22 Marzo 2020

Quarta Domenica di Quaresima

 1Sam 16,1b.4.6-7.10-13; Sal 22; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41

Colletta: O Dio, Padre della luce, tu vedi le profondità del nostro cuore: non permettere che ci domini il potere delle tenebre, ma apri i nostri cuori con la grazia del tuo Spirito, perché vediamo colui che hai mandato sa illuminare il mondo,e crediamo in lui solo, Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Egli è Dio, e vive .... 

I lettura: La scelta del giovane Davide, «fulvo, con begli occhi e bello di aspetto», comprova la logica di Dio, il quale sceglie «quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27). Davide è «“il più piccolo”, tanto piccolo da non avere diritti, come non ne avevano in Israele le donne e i bambini; e tuttavia egli viene preferito da Dio ai suoi sette fratelli, robusti e di statura imponente. “Dio guarda il cuore dell’uomo”, cioè l’intimo dell’uomo. Ora l’intimo di un fanciullo è aperto, è disponibile, si affida e si lascia fare: perciò “lo Spirito di Dio” lo può ricolmare della sua forza e dei suoi doni» (V. Mannucci).

Salmo: «Ecco che un pastore somigliante a Mosè // ha lavato le macchie dell’anima // e ha segnato col suo olio // gli agnelli del regno dei cieli. // Le pecore gioiscono, vedendo avvicinarsi // la mano di colui che battezza. // Entrate, pecore, ricevete il vostro sigillo, // unitevi al gregge» (Sant’Efrem, Hymni, Lamy 1, 52-55).

II Lettura: Per l’apostolo Paolo essere discepoli di Cristo significa essere figli della luce, camminare nella luce ed essere luce del mondo. Tutto questo impegno spinge il discepolo a portare un abbondanti «frutti della luce» che «consiste in ogni bontà, giustizia e verità». Per vivere questo vertiginoso programma di vita, il credente si impegna a non partecipare alle opere infruttuose delle tenebre e a condannarle apertamente. Nei versetti 10-13 abbiamo anche un esemplare monito alla correzione fraterna: parlare con compiacenza delle opere turpi dei pagani è cosa cattiva, ma lasciarle nella loro oscurità sospetta per far calare su di esse un silenzio omertoso è ancora più disdicevole; parlarne, invece, per correggerle, mettendole cosi allo scoperto, è un’opera buona; una luce siffatta caccerà le tenebre, poiché è quella del Cristo. 

Vangelo: Giovanni, il discepolo che Gesù amava (cfr. Gv 13,23; 19,26.19,27.35; 20,2; 21,7.21,24), nel raccontare la prodigiosa guarigione del cieco nato, fa seguire ai protagonisti del racconto due percorsi, inversi e opposti. Il primo percorso è la progressiva illuminazione del cieco, più interiore che fisica, che sbocca nella fede: «Credo, Signore!»; il secondo percorso è il progressivo accecamento dei Farisei che sfocia nell’indurimento, sigillato dalla condanna: «Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane». I farisei, ottusi nemici di Gesù, chiudono ostinatamente gli occhi alla luce e li aprono all’odio, che con il passare del tempo diventerà insanabile. Seguendo la progressiva illuminazione sul mistero del Cristo del cieco nato, si può comprendere come il racconto sia stato letto dalla Tradizione della Chiesa in chiave battesimale: «Gesù manda il cieco alla piscina, denominata Siloe, perché si lavi e venga illuminato, cioè, perché sia battezzato e riceva nel Battesimo la piena illuminazione» (San Tommaso).

Lumen fidei n.1: La luce della fede: con quest’espressione, la tradizione della Chiesa ha indicato il grande dono portato da Gesù, il quale, nel Vangelo di Giovanni, così si presenta: « Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre » (Gv 12,46). Anche san Paolo si esprime in questi termini: «E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulge nei nostri cuori» (2 Cor 4,6). Nel mondo pagano, affamato di luce, si era sviluppato il culto al dio Sole, Sol invictus, invocato nel suo sorgere. Anche se il sole rinasceva ogni giorno, si capiva bene che era incapace di irradiare la sua luce sull’intera esistenza dell’uomo. Il sole, infatti, non illumina tutto il reale, il suo raggio è incapace di arrivare fino all’ombra della morte, là dove l’occhio umano si chiude alla sua luce. «Per la sua fede nel sole - afferma san Giustino Martire - non si è mai visto nessuno pronto a morire». Consapevoli dell’orizzonte grande che la fede apriva loro, i cristiani chiamarono Cristo il vero sole, «i cui raggi donano la vita». A Marta, che piange per la morte del fratello Lazzaro, Gesù dice: «Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?» (Gv 11,40). Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta.

Forma breve - Dal Vangelo secondo Giovanni  9, 1.6-9.13-17.34-38: In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita; sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva. Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, perché era un mendicante, dicevano: «Non è lui quello che stava seduto a chiedere l’elemosina?». Alcuni dicevano: «È lui»; altri dicevano: «No, ma è uno che gli assomiglia». Ed egli diceva: «Sono io!».
Condussero dai farisei quello che era stato cieco: era un sabato, il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi. Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come aveva acquistato la vista. Ed egli disse loro: «Mi ha messo del fango sugli occhi, mi sono lavato e ci vedo». Allora alcuni dei farisei dicevano: «Quest’uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato». Altri invece dicevano: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?». E c’era dissenso tra loro. Allora dissero di nuovo al cieco: «Tu, che cosa dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?». Egli rispose: «È un profeta!». Gli replicarono: «Sei nato tutto nei peccati e insegni a noi?». E lo cacciarono fuori.
Gesù seppe che l’avevano cacciato fuori; quando lo trovò, gli disse: «Tu, credi nel Figlio dell’uomo?». Egli rispose: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». Gli disse Gesù: «Lo hai visto: è colui che parla con te». Ed egli disse: «Credo, Signore!». E si prostrò dinanzi a lui.

Va’ a lavarti nella piscina di Siloe - Tutto il racconto evangelico si snoda attorno alla affermazione di Gesù: «Io sono la luce del mondo». Di fronte a «Gesù-Luce si disegnano due movimenti opposti: un cieco passa dalle tenebre alla luce; i giudei che presumevano di vedere sono condannati alle tenebre. Da una parte c’è dunque un cammino di fede [venire alla luce qui significa giungere alla fede], dall’altra c’è un indurimento del proprio cuore e quindi una cecità spirituale di fronte al mistero di Gesù» (Antonio Bonora).
Leggendo così il brano, si evince che tutto il racconto assume un significato simbolico: mentre l’uomo viene guarito da una tenebra spirituale, ben più profonda che quella fisica, i suoi avversari precipitano nel buio dell’insipienza che non permetterà loro di vedere in eterno il volto di Dio («Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane» Gv 9,41; Cf. Mt 12,31-32).
Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita, è Dio a prendere l’iniziativa: «Non dobbiamo meravigliarci se Dio compie un miracolo [...]. Ma, poiché [il cieco nato] non aveva ancora sani gli occhi del cuore per riconoscere Dio nascosto, il Signore compì opere che potevano essere vedute, per sanare quegli altri occhi che non erano capaci di vederlo» (Sant’Agostino).
Gesù impasta la terra con la saliva perché si pensava che avesse proprietà terapeutiche.
Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe: L’invito a lavarsi è forse una prova di fede e potrebbe richiamare il racconto della guarigione del lebbroso Naaman inviato dal profeta Eliseo a bagnarsi nel Giordano per ritrovare la sanità del corpo (Cf. 2Re 5,10-14). La piscina di Siloe a motivo del suo nome, siloam dall’ebraico siloah (inviata), sta ad indicare simbolicamente Gesù, inviato dal Padre (Cf. Gv 4,34): dalla piscina di Siloe «vi si attingeva l’acqua, simbolo delle benedizioni messianiche, durante la festa delle capanne. Le benedizioni vengono ormai tramite Gesù» (Bibbia di Gerusalemme).
... e tornò che ci vedeva. La guarigione è fonte di dissensi. I vicini dubitano di tutto, anche dell’identità del miracolato; i farisei, invece, reagiscono furiosamente minacciando anche di scomunicare l’uomo guarito miracolosamente. Quest’ultimi, in verità, più che sul miracolo discutono su Gesù, rifiutando di ritenerlo venire da Dio. La riprovazione nasce dal fatto che Gesù, per impastare il fango con la saliva, aveva violato il sabato che esigeva l’astensione da ogni lavoro manuale. Per i rigidi tutori della legge era buon appiglio per escludere l’origine divina di Gesù.
Mentre i farisei si arroccano nei loro pregiudizi, il cieco percorre un cammino interiore di illuminazione che lo porterà ad emettere un esplicito atto di fede in Gesù, Figlio dell’uomo.
Sei nato tutto nei peccati, per la mentalità giudaica la cecità era una dimostrazione lampante dei peccati del povero mendicante. I farisei anziché cercare un confronto replicano insultando il cieco. Una tattica loro abituale, così faranno con Gesù e anche con Nicodemo, «un capo dei Giudei» (Cf. Gv 3,4; 7,50-52; 8,48).
Sui passi dell’uomo si muove ancora Dio: è Gesù che va alla ricerca del mendicante. Più che incontratolo il verbo (heurisko) letteralmente significa trovatolo. In «senso figurato, il verbo richiama la Sapienza che va in cerca di quanti sono degni di lei e li trova [Sap 6,16]» (Il Nuovo Testamento, Vangeli e Atti degli Apostoli, Ed. Paoline). Il mendicante scopre progressivamente chi è Gesù: dapprima dice che è un uomo chiamato Gesù, poi lo definisce un profeta, poi un inviato e infine emette una completa professione di fede: «Credo, Signore». I farisei invece compiono un cammino inverso. Chiudendosi sempre più nella loro arroganza e opponendosi a Gesù e alla evidenza del segno approdano ad una infelice conclusione: Gesù è un impostore, il cieco nato un bestemmiatore.
C’è qui raccontato tutto il dramma dell’umanità che dinanzi a Gesù-Luce è obbligata a dare una risposta: o accoglierlo ed entrare nella luce o rifiutarlo e restare nelle tenebre dei peccati.

Antonio Ambrosiano: Vediamo eppure siamo ciechi. Perché siamo nel peccato e non crediamo. Siamo ancora tenebra, mentre è «venuta «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9).
Il «cieco nato» non è nel peccato, né lui né i suoi genitori, afferma perentoriamente Gesù contro quelli che lo ritenevano «nato tutto nei peccati» (v. 34); a lui Gesù ha donato la vista perché «in lui si manifestassero le opere di Dio›› (v. 3). Al contrario, ai farisei presuntuosi, che dicono con ostentazione: «noi vediamo», Gesù rivolge la sua condanna: «il vostro peccato rimane» (v. 41). Si compie «infatti il giudizio di Gesù. Egli è venuto in questo mondo «perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi» (v. 39).
«Vedere», dunque, è un altro termine giovanneo dal doppio significato: l’uno, fisico (il cieco «andò si lavò e tornò che ci vedeva», v. 7); l’altro, spirituale (i farisei che dicono di vedere «diventano ciechi» e rimangono nel peccato, v. 41). Comunque, ricorre quasi di continuo nel IV vangelo una stretta correlazione tra il «vedere» e il «credere», tra la luce e la fede. Anzi, la parola «luce»phōs») è una parola chiave nel vangelo di Giovanni, come quella della «vita»zoê»). Gesù dice a Tommaso: «Perché mi hai veduto, hai creduto», ma poi aggiunge: «Beati quelli che pur non avendo visto crederanno» (Gv 20,29). Difatti ciò che conta è «credere», perché «credendo» si ha la vita nel suo «nome» (v. 31).
Ora è necessario esaminare la nostra cecità sul piano della fede. S. AGOSTINO dice: «O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede... Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da Gesù». E s. Giovanni avverte «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 1,8).
Occorre dunque riconoscere il nostro peccato, quel peccato che fa il buio dentro di noi, il peccato della superbia farisaica che ci acceca privandoci della luce interiore e beatissima dello Spirito.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:

*** «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1Gv 1,8).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che illumini ogni uomo che viene in questo mondo,
fa’ risplendere su di noi la luce del tuo volto,
perché i nostri pensieri siano sempre conformi alla tua sapienza
e possiamo amarti con cuore sincero.
Per Cristo nostro Signore.