3 Marzo 2020

Martedì della I Settimana di Quaresima

Is 55,10-11; Salmo 33 (34); Mt 6,7-15

Colletta: Volgi il tuo sguardo, Padre misericordioso, a questa tua famiglia, e fa che superando ogni forma di egoismo risplenda ai tuoi occhi per il desiderio di te. Per il nostro Signore Gesù Cristo.. 

Padre nostro: Catechismo della Chiesa Cattolica 779-780: Prima di fare nostro questo slancio iniziale della Preghiera del Signore, non è superfluo purificare umilmente il nostro cuore da certe false immagini di «questo mondo». L’umiltà ci fa riconoscere: «Nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare» (Mt 11,27), cioè «ai piccoli» (Mt 11,25). La purificazione del cuore concerne le immagini paterne e materne, quali si sono configurate nella nostra storia personale e culturale, e che influiscono sulla nostra relazione con Dio. Dio, nostro Padre, trascende le categorie del mondo creato. Trasferire su di lui, o contro di lui, le nostre idee in questo campo, equivarrebbe a fabbricare idoli da adorare o da abbattere. Pregare il Padre è entrare nel suo mistero, quale egli è, e quale il Figlio ce lo ha rivelato: «L’espressione Dio-Padre non era mai stata rivelata a nessuno. Quando lo stesso Mosè chiese a Dio chi fosse, si sentì rispondere un altro nome. A noi questo nome è stato rivelato nel Figlio: questo nome, infatti, implica il nuovo nome di Padre». Possiamo invocare Dio come «Padre» perché ci è rivelato dal Figlio suo fatto uomo e perché il suo Spirito ce lo fa conoscere. Ciò che l’uomo non può concepire, né le potenze angeliche intravvedere, cioè la relazione personale del Figlio nei confronti del Padre, ecco che lo Spirito del Figlio lo comunica a noi, a noi che crediamo che Gesù è il Cristo e che siamo nati da Dio.

Dal Vangelo secondo Matteo 6,7-15: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate. Voi dunque pregate così: Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal male. Se voi infatti perdonerete agli altri le loro colpe, il Padre vostro che è nei cieli perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe».

In quel tempo… - Ortensio da Spinetoli (Matteo): La breve nota redazionale (v. 9a) pone il problema della provenienza e formulazione della preghiera domenicale. Bisogna rinunciare anche qui a scoprire il suo contesto originario e ancor più la forma impressagli da Signore:
Gesù ha personalmente pregato” e attraverso i suoi insegnamenti ha suggerito i nuovi temi della preghiera cristiana, La comunità primitiva e passata dai modelli giudaici, che non ha potuto subito abbandonare, ai propri formulari, che é stata costretta a elaborare soprattutto per il sevizio liturgico. Il presente e, può darsi, uno dei primi documenti del genere. La sua presenza nel vangelo lo dimostra, unitamente al suo contenuto circoscritto dalle preoccupazioni fondamentali della chiesa.
Il testo di Matteo proviene da ambienti giudeo-cristiani (Palestina); quello di Luca da comunità ellenistiche.
Nella comunità di Matteo il Pater e già la preghiera quotidiana (dacci oggi) del cristiano. Attualmente si presenta come un dittico imperniato nella prima parte su Dio e sull'aggettivo «tuo» («il tuo nome», «il tuo regno», «la tua volontà»); nella seconda sulla famiglia cristiana, (sul pronome «noi» e l'aggettivo  «nostro»). Nella prima parte, teocentrica, sono toccati i temi essenziali della salvezza (Dio e il regno); nella seconda, ecclesiocentrica, la tranquillità materiale e spirituale della comunità.

La misericordia del Padre - Giorgio Massi (Padre in Schede Bibliche Pastorali, Vol. VI): Una delle richieste del «Padre nostro» pone esplicitamente l’accento sul rapporto tra l’amore fraterno e quello del Padre: «... e rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). E Matteo commenta la domanda con due frasi significative: «Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,14-15).
Il commento di Matteo al «Padre nostro» probabilmente non aveva la sua collocazione originale in questo punto, ma al termine della parabola del servitore spietato (Mt 18,23-36).
In quell’occasione Pietro chiede a Gesù quante volte si debba perdonare l’offesa ricevuta. Il maestro fa suo il canto di vendetta di Lamec (Gn 4,24), ma lo interpreta nel senso del perdono (Mt 18,21-22), che non ha mai fine. Al determinismo sociologico della vendetta Gesù oppone il perdono fraterno: soltanto questo può salvare la nostra comunità di credenti dalla rovina.
Nella parabola tutto sembra inverosimile: il debito del primo servo, il verdetto di misericordia del re, la violenza dell’uomo condonato verso un suo sottoposto che gli deve pochi denari, la reazione finale del re. Però la conclusione che rappresenta la morale della parabola risulta molto chiara: il re rappresenta il Padre e i servi sono i fratelli della comunità: «Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (Mt 18,35). È chiaro che l’evangelista intende sottolineare i due aspetti della vita del discepolo: la gratuità assoluta del perdono divino grazie al quale i credenti sono entrati nella chiesa e l’esigenza solenne del perdono fraterno indispensabile nella comunità messianica: «Quando vi mettete a pregare, se avete qualcosa contro qualcuno, perdonate, perché anche il Padre vostro che è nei cieli perdoni a voi i vostri peccati» (Mc 11,25). Ora possiamo capire anche la portata di Mt 6,15.
L’amore fraterno non è la condizione della salvezza, ma la sua conseguenza.
Dio, il Padre del Cristo, ha perdonato per primo i nostri errori ed esige a sua volta che l’uomo mostri misericordia verso gli altri: è quanto ci dice 1Gv 4,19-21. Con il perdono il Padre celeste fonda una comunità di fratelli che devono la loro esistenza a un atto di grazia. È nel legame familiare tra il Padre e i fratelli nella chiesa che bisogna cercare la ragione per cui il perdono da parte di Dio include, suppone ed esige il perdono reciproco tra fratelli.
Colui che non è fratello agli altri non potrà avere Dio come Padre! Il perdono è quindi indivisibile, in esso si realizza pienamente la volontà riconciliatrice di Dio.
Un aspetto che non va trascurato nella tematica del perdono del Padre è il risalto dato dagli evangelisti all’amore di Dio verso i peccatori. Interessano questo atteggiamento le parabole della pecora smarrita e del figlio prodigo (Mt 18,10-14; Lc 15,11-32).
Se dovessimo considerare quest’ultima parabola come esempio di pedagogia paterna, dovremmo dire che il Padre non è né prudente né buon educatore. Naturalmente il significato va ben oltre il comportamento dei padri terreni. Nella parabola viene annunciato che il Padre celeste nutre un amore sconfinato verso coloro che si considerano perduti, verso i peccatori, amore che costituisce scandalo per i sapienti di questo mondo. La storia della salvezza segue un tracciato che non è quello della giustizia dell’uomo (Cf. Is 55,8). Costui si è separato da Dio. Ha voltato le spalle alla casa paterna per cercare altrove la felicità e non ha saputo approfittare dei beni che il Padre ha concesso: la ragione e la volontà libera. La miseria, la fame, il disprezzo fanno ormai parte della sua condizione. Dio ha permesso che l’uomo facesse le sue esperienze, non ha voluto costringerlo, ma nella sua sapienza ha concepito un altro piano. Colui che è morto deve rinascere ad una nuova vita perché tutti i torti saranno perdonati, ogni dolore sarà trasformato in gioia.

Non abbandonarci nella tentazione -  Chi recita questa preghiera si affida alla bontà del Padre perché non venga abbandonato alla tentazione del male e alla prova della fede: tradurre «con una sola parola il termine greco è difficile: significa “non permettere di entrare in”; “non lasciarci soccombere alla tentazione”. “Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male” [Gc 1,13]; al contrario vuole liberarcene. Noi gli chiediamo di non lasciarci prendere la strada che conduce al peccato. Siamo impegnati nella lotta “tra la carne e lo Spirito”. Questa richiesta implora lo Spirito di discernimento e di fortezza» (CCC 2846).
La  radice della tentazione è nel cuore dell’uomo: «Il peccato è accovacciato alla tua porta; verso di te è il suo istinto» (Gen 4,7). È inevitabile: «Figlio, se ti presenti per servire il Signore, prepàrati alla tentazione» (Sir 2,1). È fascino che seduce: «Ciascuno piuttosto è tentato dalle proprie passioni, che lo attraggono e lo seducono; poi le passioni concepiscono e generano il peccato, e il peccato, una volta commesso, produce la morte» (Gc 1,14-15).
La tentazione mette a nudo l’estrema debolezza dell’uomo (Cf. Rom 7,1ss). Smaschera la subdola azione di Satana: un essere ostile a Dio e nemico dell’uomo fin dalle origini: per «l’invidia del diavolo la morte è entrata nel mondo» (Sap 2,24; Cf. Gen 3,6; 1Cr 21,1; Zac 3,1-2). Un tristo figuro, una spia (Cf. Gb 1,6-12), un ladro (Cf. Mt 13,19), una figura equivoca e scettica riguardo all’uomo, tutta tesa a coglierlo in fallo, abile nel porre nel suo cuore pensieri malvagi (Cf. Gv 13,2.27; Atti 5,3; 1Gv 3,8), capace di scatenare su di lui mali di tutte le specie e perfino di spingerlo al male (Cfr. 1Cr 21,1). È colui che conosce bene l’arte dell’accusatore (Cf. Ap 12,10), è il tenebroso «principe di questo mondo» (Gv 12,31; 14,30; 16,11; Ef 2,2; 6,12) che regna su un impero di tenebra (Cf. Atti 26,18), è un abile trasformista che sa cangiarsi in angelo di luce (Cf. 2Cor 11,14) per ingannare, «se fosse possibile, anche gli eletti» (Mc 13,21).
Gesù ha insegnato la preghiera del Padre nostro per ricordare all’uomo che il «combattimento e la vittoria sono possibili solo nella preghiera. È per mezzo della sua preghiera che Gesù è vittorioso sul Tentatore, fin dall’inizio e nell’ultimo combattimento della sua agonia. Ed è al suo combattimento e alla sua agonia che Cristo ci unisce in questa domanda al Padre nostro. La vigilanza del cuore, in unione alla sua, è richiamata insistentemente. La vigilanza è “custodia del cuore” e Gesù chiede al Padre di custodirci nel suo Nome. Lo Spirito Santo opera per suscitare in noi, senza posa, questa vigilanza. Questa richiesta acquista tutto il suo significato drammatico in rapporto alla tentazione finale del nostro combattimento quaggiù; implora la perseveranza finale» (CCC 2849).
Non abbandonarci alla tentazione: una richiesta che mette a nudo l’estrema fragilità dell’uomo e rivela, allo stesso tempo, la sguaiata ferocia di Satana, ma anche tutta la sua infernale debolezza: un leone affamato che gira continuamente attorno ai credenti cercando chi divorare (1Pt 5,8), ma già abbattuto e vinto dal Cristo.
Una preghiera che punta diritto al cuore di Dio, l’Arbitro che ha in mano le sorti della partita: «Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi» (Rom 16,20).
«Il primato nella storia non è, infatti, quello demoniaco, ma è la signoria divina ad avere l’ultima parola e la scena finale dell’Apocalisse [capp. 21-22] ne è la raffigurazione più luminosa» (Gianfranco Ravasi).

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** il Padre nostro è una preghiera che punta diritto al cuore di Dio, l’Arbitro che ha in mano le sorti della partita: «Il Dio della pace schiaccerà ben presto Satana sotto i vostri piedi» (Rom 16,20).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Per questa comunione ai tuoi misteri
insegnaci, Signore,
a moderare le passioni e i desideri terreni
e a cercare la tua giustizia e il tuo regno.
Per Cristo nostro Signore.