18 Marzo 2020

Mercoledì III Settimana di Quaresima

Dt 4,1.5-9; Sal 147; Mt 5,17-19 

Colletta: Signore Dio nostro, fa’ che i tuoi fedeli, formati nell’impegno delle buone opere e nell’ascolto della tua parola, ti servano con generosa dedizione liberi da ogni egoismo, e nella comune preghiera a te, nostro Padre, si riconoscano fratelli. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti: Dei Verbum 15-16: L’economia del Vecchio Testamento era soprattutto ordinata a preparare, ad annunziare profeticamente (cfr. Lc 24,44; Gv 5,39; 1Pt 1,10) e a significare con diverse figure (cfr. 1Cor 10,11) l’avvento di Cristo redentore dell’universo e del regno messianico. I libri poi del Vecchio Testamento, tenuto conto della condizione del genere umano prima dei tempi della salvezza instaurata da Cristo, manifestano a tutti chi è Dio e chi è l’uomo e il modo con cui Dio giusto e misericordioso agisce con gli uomini. Questi libri, sebbene contengano cose imperfette e caduche, dimostrano tuttavia una vera pedagogia divina. Quindi i cristiani devono ricevere con devozione questi libri: in essi si esprime un vivo senso di Dio; in essi sono racchiusi sublimi insegnamenti su Dio, una sapienza salutare per la vita dell’uomo e mirabili tesori di preghiere; in essi infine è nascosto il mistero della nostra salvezza. Dio dunque, il quale ha ispirato i libri dell’uno e dell’altro Testamento e ne è l’autore, ha sapientemente disposto che il Nuovo fosse nascosto nel Vecchio e il Vecchio fosse svelato nel Nuovo. Poiché, anche se Cristo ha fondato la Nuova Alleanza nel sangue suo (cfr. Lc 22,20; 1Cor 11,25), tuttavia i libri del Vecchio Testamento, integralmente assunti nella predicazione evangelica, acquistano e manifestano il loro pieno significato nel Nuovo Testamento (cfr. Mt 5,17; Lc 24,27), che essi a loro volta illuminano e spiegano.

Il Vangelo oltre a mettere in risalto il valore perenne dell’Antico Testamento, insegna il valore della dottrina di Gesù, la nuova Legge, che porta  a compimento la Legge antica. Ma possiamo domandarci in che senso Gesù dà pieno compimento alla Legge e ai Profeti? Al di là delle tante risposte, si può rispondere facendo ricorso al comandamento dell’amore dal quale tutti gli altri comandamenti traggono il loro significato e la loro forza: «Allora i farisei, avendo udito che egli [Gesù] aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme e uno di loro, un dottore della Legge, lo interrogò per metterlo alla prova: “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”. Gli rispose: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il grande e primo comandamento. Il secondo poi è simile a quello: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”» (Mt 22,34-40). Se non si fa ricorso a questa soluzione si corre il rischio di scivolare in una casistica nella quale il credente si troverebbe a vivere una fede asfittica, lontana dalle vere esigenze evangeliche. Solo l’amore permette al discepolo di Gesù che la sua giustizia superi quella degli scribi e dei farisei: unica condizione per entrare nel regno dei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo 5,17-19: In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli».

Gesù si presenta come il nuovo legislatore e proclama una legge superiore a quella mosaica. Ma la sua autorità nell’insegnare rivela che «in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di una gloria tanto maggiore quanto l’onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa. Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio. In verità Mosè fu degno di fede in tutta la sua casa come servitore, per dare testimonianza di ciò che doveva essere annunciato più tardi. Cristo, invece, lo fu come figlio, posto sopra la sua casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo» (Eb 3,4-6). In questa luce possiamo comprendere questa affermazione di Gesù: «Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli». Poiché egli parla con autorità e come divino autore della Legge, sempre antica e sempre nuova, il suo Vangelo non può essere accettato in parte o respinto in parte: o si accetta o si respinge in blocco.

Gesù non è venuto per abolire la Legge o i Profeti ... ma per compiere - Angelico Poppi (I Quattro Vangeli, Commento Sinottico): L’espressione «Non crediate che (io) sia venuto» ricorre con formule affini altrove (Mt 9,13; 10,34-35; 20,28) e sembra premunire il lettore con un tono polemico da una falsa interpretazione delle sei antitesi seguenti (Cf. Gnilka, I, p. 218). Benché Gesù non si sia attenuto alle prescrizioni halakiche dei rabbini, non ha invalidato la Legge mosaica. Al contrario, con il suo insegnamento l’ha portata a compimento,  cioè  alla perfezione, unificandola nel precetto fondamentale dell’amore di Dio e del prossimo, che ne costituisce il cuore, il comandamento principale.
L’espressione «la Legge o i Profeti» (derivata dall’uso sinagogale, che non prevedeva la lettura liturgica dei Ketubin, cioè dei libri sapienziali) indica l’intero Antico Testamento.
Infatti, mentre la Legge (Toràh) designa il Pentateuco, i Profeti includono in senso generico tutti gli altri libri, che erano considerati come una interpretazione della Legge.
Abolire (katalysat) in senso dottrinale significa dichiarare nullo un precetto. Compiere non ha un senso puramente normativo ma assume in Matteo una valenza più pregnante.
Con il verbo pleróo l’evangelista si riferisce una decina di volte all’adempimento delle profezie dell’Antico Testamento.
Gesù non è venuto soltanto a perfezionare la Legge mosaica, ma a portarla a compimento nelle sue potenzialità nascoste e nel suo valore di rivelazione profetica.
Come è suggerito anche in Mt 11,13, tutto l’Antico Testamento converge verso Cristo, che lo attua piena­mente, rendendo presente il regno di Dio. Gesù non fa altro che sviluppare il senso profondo della Legge, rap­portandola al comandamento essenziale dell’amore, il centro focale del discorso della montagna. Mediante la proclamazione e la realizzazione del regno, Gesù provoca la conversione del cuore e l’irradiazione della bontà salvifica di Dio nel mondo, che consente all’essere umano il pieno adempimento delle esigenze più autentiche della Legge. Ecco perché non solo completa la Legge, ma la «compie».
I singoli precetti dell’Antico Testamento conservano il loro valore, ma solo in quanto sono rapportabili alla legge dell’amore.
La Scrittura per Matteo rappresenta un’anticipazione del progetto salvifico di Dio, che il suo Inviato definitivo avrebbe «compiuto» in adesione totale al volere del Padre.

Gesù e la legge – Il problema nel cristianesimo primitivo - P. Grelot: 1. Gesù non aveva condannato la pratica della legge giudaica; vi si era persino conformato per l’essenziale, sia che si trattasse dell’imposta del tempio (Mt 17,24-27) oppure della legge della Pasqua (Mc 14,12 ss). Tale fu pure dapprima l’atteggiamento della comunità apostolica, assidua al tempio (Atti 2,46), della quale le folle giudaiche «celebravano le lodi» (5,13). Pur usando di talune libertà che l’esempio di Gesù autorizzava (9,43), vi si osservavano le prescrizioni legali, si assumevano persino pratiche di pietà supererogatorie ( 18,18; 21,23s), e non mancavano tra i fedeli dei fautori zelanti della legge (21,20).
2. Ma un nuovo problema venne a porsi quando dei pagani incirconcisi aderirono alla fede senza passare attraverso al giudaismo. Pietro stesso battezzò il centurione Cornelio, dopo che una visione divina gli ebbe ordinato di considerare puri coloro che Dio ha purificati mediante la fede ed il dono dello Spirito (Atti 10). L’opposizione degli zelatori della legge (11,2s) cadde dinanzi all’evidenza di un intervento divino (11,4-18). Ma una conversione in massa di Greci ad Antiochia (11,20), avallata da Barnaba e Paolo (11,22-26), riaccese la disputa. Osservatori venuti da Gerusalemme, e più precisamente dall’ambiente di Giacomo (Gal 2,12), vollero costringere i convertiti all’osservanza della torah (Atti 15,1s. 5). Pietro, in visita alla Chiesa di Antiochia, si destreggiò dinanzi a questa difficoltà (Gal 2,11 s). Il solo Paolo si levò per affermare la libertà dei pagani convertiti nei confronti delle pratiche legali (Gal 2,14-21). In una riunione plenaria tenutasi a Gerusalemme, Pietro e Giacomo gli diedero infine ragione (Atti 15,7-19): Tito, compagno di Paolo, non fu neppure costretto alla circoncisione, e la sola condizione posta alla comunione cristiana fu un’elemosina per la Chiesa madre (Gal 2,1-10). Vi si aggiunse una regola pratica, destinata a facilitare la comunanza di mensa nelle Chiese di Siria (Atti 15,20s; 21,25). Tuttavia questa decisione liberatrice lasciò sussistere negli zelatori della legge un sordo malcontento nei confronti di Paolo (cfr. 21,21).

Vietato accontentarsi - Alessandro Pronzato (Il Vangelo in casa): - La novità della posizione assunta da Cristo nei confronti della Legge antica (non «abolizione», ma «compimento») potrebbe essere riassunta in questo dinamismo: - continuità - rottura - superamento.
Gesù non annulla quanto «è stato detto dagli antichi» (semmai il suo dissenso riguarda certe interpretazioni fuorviami). Tuttavia inserisce un elemento di rottura («ma io vi dico»). Perché va al centro, recupera l’ispirazione e la tensione originarie, le purifica dalle incrostazioni abusive con cui sono state soffocate e paralizzate. Sulla Legge di Dio gli uomini hanno sovrapposto i loro schemi, i loro commenti, le loro forme ed abitudini, che hanno finito per oscurare il progetto originario e soprattutto per bloccarne il dinamismo. La Legge è rimasta mummificata, fissa, immobile, pur dilatandosi oltre misura. Gesù le restituisce il movimento, la leggerezza, ne rivela le possibilità. La Legge imprigionata nelle forme, che ha raggiunto dimensioni spropositate, è una Legge deformata, che non manifesta più le intenzioni di Dio, il piano del suo amore. Gesù la libera da queste ingessature sclerotizzanti, da queste armature esteriori, ne fa esplodere le contraddizioni, ne fa avvertire il senso, l’anima, la logica di fondo, ne rivela le conseguenze, la ricchezza e le potenzialità per il presente. Insomma, le restituisce il dinamismo rimasto congelato. Gesù pretende che i suoi discepoli pratichino una giustizia «superiore» a quella degli scribi e dei farisei. Ciò non vuol dire che debbano sentirsi superiori, né che occorra condannare in blocco quella prassi. Semplicemente i discepoli non possono «accontentarsi» di ripetere quel modello. Sono chiamati a fare qualcosa di diverso. Per loro vige la regola del superamento, dell’andare oltre.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “I singoli precetti dell’Antico Testamento conservano il loro valore, ma solo in quanto sono rapportabili alla legge dell’amore”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Il pane di cui ci siamo nutriti alla tua mensa
ci santifichi, Signore, e riscattandoci da ogni colpa,
ci renda degni delle tue promesse.
Per Cristo nostro Signore.