2 Marzo 2020

Lunedì della I Settimana Quaresima

Lv 19,1-2.11-18; Salmo 18 (19); Mt 25,31-46

Colletta: Convertici a te, o Padre, nostra salvezza, e formaci alla scuola della tua sapienza, perché l’impegno quaresimale lasci una traccia profonda nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Misericordiae Vultus 15: Non possiamo sfuggire alle parole del Signore: e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore».

Dal Vangelo secondo Matteo 25,31-46: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: "Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi". Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: "In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me". E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

La descrizione del giudizio finale presenta Gesù come un re che viene a separare «gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre», avendo come criterio discriminante le opere di misericordia.
Davanti al Giudice saranno radunati tutti i popoli, espressione che include sia i pagani che i giudei. Prima della fine il «vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo» (Mt 24,14).
Il Re-Pastore separerà «le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra». Presso i giudei, il capro era l’animale che veniva immolato a Yavhé nel rito espiatorio (Cf. Es 30,10; Lv 4,22-23; Nm 7,16.22.28; ecc.). Nel grande giorno dell’espiazione, Aronne aveva posato le mani sul capo di un capro vivo, aveva confessato «sopra di esso tutte le iniquità degli Israeliti, tutte le loro trasgressioni, tutti i loro peccati» e li aveva, in questo modo, riversati sulla testa del capro; poi, per mano di un uomo incaricato di ciò, l’aveva mandato via nel deserto per essere offerto ad Azazel, un demone che gli antichi ebrei e cananei credevano abitasse il deserto (Cf. Lv 16,9-10). Il deserto, nella fantasia popolare, era la sede dei demoni (Cf. Lv 17,7; Is 13,21; 34,14; Bar 4,35; Mt 8,28; 12,43; Ap 18,2). Forse per questi motivi Gesù nel discorso del giudizio universale ha usato l’immagine del capro perché questo animale tout court poteva richiamare alla memoria degli ascoltatori la bruttura del peccato.
Il criterio di giudizio saranno le azioni di misericordia fatte a uno dei «fratelli più piccoli» di Gesù.
Tra i «più piccoli» forse vanno annoverati anche gli stessi discepoli di Gesù, accolti e rifocillati amorevolmente dagli uomini a cui portano la Buona Notizia (Cf. Mt 10,40-42; Lc 9,48; 10,16).
La sorpresa dei giusti è nel sentire che tutte le volte che hanno soccorso qualcuno nel bisogno lo hanno fatto al Signore. È la stessa sorpresa degli empi, ai quali Gesù dirà: «In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me».
Gli uomini per ricevere in «eredità il regno» preparato per loro «fin dalla creazione del mondo» dovranno quindi superare un esame, la cui unica materia da vagliare sarà l’amore. Il regno di Gesù è un regno di santità, di pace e di amore e vi può entrare soltanto chi ama e compie opere di misericordia verso gli afflitti.
Il Re che siede sul trono della gloria e che raccoglie dinanzi al suo tribunale tutti gli uomini, afferma con chiarezza che atto formale di riconoscimento della sua regalità sono le attenzioni usate a quanti hanno fame e sete, ai forestieri, agli indigenti, ai poveri, ai malati e ai carcerati. Perché soltanto «questo è il punto che ci qualifica definitivamente davanti a Dio. Non contano tanto i sentimenti e le intenzioni, l’ideologia e le parole, cioè “Signore, Signore”, quello che uno fu e fece, che apprezzò e rappresentò, che lavorò o soffrì, creò e organizzò, quanto se amò o non amò i fratelli. Perché questa è la volontà di Dio, che chi lo ama, ami anche i fratelli» (Basilio Caballero). Solo l’amore può costruire all’uomo una casa eterna dove abitano la gioia e la pace.

Il giudizio nei Vangeli - Nei sinottici, la predicazione di Gesù si riferisce frequentemente al giudizio dell’ultimo giorno. Allora tutti gli uomini dovranno rendere conto (cfr. Mt 25,14-30). Una condanna rigorosa attende gli scribi ipocriti (Mc 12,40 par.), le città del lago che non hanno ascoltato la predicazione di Gesù (Mt 11,20-24), la generazione incredula che non si è convertita alla sua voce (12,39-42), le città che non accoglieranno i suoi inviati (10,14 s). Il giudizio di Sodoma e Gomorra non sarà nulla in confronto al loro (10,23 s); essi subiranno il giudizio della Geenna (23,33). Questi insegnamenti pieni di minacce mettono in rilievo la motivazione principale del giudizio divino: l’atteggiamento assunto dagli uomini di fronte al vangelo. L’atteggiamento verso il prossimo conterà altrettanto: secondo la legge mosaica, ogni omicida era passibile di tribunale umano; secondo la legge evangelica, occorrerà molto meno per essere passibili della Geenna (Mt 5,21s)! Bisognerà rendere conto di ogni calunnia (12,36). Si sarà giudicati con la stessa misura che si sarà applicata al prossimo (7,1-5). Ed il quadro di queste assise solenni, in cui il figlio dell’uomo funzionerà da giustiziere (25,31-46), mostra gli uomini accolti nel regno o consegnati alla pena eterna, secondo l’amore o l’indifferenza che avranno dimostrato verso il prossimo.
C’è tuttavia un delitto che, più di qualunque altro, chiama il giudizio divino. È quello con cui l’incredulità umana ha raggiunto il colmo della malizia in un simulacro di giudizio legale: il processo e la condanna a morte di Gesù (Mc 14,63 par.; cfr. Lc 24,20; Atti 13,28). Durante questo giudizio iniquo, Gesù si è rimesso a colui che giudica con giustizia (1Piet 2,23); quindi Dio, risuscitandolo, lo ha ristabilito nei suoi diritti. Ma l’esecuzione di questa sentenza ingiusta ha richiesto, in cambio, una sentenza di Dio contro l’umanità colpevole. È sintomatico il fatto che la cornice, in cui il vangelo di Matteo colloca la morte di Gesù, coincide Con lo scenario tradizionale del giudizio nell’escatologia del VT (Mt 27,45.51ss). La morte di Gesù è quindi il momento in cui il mondo è giudicato; la storia successiva, fino all’ultimo giorno, non farà che esplicitare questa sentenza. Essa, secondo la testimonianza di Gesù stesso, colpirà dapprima «coloro che sono in Giudea», i primi colpevoli (24,15ss par.); ma questo non sarà che un preludio ed un segno, che annunzierà l’avvento finale del figlio dell’uomo, giudice del grande giorno (24,29ss). Il condannato della passione, vittima del peccato del mondo, pronunzierà allora contro il mondo peccatore una condanna clamorosa.

Papa Francesco (Angelus 26 Novembre 2017): La pagina evangelica si apre con una visione grandiosa. Gesù, rivolgendosi ai suoi discepoli, dice: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria» (Mt 25,31). Si tratta dell’introduzione solenne del racconto del giudizio universale. Dopo aver vissuto l’esistenza terrena in umiltà e povertà, Gesù si presenta ora nella gloria divina che gli appartiene, circondato dalle schiere angeliche. L’umanità intera è convocata davanti a Lui ed Egli esercita la sua autorità separando gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre.
A quelli che ha posto alla sua destra dice: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (vv. 34-36). I giusti rimangono sorpresi, perché non ricordano di aver mai incontrato Gesù, e tanto meno di averlo aiutato in quel modo; ma Egli dichiara: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (v. 40). Questa parola non finisce mai di colpirci, perché ci rivela fino a che punto arriva l’amore di Dio: fino al punto di immedesimarsi con noi, ma non quando stiamo bene, quando siamo sani e felici, no, ma quando siamo nel bisogno. E in questo modo nascosto Lui si lascia incontrare, ci tende la mano come mendicante.  Così Gesù rivela il criterio decisivo del suo giudizio, cioè l’amore concreto per il prossimo in difficoltà. E così si rivela il potere dell’amore, la regalità di Dio: solidale con chi soffre per suscitare dappertutto atteggiamenti e opere di misericordia.
La parabola del giudizio prosegue presentando il re che allontana da sé quelli che durante la loro vita non si sono preoccupati delle necessità dei fratelli. Anche in questo caso costoro rimangono sorpresi e chiedono: «Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?» (v. 44). Sottinteso: “Se ti avessimo visto, sicuramente ti avremmo aiutato!”. Ma il re risponderà: «Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me» (v. 45). Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore, cioè sul nostro concreto impegno di amare e servire Gesù nei nostri fratelli più piccoli e bisognosi. Quel mendicante, quel bisognoso che tende la mano è Gesù; quell’ammalato che devo visitare è Gesù; quel carcerato è Gesù; quell’affamato è Gesù. Pensiamo a questo.
Gesù verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni, ma viene a noi ogni giorno, in tanti modi, e ci chiede di accoglierlo. La Vergine Maria ci aiuti a incontrarlo e riceverlo nella sua Parola e nell’Eucaristia, e nello stesso tempo nei fratelli e nelle sorelle che soffrono la fame, la malattia, l’oppressione, l’ingiustizia. Possano i nostri cuori accoglierlo nell’oggi della nostra vita, perché siamo da Lui accolti nell’eternità del suo Regno di luce e di pace.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Gesù verrà alla fine dei tempi per giudicare tutte le nazioni, ma viene a noi ogni giorno, in tanti modi, e ci chiede di accoglierlo” (Papa Francesco).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

La partecipazione a questo sacramento, Signore,
ci sostenga nel corpo e nello spirito,
perché, completamente rinnovati,
possiamo gloriarci della pienezza del tuo dono.
Per Cristo nostro Signore.