21 Marzo 2020

Sabato della Terza Settimana di Quaresima

Os 6,1-6; Sal 50 (51); Lc 18,9-14

Colletta: O Dio, nostro Padre, che nella celebrazione della Quaresima ci fai pregustare la gioia della Pasqua, donaci di approfondire e vivere i misteri della redenzione per godere la pienezza dei suoi frutti. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Veritatis splendor nn. 104-105: Dobbiamo … raccogliere il messaggio che ci viene dalla parabola evangelica del fariseo e del pubblicano (Cfr. Lc 18,9-14). Il pubblicano poteva forse avere qualche giustificazione per i peccati commessi, tale da diminuire la sua responsabilità. Non è pero su queste giustificazioni che si sofferma la sua preghiera, ma sulla propria indegnità davanti all’infinita santità di Dio: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13). Il fariseo, invece, si è giustificato da solo, trovando forse per ognuna delle sue mancanze una scusa. Siamo così messi a confronto con due diversi atteggiamenti della coscienza morale dell’uomo di tutti i tempi. Il pubblicano ci presenta una coscienza “penitente”, che è pienamente consapevole della fragilità della propria natura e che vede nelle proprie mancanze, quali che ne siano le giustificazioni soggettive, una conferma del proprio essere bisognoso di redenzione. Il fariseo ci presenta una coscienza “soddisfatta di se stessa”, che si illude di poter osservare la legge senza l’aiuto della grazia ed è convinta di non aver bisogno della misericordia.
A tutti è chiesta grande vigilanza per non lasciarsi contagiare dall’atteggiamento farisaico, che pretende di eliminare la coscienza del proprio limite e del proprio peccato, e che oggi si esprime in particolare nel tentativo di adattare la norma morale alle proprie capacità e ai propri interessi e persino nel rifiuto del concetto stesso di norma. Al contrario, accettare la “sproporzione” tra la legge e la capacità umana, ossia la capacità delle sole forze morali dell’uomo lasciato a se stesso, accende il desiderio della grazia e predispone a riceverla. “Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte?”, si domanda l’apostolo Paolo. E con una confessione gioiosa e riconoscente risponde: “Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore!” (Rm 7,24-25).

Dal Vangelo secondo Luca 18,9-14: In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».

Raccontando la parabola del fariseo e del pubblicano Gesù insegna il modo corretto di pregare. Chi non si riconosce peccatore, bisognoso della misericordia di Dio, non può ricevere il perdono: Io vi dico: il pubblicano, a differenza del fariseo, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato.
Il messaggio della parabola è evidente: Dio ama gli umili, i piccoli, e non è prevenuto nei confronti dei peccatori quando c’è la buona volontà di emendarsi, e in verità non vuole la loro morte ma che si convertano e vivano. È sottolineato anche che il giudizio di Dio non dipende tanto dalle prestazioni dell’uomo, della esatta e scrupolosa osservanza della Legge, bensì della grazia divina. Ma è bene ricorda che vi sono opere che avranno il loro peso nel giorno del giudizio, sono le opere amorose rivolte a beneficio dei poveri, degli indigenti: avevo fame … avevo sete … era ammalato … ero in carcere. A conclusione si può anche ricavare una intenzione parenetica in quanto l’evangelista Luca pone al centro dell’interesse il comportamento morale del fariseo e del pubblicano. Un invito, dunque, a convertirsi.

La preghiera di Gesù - Enzo Bianchi: Il Nuovo Testamento, mostrando Gesù Cristo quale rivelatore definitivo del Padre, Parola di Dio fatta carne, alleanza nuova ed eterna, Figlio unigenito, fa di lui il mediatore della preghiera cristiana, che ormai avviene per Cristo, con Cristo e in Cristo e si rivolge nello Spirito Santo al Padre. “Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”, dice Gesù nel Vangelo di Giovanni (14,6).
La preghiera neotestamentaria non differisce certo da quella veterotestamentaria quanto al movimenti e alla forme espressive, ma per il primato cristocentrico a cui essa è sottomessa: nella fede, nell’adesione personale a Gesù, il Figlio di Dio, i battezzati, mossi dallo Spirito del Figlio, si uniscono alla sua preghiera e invocano “Abbà! Padre!” (Rm 8,15: Gal 4,6). E poiché la preghiera di Gesù è espressione della sua particolarissima relazione di filialità col Padre, la preghiera dei cristiani esprime il loro ingresso e il loro permanere in tale relazione attraverso la fede nel Figlio. Tale relazione di filialità è vissuta da Gesù attraverso e all’interno delle modalità di preghiera tipiche dell’ambiente spirituale e liturgico giudaico del tempo. Gesù frequeutava la sinagoga, si recava a1 Tempio di Gerusalemme in occasione delle feste principali del calendario liturgico, recitava quotidianamente lo Shema Isra’el (preghiera e confessione di fede al tempo stesso, composta dai seguenti testi biblici Dt 6,4-9; 11,13-21; Nm 15,37-41), conosceva la Tefillà (“Preghiera” era la preghiera principale recitata a ogni ufficio liturgico); pronunciava berakot (benedizioni; cfr Mt 11,25-27). La sua preghiera era retta dalla fiducia nel Dio che ascolta la preghiera (Gv 11,41-42), era finalizzata al fare la volontà del Padre (lc 22,42; Gv 12,28); era audace nel chiedere, nel domandare, mossa cioè dalla confidenza di un figlio verso il padre (Mt 7,7-11).
ll suo insegnamento sulla preghiera avviene anzitutto con l’esempio, con i suoi frequenti ritiri, nella solitudine per pregare (cfr. Mt 14,23; Mc 1,35; 6,46; Lc 5,16) e poi con ammaestramenti che svelano anzitutto come non pregare: non come gli ipocriti, per essere visti e lodati dagli uomini (Mt 6,5-6), non moltiplicando le parole (Mt 6,7). Positivamente invece, occorre pregare con perseveranza (Lc 11,5-13; 18,1), con fiducia nell’esaudimento (Mt 21,21-22), con grande fede nella bontà del Padre a cui ci si rivolge (Mt 7,11), con umiltà, riconoscendo il proprio peceato (Lc 18,9-13), con vigilanza, attendendo la venuta del Signore (Lc 21,36), chiedendo soprattutto il dono grande dello Spirito Santo (Lc 11,13); occorre pregare nel nome del Signore (Gv 14,13), avendo chiaro che fine della preghiera è che noi facciamo la volontà del Padre, non il contrario (Mt 6,10; Lc 22,42); occorre pregare con autenticità, cercando e operando la riconciliazione con il fratello (Mt 5,23-24), mettendo in pratica il perdono (Mt 6,12), accordandosi tra fratelli (Mt 18,19-20). Ma il culmine dell’insegnamento di Gesù circa la preghiera lo si ha nel Padre nostro, consegnatoci in due redazioni, differenti dai Vangeli di Matteo (6,9-13) di Luca (11,2-4). Il Padre nostro non è tanto una formula, quanto un canovaccio, il programma di una relazione in cui immettersi. E in cui il cristiano si immette l’ascolto della Parola di Dio.

Alois Stöger (Vangelo secondo Luca): Chi è giusto secondo il giudizio di Dio? Il fariseo é scrupolosamente preciso nell’osservanza dei molti e difficili precetti della legge; è un collaborazionista che opera con i nemici del popolo ebreo e un truffatore! Gesù conosce il giudizio dei suoi uditori e vi mette a fronte l proprio giudizio sorprendente, strabiliante e inaudito: Io però vi dico. Il pubblicano è dichiarato giusto da Dio, e torna a casa sua giustificato.
E il fariseo? Il pubblicano torna a casa giustificato, a differenza dell’altro. Viene con ciò messa a confronto la giustizia del fariseo con quella del pubblicano, e la giustizia di questo posta al di sopra della giustizia di quello? Oppure Gesù penetra le cose ancor più profondamente? Nega egli al fariseo in genere la giustizia medesima che invece ascrive al pubblicano? Già il primo giudizio sarebbe scandaloso abbastanza; significherebbe infatti che Dio trova maggior compiacenza nel peccatore pentito che non nel giusto coi suoi numerosi meriti e la sua autosicurezza. Che dire poi se egli negasse addirittura d’assegnare la giustizia al fariseo? Un simile giudizio apparirebbe spaventoso. A che servirebbero in tal caso le prestazioni? Eppure il Cristo intendeva dire proprio questo. «Ciò che per gli uomini è sublime, per Dio è un’abominazione » (16,15). L’uomo non ottiene la
giustificazione per le sue prestazioni, ma per un dono di Dio. Il dono del regno di Dio soddisfa la fame e la sete di giustizia (cf. Mt. 5,3). Come appare dunque fragile la giustizia e la santità umana (cf. Mt. 5,20), se Dio non prende l’iniziativa e non interviene egli stesso a offrire la giustificazione! Chi comprende bene questo fatto, non potrà più disprezzare gli altri.
Un detto espresso lungo il viaggio, e che affiora qua e là nel Vangelo, spiega la parabola del fariseo e del pubblicano al tempio (14,11; cf. Mt. 23,12). L’uomo che pone in sé la sua fiducia, innalza se stesso; ma la sentenza del Cristo, che anticipa la sentenza definitiva di Dio, lo abbassa. Chi invece abbassa se stesso riconoscendo la propria insufficienza e collocandosi tra gli altri come uno di loro, viene innalzato dal giudizio di Gesù. Dio stesso lo giustificherà, quando si compirà il giudizio finale.

Giovanni Paolo II (Omelia 11 Febbraio 1984): Solo chi “teme” il Signore, può sentirlo non come un Dio che castiga, ma un Dio col quale sentirsi in piena confidenza. Il vero “timore” di Dio, infatti, suppone la coscienza del proprio stato di miseria, e proprio per questo, sapendo che Dio ha “cuore” per i miseri, confida nella sua misericordia.
Chi non teme Dio, non si sente misero e quindi neppure bisognoso di compassione.
Ma quale miseria il timore di Dio ci fa scoprire? Quella del corpo, certamente, ma soprattutto quella dell’anima. Il timor di Dio ci rende sommamente diligenti nella cura della nostra anima, pronti a scovare e a eliminare anche le piccole imperfezioni, perché ci fa sentire l’impellenza del comando evangelico di essere santi e perfetti.
Oggi molti sentono il bisogno di sperimentare un Dio dolce e paterno, e non severo e punitore. Ma la sorgente autentica di tale esperienza non sta certamente nell’atteggiamento farisaico di chi “si sente giusto” per conto suo, ma, ben al contrario, in quello del pubblicano della parabola di Luca (Lc 18,10ss): vale a dire nel riconoscersi peccatori, nel pentimento e nel proposito di compiere degne opere di penitenza e di riparazione. In ciò sta innanzitutto la vera “giustizia” e questo è l’atteggiamento che allontana l’ira divina, facendoci sperimentare l’infinita dolcezza del Padre celeste.
La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l’amore divino offeso mediante un’opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo. Il valore dell’indulgenza trae proprio da questo principio - come sapete - la sua ragion d’essere. Il peccato è stato perdonato, ma resta pur sempre una pena da scontare: e l’indulgenza ci aiuta appunto in questo. Essa pero non è il solo aiuto, ma esiste anche un altro mezzo necessario ed efficacissimo per riparare i nostri peccati: il compimento delle opere di misericordia, secondo il chiarissimo insegnamento del Vangelo: noi potremo ottenere misericordia nella misura in cui avremo donato misericordia.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “La misericordia di Dio, mediante il perdono, cancella il peccato, ma non toglie la necessità di compensare l’amore divino offeso mediante un’opera espiatrice fondata sulla carità e sul valore infinito dei meriti di Cristo” (Giovanni Paolo II).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Signore, il pane del cielo
che ci doni con tanta larghezza,
susciti in noi sincera devozione e coerenza di vita.
Per Cristo nostro Signore.