27 Marzo 2020

Venerdì della IV Settimana di Quaresima

Sap 2,1a.12-22; Sal 33; Gv 7,1-2.10.25-30

Colletta: Padre santo, che nei tuoi sacramenti hai posto il rimedio alla nostra debolezza, fa’ che accogliamo con gioia i frutti della redenzione e li manifestiamo nel rinnovamento della vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo - Catechismo degli Adulti n. 226: Da tempo Gesù si rendeva conto del rischio mortale. Ripetutamente aveva affermato che quanti si convertono al Regno vanno incontro a persecuzioni: a maggior ragione la stessa sorte sarebbe toccata a lui; tanto più che anche Giovanni Battista era stato ucciso, per ordine di Erode. Nei Vangeli troviamo numerose predizioni di Gesù riguardo a un suo futuro di sofferenza: alcune sono allusive; tre sono piuttosto dettagliate, rese probabilmente più esplicite dai discepoli alla luce degli eventi compiuti. Gesù dunque è consapevole del pericolo; ma gli va incontro con decisione: «Mentre erano in viaggio per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano stupiti; coloro che venivano dietro erano pieni di timore» (Mc 10,32). Il pericolo non indebolisce la sua fedeltà a Dio e non rallenta i suoi passi.
n. 227: L’ostilità contro Gesù fu alimentata da quanti, senza comprenderne le opere e l’insegnamento, lo considerarono un sovvertitore della religione e un pericoloso agitatore di folle. Gesù era consapevole della morte che lo attendeva, ma andò incontro ad essa con coraggio, per essere fedele a Dio.

Dal Vangelo secondo Giovanni 7,1-2.10.25-30: In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo. Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi  di nascosto. Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia». Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato». Cercarono allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

I Giudei cercavano di ucciderlo - J. Brière:  Gesù di fronte all’odio  - 1. L’odio del mondo contro Gesù. - Comparendo in un mondo agitato dalla passione dell’odio Gesù ne vede convergere verso di sé le diverse forme: odio dell’eletto di Dio che si invidia (Lc 19,14; Mt 27,18; Gv 5,18), odio del giusto la cui presenza significa condanna (Gv 7,7; 15,24); i capi di Israele lo odiano pure perché vogliono riservare a se stessi l’elezione divina (cfr. Gv 11,50). D’altronde, dietro di essi, è tutto il mondo malvagio ad odiarlo (Gv 15,18): in lui odia la luce, perché le sue opere sono malvagie (Gv 3,20). Si compie così il mistero, annunziato nella Scrittura, dell’odio cieco, senza motivo (Gv 15,25): al di là di Gesù, esso ha di mira lo stesso Padre (Gv 15,23s). Gesù quindi muore, vittima dell’odio; ma con la sua morte uccide l’odio (Ef 2,14.16), perché questa morte è un atto di amore che introduce nuovamente l’amore nel mondo e ve lo fissa definitivamente.
2. L’odio del mondo contro i cristiani. - Chiunque segue Gesù conoscerà la stessa sorte. I discepoli saranno odiati, «a motivo del suo nome» (Mt 10,22; 24,9). Non devono stupirsene (1Gv 3,13); anzi se ne devono rallegrare (Lc 6,22), perché così sono associati al destino del loro maestro; il mondo li odia perché non sono del mondo (Gv 15,19; 17,14). Si rivela così il nemico che agiva fin dalla origine (Gv 8,44); ma Gesù ha pregato per essi, non perché siano tolti dal mondo, ma perché siano salvaguardati dal maligno.
3. Odiare il male e non gli uomini. - Come Gesù, contro il quale il principe di questo mondo non può nulla (Gv 14,30; 8,46), come il Dio santo, il Padre santo (Gv 17,11), così anche i discepoli avranno l’odio del male. Sapranno che c’è incompatibilità radicale tra Dio ed il mondo (1Gv 2,15; Giac 4,4), tra Dio e la carne (Rom 8,7), tra Dio ed il denaro (Mt 6,24). Per sopprimere in sé ogni complicità con il male, essi rinunceranno a tutto e giungeranno fino ad odiare se stessi (Lc 14,26; Gv 12,25). Ma di fronte agli altri uomini non ci sarà odio alcuno nel loro cuore: «chi odia il proprio fratello è nelle tenebre» (1Gv 2,9-11; 3,15). L’amore è la sola regola, anche nei confronti dei nemici (Lc 6,27). Al termine di questa storia dell’odio, la situazione per il cristiano è quindi hiara, e una netta linea di condotta è stata tracciata: amare tutti gli uomini, odiare se stesso. L’uomo senza Cristo (Ef 2,11ss; Tito 3,3s) poteva immaginare di trovare nell’odio una affermazione di sé, ma il tempo di Caino è passato; il cristiano sa che solo l’amore fa vivere e rende simile a Dio (1Gv 3,11-24).

Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 26 Forse hanno davvero riconosciuto che egli è il Messia?; la domanda ha valore retorico e serve a presentare con colori più vivi la situazione e lo stupore dei gerosolimitani; le parole contengono anche una leggera tinta di ironia, come una punta ironica traspare dalle parole che pronunzierà il cieco nato (cf. Giov., 9, 27). La formulazione di questa frase è attestata differentemente dai manoscritti; la maggioranza di essi hanno: i capi, le autorità (οἰ ρχοντες; Volgata: principes); i restanti manoscritti offrono altre lezioni, come: i gran sacerdoti, gli anziani, la gente. Questa varietà di letture rivela che all’origine non era indicato nessun soggetto e che tale silenzio del testo primitivo è stato differentemente interpretato dai copisti; San Giovanni Crisostomo ed il ms. 1200 non indicano nessun soggetto.
27 Ma noi sappiamo donde sia costui; si allude evidentemente all’origine umana di Cristo (cf Giov., 6,42; 7,41,52). Invece del Messia... nessuno saprà donde egli sia; secondo le concezioni messianiche correnti nel mondo ebraico contemporaneo a Cristo, il Messia aveva una provenienza occulta e misteriosa; queste concezioni avevano delle sfumature differenti; quelli che attendevano un Messia terreno e politico, pur sapendo che egli doveva essere di origine davidica e che sarebbe nato a Bethlehem, pensavano che il Messia sarebbe rimasto sconosciuto e nascosto fino a quando sarebbe stato manifestato ai popolo da Elia, che lo avrebbe unto re; di conseguenza nessuno conosce chi sia il Messia e da quale luogo provenga prima che egli sia annunziato al popolo. Quelli invece che accoglievano le idee dell’apocalittica ebraica (scritti apocrifi) pensavano che l’origine stessa del Messia, cioè del Figlio dell’uomo, fosse misteriosa (cf. 4 Esdra, 7, 28; 13, 32).
28 Disse ad alta voce; il greco ha l’aoristo ἔκραξεν (gridò); il verbo designa un modo di proporre un insegnamento ed è condizionato al linguaggio biblico; il quarto evangelista applica a Gesù le espressioni che usa la Sapienza nell’Antico Testamento. Voi mi conoscete e sapete donde sono! Gesù dichiara che i gerosolimitani conoscono ciò che riguarda la sua origine umana. Ma è verace colui che mi ha mandato; invece di ἀληθινός (verace) pochi codici hanno  (vero, veramente), perciò alcuni traducono: ma veramente [mi ha inviato] Colui che mi ha inviato. Gesù, affermando di non essere venuto da se stesso, cioè di propria autorità, dichiara implicitamente di essere inviato dal Padre, di conseguenza la sua «missione» (invio) dal Padre è verace e va creduta. Voi non lo conoscete; con accento grave il Maestro rileva che i suoi interlocutori ignorano Dio, Colui che lo ha mandato; con questa dichiarazione il Salvatore intende affermare che l’ignoranza della sua vera origine deriva dall’ignoranza di Dio stesso. Da notare che Giov., 7,28-36 presenta molta affinità con Giov., 8,14-22; cf. 7,28 con 8,14; 7,34-36 con 8, 21.
29 Io lo conosco; Gesù dichiara in termini espliciti che egli conosce il Padre; egli infatti conosce direttamente il Padre perché è nel Padre (cf. Giov., 17,21,23) e viene da lui (cf. Giov., 16,27; 17,8). Si è fatto osservare che il verbo οἶδα (conosco), usato nel presente versetto, indica una conoscenza assoluta che si ha per visione diretta, mentre γινώσκω designa una conoscenza che si acquisisce per mezzo dell’esperienza o di intermediari (cf. Biblica, 1959, p. 716). Perché io vengo da lui; in greco si haὄτι παρ’αὐτοῦ εἰμι; altri codici leggono: [perché io sono] presso di lui (παρ’αὐτῷ).

L’ignoranza di Dio - Salvatore Alberto Panimolle (Lettura Spirituale del Vangelo di Giovanni): Un problema teologico di carattere tragico, che sarà ripreso nel seguito del quarto vangelo (cf. Gv 8,19), è l’ignoranza di Dio da parte di coloro che si considerano i custodi e i difensori accreditati del monoteismo. Israele, il popolo che Dio stesso si è scelto come suo prediletto, in realtà non conosce il Padre, né colui che egli ha mandato: Gesù (Gv 7,28).
Ma una simile deplorevole situazione può ripetersi anche per il nuovo popolo di Dio. La conoscenza del Signore infatti consiste nell”amore e nella fedeltà, nella giustizia e nella rettitudine (cf. Os 2,21s; 4,1ss; 6,5s; Ger 22,15s). Non si tratta perciò di nozioni speculative su Dio, ma di un impegno concreto, attraverso il quale si fa l’esperienza del Signore.
Quando in una comunità non regna l’amore, la fedeltà, la giustizia, quando Dio e il vangelo del suo Figlio non incidono profondamente nella vita, allora si ignora il Signore, anche se si conosce la teologia in modo perfetto con tutte le distinzioni e sottigliezze dei dottori.
Noi possiamo essere battezzati, cattolici, religiosi, ministri della chiesa, e venirci a trovare nella medesima tragica situazione dei giudei: ignorare Dio. È possibile parlare del Signore, comunicarlo ai nostri fratelli, e ciò nonostante, non conoscere esistenzialmente chi egli veramente sia per la nostra persona, per la nostra esistenza concreta.

Cercarono allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora - Alain Marchadour (Vangelo di Giovanni): La parola «ora», usata ventisei volte nel vangelo di Giovanni, indica il più delle volte un tempo particolarmente favorevole, nel quale si compie la salvezza. Durante la prima parte del vangelo quest’ora non è ancora arrivata. La madre di Gesù, volendo far intervenire suo figlio, si sente rispondere: «Non è ancora venuta la mia ora›› (2,4). L’arresto di Gesù è impossibile per la stessa ragione (7,30; 8,20).
Ripetute volte Gesù predice l’imminenza di un’ora a partire dalla quale tutto diventerà più chiaro (16,25). Il culto sarà spirituale (4,21-23), la vita preverrà sulla morte (5,25).
La suspense abilmente mantenuta cessa quando Gesù, davanti ai pagani che lo vogliono vedere, annuncia che è infine venuta l’ora (12,23). Entrato nella sua passione, Gesù proclama che l’ora della glorificazione è finalmente giunta (13,1; 17,1). Questa espressione esiste nei vangeli sinottici (Mc 14,35.41), ma solo Giovanni ha disseminato lungo tutto il suo vangelo riferimenti a un evento della storia, la crocifissione di Gesù. Questo tempo non dipende dalla cronologia; una volta arrivato, rimane sempre attuale e prolunga i suoi effetti in favore di tutti quelli che aderiscono alla parola.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  - Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato - (Vangelo)
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Padre, questo sacramento che segna per noi
il passaggio dall’antica alla nuova alleanza,
ci spogli dell’uomo vecchio e ci rivesta del Cristo
nella giustizia e nella santità.
Per Cristo nostro Signore.