venga gettato in prigione. In verità io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo!».

Il brano evangelico oltre a mettere in risalto il valore perenne dell’Antico Testamento, insegna il valore della dottrina di Gesù, la nuova Legge, che porta  a compimento la Legge antica.
In verità io vi dico (= Amen): la parola ebraica che significava in origine stabilità in seguito venne a significare la verità e la fedeltà. Qui sottolinea semplicemente in verità, mettendo in questo modo in evidenza l’autorità e la signoria di Gesù.
Se la vostra giustizia... è un aperto rimprovero ai farisei che avevano deformato lo spirito della Legge, riducendo il loro impegno religioso a una formale interpretazione della Legge di Dio. La giustizia dei farisei era quindi il frutto di una ipocrita osservanza esteriore della Legge, deprecata dagli uomini e rigettata da Dio (Cf. Lc 18,9-14). Invece, il vero giusto per la sacra Scrittura è colui che si sforza sinceramente di adempiere la volontà di Dio (Cf. Mt 1,19), che si manifesta sopra tutto nei Comandamenti. Per avvicinarci al nostro linguaggio cristiano, giustizia è sinonimo di santità (Cf. 1Gv 2,29; 3,7-10; Ap 22,11).
Ma io vi dico... un’espressione che mette in risalto l’autorità di Gesù: poiché la sua potestà è divina, Egli è superiore a Mosè e ai Profeti. Una prerogativa rigettata dai farisei, ma accolta dalla folla che seguiva il Maestro di Nazaret: «Ed erano stupiti del suo insegnamento: egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi» (Mc 1,22; Cf. Mt 7,28).
Stupido... Epiteto ingiurioso cui si accompagnava a un gran disprezzo, che spesso veniva espresso non solo con le parole, ma sputando a terra. Pazzo, ancora più offensivo perché a volte voleva sottintendere un’aperta ribellione alla volontà di Dio.
Per Gesù non bisogna scivolare in una casistica farisaica nella quale il credente si troverebbe a vivere una fede asfittica, lontana dalle vere esigenze evangeliche. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.

Se la vostra giustizia… - Odilo Kaiser: 1. Nell’Antico Testamento giustizia designa negli scritti veterotestamentari un comportamento generalizzato dell’uomo che agisce secondo la volontà di Dio (Dt 6,25). Con ciò è presupposta o percepita la subordinazione e l’adeguamento della giustizia alla giustizia di Dio. Proprio quando testi antichi evidenziano l’aspetto giuridico della giustizia, questo fatto non va dimenticato. Anche nell’Antico Testamento, quando si parla della giustizia si tratta spesso delle relazioni di una persona con l’altra (Es 23,6ss; Dt 1,16). Specie nel periodo più tardo, invece, è la rigida osservanza della preghiera (Gb 4) e l’elemosina (Tb 12,9) a “creare” la giustizia.
2. Nel Nuovo Testamento. Generalizzando si può dire: la giustizia si esprime nell’accettazione totale e incondizionata della giustizia di Dio, con l’abbandono perciò di tutte le “sicurezze” umane. Questa nuova giustizia, Dio l’ha offerta agli uomini nell’evento della salvezza attuato in Cristo. Non può essere acquisita attraverso le proprie opere e i propri meriti. L’uomo viene gratuitamente giustificato soltanto nella fede e nell’ubbidiente accettazione del messaggio della salvezza in Cristo. In quanto giustificato ora vive della giustizia di Dio (Rm 3,21-26). La giustizia di Dio è diventata, con ciò stesso, giustizia della propria vita. Quando Fil 1,11 invoca, per la comunità, che sia ripiena dei “frutti della giustizia”, intende dimostrare fino a che punto la giustizia di Dio, di cui la comunità è stata oggetto, sia diventata per essa realmente e concretamente determinante per la sua vita. È questo che l’apostolo spera e invoca.
L’“esercizio della giustizia” si presenta nella teologia di Matteo (6,1ss) con un significato indiscutibilmente personale. Ma proprio la composizione programmatica del discorso della montagna risalta nelle cosiddette antitesi (5,21-48), illustrando al credente (nella figura del discepolo di Gesù) che cosa si debba fare ora per “adempiere ogni giustizia”. Modello è lo stesso Gesù (3,15). Lc 10,25-37 dimostra in quale misura ogni comprensione puramente formale della giustizia nei confronti dell’altro uomo dovrebbe essere eliminata per sempre. L’esigenza assoluta posta dal Dio dell’amore fa di ogni uomo il “prossimo”. Tutte le barriere che separano l’uomo dall’uomo si rivelano contrarie alla volontà di Dio. Tanto più che nella parola di Gesù perfino gli obblighi cultuali e le prescrizioni religiose sono univocamente superati dalla nuova giustizia dell’amore. Giustizia significa realizzazione dell’amore di Dio che in Cristo è dischiuso, come possibilità, a tutti gli uomini.

Il fariseismo. - J. Cantinat e X. Léon-Dufour: Questa utilizzazione del termine «farisei» in un contesto di polemica ha purtroppo determinato un abuso di linguaggio che non si può definire cristiano. Tuttavia se si ha cura di stigmatizzare così, non i Giudei, ma il comportamento di ogni uomo chiuso, il fariseismo così inteso non ha nulla a che vedere con il fariseismo: è uno spirito opposto al vangelo. Il quarto vangelo ha conservato alcune scene tipiche sull’accecamento dei Farisei (Gv 8,13; 9,13.40), ma li assimila ordinariamente ai «Giudei», facendo così vedere che il loro conflitto con Gesù ha un valore ultrastorico. C’è fariseismo quando ci si ricopre della maschera della giustizia per dispensarsi dal viverla internamente o dal riconoscersi peccatori e dall’ascoltare la chiamata di Dio, quando si chiude l’amore di Dio nella stretta cerchia della propria scienza religiosa. Questa mentalità si ritrova nel cristianesimo nascente, nei giudeo-cristiani con i quali si scontrò Paolo (Atti 15,5): essi vogliono sottomettere a pratiche giudaiche i convertiti provenienti dal paganesimo, e mantenere così sotto il giogo della legge coloro che ne erano stati liberati dalla morte di Cristo. Fariseismo ancora nel cristiano che disprezza il Giudeo troncato dall’albero (Rom 11,18ss). Il fariseismo minaccia il cristianesimo nella misura in cui questo ritorna allo stadio di un’osservanza legale e disconosce l’universalità della grazia.

Non ucciderai: Evangelium vitae 41: Il comandamento del “non uccidere”, incluso e approfondito in quello positivo del’amore del prossimo, viene ribadito in tutta la sua validità dal Signore Gesù. Al giovane ricco che gli chiede: “Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?”, risponde: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti” (Mt 19,16-17). E cita, come primo, il “non uccidere” (v. 18). Nel Discorso della Montagna, Gesù esige dai discepoli una giustizia superiore a quella degli scribi e dei farisei anche nel campo del rispetto della vita: “Avete inteso che fu detto agli antichi: Non uccidere; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio” (Mt 5,21-22). Con la sua parola e i suoi gesti Gesù esplicita ulteriormente le esigenze positive del comandamento circa l’inviolabilità della vita. Esse erano già presenti nell’Antico Testamento, dove la legislazione si preoccupava di garantire e salvaguardare le situazioni di vita debole e minacciata: il forestiero, la vedova, l’orfano, il malato, il povero in genere, la stessa vita prima della nascita (cfr. Es 21,22; 22,20-26). Con Gesù queste esigenze positive acquistano vigore e slancio nuovi e si manifestano in tutta la loro ampiezza e profondità: vanno dal prendersi cura della vita del fratello (familiare, appartenente allo stesso popolo, straniero che abita nella terra di Israele), al farsi carico dell’estraneo, fino all’amare il nemico.
L’estraneo non è più tale per chi deve farsi prossimo di chiunque è nel bisogno fino ad assumersi la responsabilità della sua vita, come insegna in modo eloquente e incisivo la parabola del buon samaritano (cf. Lc 10,25-37). Anche il nemico cessa di essere tale per chi è tenuto ad amarlo (cf. Mt 5,38-48; Lc 6,27-35) e a «fargli del bene» (cf. Lc 6,27.33.35), venendo incontro alle necessità della sua vita con prontezza e senso di gratuità (cf. Lc 6,34-35). Vertice di questo amore è la preghiera per il nemico, mediante la quale ci si pone in sintonia con l’amore provvidente di Dio: «Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,44-45; cf. Lc 6,28.35).
Così il comandamento di Dio a salvaguardia della vita dell’uomo ha il suo aspetto più profondo nell’esigenza di venerazione e di amore nei confronti di ogni persona e della sua vita. È questo l’insegnamento che l’apostolo Paolo, facendo eco alla parola di Gesù (cf. Mt 19,17-18), rivolge ai cristiani di Roma: «Il precetto: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole: Amerai il prossimo tuo come te stesso. L’amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l’amore» (Rm 13,9-10). 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** «Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Questi santi sacramenti che abbiamo ricevuto
ci rinnovino profondamente, Signore,
perché liberi dalla corruzione del peccato
entriamo in comunione col tuo mistero di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.