23 Marzo 2020

Lunedì della Quarta Settimana di Quaresima

Is 65,17-21; Sal 29 (30); Gv 4,43-54

Colletta: O Dio, che rinnovi il mondo con i tuoi sacramenti, fa’ che la comunità dei tuoi figli si edifichi con questi segni misteriosi della tua presenza e non resti priva del tuo aiuto per la vita di ogni giorno. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea - Catechismo degli Adulti n. 189: I miracoli annunciano e inaugurano il regno di Dio. C’è chi si chiede se abbia ancora senso parlare di miracoli, se essi siano oggi di aiuto alla fede o piuttosto di ostacolo, in quanto estranei alla mentalità scientifica dell’uomo moderno. È essenziale coglierne il significato.
Nell’Antico Testamento gli eventi prodigiosi dell’esodo e in genere i miracoli compiuti da Dio e dai suoi inviati attestano la presenza salvifica del Signore nella storia del suo popolo. Nel Nuovo Testamento questi fatti straordinari sono chiamati «miracoli (opere potenti), prodigi e segni» (At 2,22): opere potenti, perché manifestano la potenza creatrice di Dio; prodigi, perché sono avvenimenti straordinari e inspiegabili, che destano l’ammirazione degli uomini; segni, perché nel contesto della predicazione evangelica trasmettono un preciso significato, la venuta del Regno. Dei tre termini il più adeguato è proprio l’ultimo.
I miracoli sono gesti con cui Dio ci parla. Si rivolgono sempre alle persone, o perché le riguardano direttamente, come le guarigioni di malati, o almeno perché recano loro qualche beneficio materiale e spirituale, come accade nella moltiplicazione dei pani e in altre trasformazioni della natura. E per costituire il segno, non conta solo il fatto straordinario, ma anche il modo e il contesto in cui avviene.

Dal Vangelo secondo Giovanni 4,43-54: In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

La fede del funzionario pagano - Henri van den Bussche (Giovanni): Un breve racconto ci riferisce la guarigione del figlio malato di un ufficiale regio (basilikos, meglio che basiliskos, che significherebbe piccolo re, come ha detto ha letto la Vulgata latina). La brevità del racconto è di buon augurio: quando Giovanni è costretto a dilungarsi, generalmente è per mettere in luce la cattiva volontà dei protagonisti. Credere è dopo tutto una cosa semplice: ci si arrende ai fatti senza esigere segni (2,18), senza porre condizioni, senza voler riportare tutto a spiegazioni naturali (3,4), senza cercare il sensazionale (2,23-25).
Questo ufficiale regio, probabilmente a servizio di Erode Antipa a Cafarnao, è con tutta probabilità un pagano. Non è detto nel testo, ma è sufficientemente implicito nella frase di Gesù citata dall’evangelista: Un profeta non riceve onore nella sua patria. Infatti non si vede perché l’evangelista avrebbe fatto questa citazione se non voleva sottolineare il contrasto tra il falso entusiasmo dei suoi connazionali e la vera fede dello straniero. Appunto in contrasto con la falsa fede dei galilei, che era soltanto ricerca del sensazionale, Giovanni cita il caso di uno straniero, di un pagano, e lo presenta come il tipo del credente.
Gesù mette subito questo credente alla prova in termini che equivalgono a questi: «Anche tu hai bisogno dei segni prima di credere!». Ma 1’uomo non mette condizioni né fa obiezioni. Sa solo due cose: che suo figlio è sul punto di morire e che Gesù lo può guarire. Quando Gesù lo congeda assicurandolo che suo figlio è vivo, non chiede nessuna garanzia, va. Questa è fede. Sulla via del ritorno, mentre scende la collina costeggiando il lago di Gennezaret, riceve la conferma di quello che ha creduto: il figlio è guarito. E credette, dice il testo, lui e tutta la sua casa. Matteo (8,5.13) e Luca (7,1.10) narrano un episodio analogo nel quale pure interviene un pagano di Cafarnao; anche i loro racconti mettono in rilievo la fede del pagano.
Si tratta dello stesso caso? C’è da dubitarne, perché i particolari son troppo diversi.
Secondo il racconto di Giovanni, il miracolo ha luogo a Cana: 1’evangelista sottolinea ben due volte la ubicazione come per stabilire un rapporto tra questo miracolo e il primo operato nella stessa borgata. È questa una «inclusione » semitica, inquadratura letteraria di una sezione del testo.
Qui termina la sezione consacrata alla rivelazione del Messia sia attraverso i segni. I capitoli che seguono descriveranno una nuova fase, che riguarderà soprattutto le «opere»; mediante le opere Gesù si manifesterà Figlio dell’Uomo, l’Inviato (escatologico) del Padre.
Tale funzione, nell’interpretazione giovannea, rivela che Gesù ha la dignità di Figlio (di Dio) ed è di origine divina. I miracoli saranno spiegati in lunghi discorsi e saranno presentati come opere stesse di Dio in Gesù.

Gesù dinanzi alla malattia - J. Giblet e P. Grelot: 1. Durante il suo ministero, Gesù trova ammalati sulla sua strada. Senza interpretare la malattia in una prospettiva di retribuzione troppo stretta (cfr. Gv 9,2 s), egli vede in essa un male di cui soffrono gli uomini, una conseguenza del peccato, un segno del potere di Satana sugli uomini (Lc 13,16). Ne prova pietà (Mt 20,34), e questa pietà guida la sua azione. Senza soffermarsi a distinguere ciò che è malattia naturale da ciò che è possessione diabolica, «egli scaccia gli spiriti e guarisce coloro Che sono ammalati» (Mt 8,6 par.). Le due cose vanno di pari passo. Manifestano entrambe la sua potenza (cfr. Lc 6,19) ed hanno infine lo stesso senso: significano il trionfo di Gesù su Satana e la instaurazione del regno di Dio in terra, conformemente alle Scritture (cfr. Mt 11,5 par.). Non già che la malattia debba ormai sparire dal mondo, ma la forza divina che infine la vincerà è fin d’ora in azione quaggiù. Perciò, dinanzi a tutti
gli ammalati che gli esprimono la loro fiducia (Mc 1,40; Mc 8,2-6 par.), Gesù non manifesta che una esigenza: credere, perché tutto è possibile alla fede (Mt 9,28; Mc 5,36 par.; 9,23). La loro fede in lui implica la fede nel regno di Dio, ed è questa fede a salvarli (Mt 9,22 par.; 15,28; Mc 10,52 par.).
2. I miracoli di guarigione sono quindi in qualche misura un’anticipazione dello stato di perfezione che l’umanità ritroverà infine nel regno di Dio, conformemente alle profezie. Ma hanno pure un significato simbolico relativo al tempo attuale. La malattia è un simbolo della stato in cui si trova l’uomo peccatore: spiritualmente, egli è cieco, sordo, paralitico... Quindi la guarigione del malato è anche un simbolo: rappresenta la guarigione spirituale che Gesù viene ad operare negli uomini. Egli rimette i peccati del paralitico e, per dimostrare che ne ha il potere, lo guarisce (Mc 2,1-12 par.). Questa portata dei miracoli-segni è messa in rilievo soprattutto nel quarto vangelo: la guarigione del paralitico di Bezatha significa l’opera di vivificazione compiuta da Gesù (Gv 5,1-9.19-26), e quella del Cieco nato fa vedere in lui la luce del mondo (Gv 9). I gesti che Gesù compie sugli ammalati preludono così ai sacramenti cristiani. Egli infatti è venuto quaggiù come il medico dei peccatori (Mc 2,17 par.), un medico che, per togliere le infermità e le malattie, le prende su di sé (Mt 8,17 = Is 53,4). Tale sarà di fatto il senso della sua passione: Gesù parteciperà alla condizione dell’umanità sofferente, per poter trionfare infine dei suoi mali.

… e credette lui con tutta la sua famiglia: J. Duplacy: La fede della Chiesa -  1. La fede pasquale. - Questo passo fu compiuto quando i discepoli, dopo molte esitazioni in occasione delle apparizioni di Gesù (Mt 28,17; Mc 16,11-14; Lc 24,11), credettero alla sua risurrezione. Testimoni di tutto ciò che Gesù ha detto e fatto (Atti 10, 39), essi lo proclamano «Signore e Cristo», nel quale sono compiute invisibilmente le promesse (2,33-36). Ora la loro fede è capace di giungere «fino al sangue» (cfr. Ebr 12,4). Essi chiamano i loro uditori a condividerla per beneficiare della promessa ottenendo la remissione dei loro peccati (Atti 2,38s; 10,43). La fede della Chiesa è nata.
2. La fede nella parola. - Credere significa innanzitutto accogliere questa predicazione dei testimoni, il vangelo (Atti 15,7; 1Cor 15,2), la parola (Atti 2,41; Rom 10,17; 1Piet 2,8), confessando Gesù come Signore (1Cor 12,3; Rom 10,9; cfr. 1Gv 2,22). Questo messaggio iniziale, trasmesso come una tradizione (1Cor 15,1-3), potrà arricchirsi e precisarsi in un insegnamento (1Tim 4,6; 2Tim 4,1-5): questa parola umana sarà sempre, per la fede, la parola stessa di Dio (1Tess 2,13). Riceverla, vuol dire per il pagano abbandonare gli idoli e rivolgersi al Dio vivo e vero (Ts 1,8ss), significa per tutti riconoscere che il Signore Gesù porta a compimento il disegno di Dio (Atti 5,14; 13, 27- 37; cfr. 1Gv 2,24). Significa, ricevendo il battesimo, confessare il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo (Mt 28,19). Questa fede, come constaterà Paolo, apre all’intelligenza «i tesori di sapienza e di scienza» che sono in Cristo (Col 2,3): la sapienza stessa di Dio rivelata dallo Spirito (1Cor 2), così diversa dalla sapienza umana (1Cor 1,17-31; cfr. Giac 2,1-5; 3,13-18; cfr. Is 29,14) e la conoscenza di Cristo e del suo amore (Fil 3,8; Ef 3,19; cfr. 1Gv 3,16).
3. La fede e la vita del battezzato. - Condotto dalla fede sino al battesimo e alla imposizione delle mani che lo fanno entrare pienamente nella Chiesa, colui che ha creduto nella parola partecipa all’insegnamento, allo spirito, alla «liturgia» di questa Chiesa (Atti 2,41-46). In essa infatti Dio realizza il suo disegno operando la salvezza di coloro che credono (2,47; 1Cor 1,18): la fede si manifesta nell’obbedienza a questo disegno (Atti 6,7; 2 Tess 1,8). Si dispiega nell’attività (1Tess 1,3; Giac 1,21s) di una vita morale fedele alla legge di Cristo (Gal 6,2; Rom 8,2; Giac 1,25; 2,12); agisce per mezzo dell’amore fraterno (Gal 5,6; Giac 2,14-26). Si conserva in una fedeltà capace di affrontare la morte sull’esempio di Gesù (Ebr 12; Atti 7,55-60), in una fiducia assoluta in colui «nel quale ha creduto» (2Tm 1,12; 4,17s). Fede nella parola, obbedienza nella fiducia, questa è la fede della Chiesa, che separa coloro i quali si perdono - l’eretico, per esempio (Tito 3,10) - da coloro che sono salvati (2Tess 1,3-10; 1Piet 2,7s; Mc 16,16). 

Siamo arrivati al terminePossiamo mettere in evidenza:
*** «Va’, tuo figlio vive» (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, nostro Padre,
questo tuo sacramento
rinnovi e santifichi la nostra vita
e ci renda degni di possedere l’eredità eterna.
Per Cristo nostro Signore.