16 Marzo 2020

Lunedì III Settimana di Quaresima

2Re 5,1-15a; Sal 41 - 42 (42-43); Lc 4,24-30

Colletta: Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

L’annuncio - La posizione di Gesù - Catechismo degli Adulti 117: Gesù si inserisce nel suo ambiente, inquieto e pieno di aspettative, con continuità e originalità. Il suo passaggio desta nella gente interesse, stupore, entusiasmo; a volte perfino un misterioso timore. Provoca in molti diffidenza, delusione, rifiuto e ostilità. Non lascia però indifferente nessuno.
Il suo annuncio è che il regno di Dio non è più solo da attendere nel futuro; è in arrivo, anzi in qualche modo è già presente. Viene in modo assai concreto, a risanare tutti i rapporti dell’uomo: con Dio, con se stesso, con gli altri e con le cose. Vuole attuare una pace perfetta, che abbraccia tutto e tutti. Al suo confronto l’esodo dall’Egitto e il ritorno da Babilonia erano solo pallidi presagi. Tuttavia il Regno non comporta né il trionfo della legge mosaica, né la rivoluzione nazionale, né gli sconvolgimenti cosmici. Bisogna credere innanzitutto all’amore di Dio Padre, che si manifesta attraverso Gesù, e convertirsi dal peccato, che è la radice di tutti i mali.
Annuncio e dialogo - Catechismo degli Adulti 579: L’annuncio di Cristo deve essere fatto in un clima di dialogo e di collaborazione: «La Chiesa non vede un contrasto tra l’annuncio del Cristo e il dialogo interreligioso». Piuttosto in essi vede due aspetti, distinti e complementari, della sua missione evangelizzatrice.
La proclamazione del vangelo deve essere permeata di spirito dialogico, sia per rispetto all’uomo sia per coerenza col messaggio stesso. Il dialogo, a sua volta, deve preparare il terreno al vangelo e non porsi come esperienza autosufficiente e conclusiva.

Dal Vangelo secondo Luca 4,24-30: In quel tempo, Gesù [cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret]: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidóne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Elisèo, ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù cominciò a dire nella sinagoga a Nàzaret…: Benedetto Prete (I Quattro Vangeli): 24 Nessun profeta è ben accetto nella sua patria; l’evangelista riferisce i fatti coordinandoli secondo una successione personale; egli, senza accennare ad altri interventi dei Nazaretani, continua a far parlare Gesù («E soggiunse: In verità vi dico: Nessun profeta etc.»). Il Maestro, richiamandosi ad un altro detto corrente: «nessun profeta è ben accetto nella sua patria», indica la ragione per la quale si rifiuta di operare dei miracoli a Nazareth, sua patria. Il motivo è suggerito da una esperienza largamente comprovata: ad ogni profeta capita di non essere accetto ai propri concittadini, perché credono di conoscere troppe cose di lui. Nel caso di Gesù, i Nazaretani non lo accolsero perché conoscevano la sua umile origine e le sue modeste condizioni di vita; fatti questi che impedivano ai suoi concittadini di considerarlo come Messia. Tuttavia, nella valutazione di Cristo, il motivo teologico profondo di questo rifiuto va identificato nell’atteggiamento interiore dei Nazaretani; in essi il Maestro aveva notato ostilità, disprezzo ed assenza di quella iniziale apertura alla fede, necessaria per il compimento del miracolo. Senza dubbio l’esplicita dichiarazione del Salvatore nei confronti dei suoi concittadini dovette fortemente irritarli; con ciò si spiega, almeno in parte, il loro risentimento così acceso che li indusse a concepire propositi omicidi (cf. vers. 29).
25-27 Vi erano molte vedove in Israele al tempo di Elia; i fatti ai quali allude il Maestro nei verss. 25-27 si ricollegano a quanto egli aveva affermato al vers. 23; tali esempi quindi non illustrano il detto popolare: «nessun profeta è ben accetto in patria sua», ma precisano il motivo per il quale il Redentore non fa beneficiare dei suoi miracoli i propri concittadini, bensì gli estranei. Infatti egli, nel suo ministero, segue l’esempio dei grandi profeti della storia ebraica, Elia ed Eliseo, i quali, per mandato divino, hanno operato miracoli in favore di una vedova di Sarepta (località a sud di Sidone) e di Naaman siro, cioè in favore di due individui che non appartenevano al popolo di Israele (alla vedova di Sarepta Elia provvide miracolosamente farina ed olio; cf. 1Re, 17, 8-16; e Naaman siro fu guarito dalla lebbra per opera di Eliseo; cf. 2 Re, 5,1-14). Questi esempi, conosciuti soltanto dal terzo vangelo, racchiudono un insegnamento importante: Dio è interamente libero nell’accordare i mezzi della salvezza inviando i suoi profeti a chi vuole. Elia, perseguitato dai suoi compatrioti, non poté soccorrere nessuna vedova d’Israele e durante una terribile carestia fu inviato a rinnovare miracolosamente le provviste di olio e di farina ad una vedova di Sarepta. Anche Eliseo, discepolo di Elia, risanò dalla lebbra Naaman siro, che era venuto da lontano per implorare la guarigione, mentre i lebbrosi che si trovavano in Samaria non si erano rivolti a lui per essere liberati dal loro male. Gesù, quindi, svolgendo il suo ministero fuori dalla patria, segue la volontà di Dio che si era già manifestata nell’azione dei profeti dell’Antico Testamento. Il cielo restò chiuso per tre anni e sei mesi: la cifra (tre anni e mezzo di siccità), ricordata la Luca nel precedente versetto e da Giacomo, 5,7, è una cifra arrotondata e diventata tradizionale come era nel gusto della letteratura apocalittica. La cifra designa un lungo periodo di prova e di calamità e forse richiama gravi sciagure che colpirono la nazione eletta, come ad esempio la persecuzione di Antioco Epifane, la quale diventò tipo della durata delle sventure abbattutesi su Israele (cf. Daniele, 7,25; 12,7). Il numero degli anni e dei mesi segnalato dall’evangelista non corrisponde a quello indicato dal libro dei Re a cui si riferisce, poiché in 1 Re, 17,1 il tempo della siccità rimane imprecisato ed in 1 Re, 18, 1 è detto che nel terzo anno si avrà la pioggia. Fu mondato, cioè: fu guarito; la lebbra infatti rendeva legalmente impuri i poveri infelici colpiti da questa ributtante malattia.
28 Furon pieni d’ira; lo sdegno dei Nazaretani esplode davanti al deciso rifiuto di Gesù di compiere dei miracoli nella sua patria ed alle dichiarazioni aggiunte per giustificare la sua condotta.
29 Lo cacciarono fuori dalla città; i Nazaretani passano dallo sdegno all’ostilità aperta ed espellono il Maestro dalla città con l’intento di ucciderlo facendolo precipitare da una scarpata. Un dirupo del monte; la località non è precisata. Nazareth sorgeva su una piccola altura circondata da altre colline; non era quindi difficile trovare nelle vicinanze di essa una scarpata per gettarvi il Maestro.
30 Egli, passando in mezzo a loro, se ne andò; conclusione molto concisa dell’autore, che non vuol dilungarsi nel descrivere il modo con il quale il Maestro si sottrasse al furore omicida dei suoi concittadini. Luca, con questo breve rilievo, afferma soltanto che Gesù si sottrasse dai propositi violenti dei Nazaretani (cf. Gio., 7,30,45; 8,59); egli quindi non accenna ad un miracolo compiuto dal Maestro per sfuggire alla morte, ma lascia capire al lettore, come rivelerà in altra circostanza (cf. Lc., 9,51), che nessuno poté fare qualcosa contro Gesù, poiché non era ancora giunta l’ora della sua morte.

La lebbra - P. Grelot: Nella stessa categoria della lebbra propriamente detta (nega’, parola che significa anzitutto piaga, colpo »), la Bibbia raggruppa sotto nomi diverse parecchie affezioni cutanee particolarmente contagiose, e persino la muffa delle vesti e dei muri (Lev 13,47.14, 33..).
1. La lebbra, impurità e castigo divino, - Per la legge, la lebbra è un’impurità contagiosa; perciò il lebbroso è escluso dalla comunità sino alla sua guarigione ed alla sua purificazione rituale, che esige un sacrificio per il peccato (Lev 13,14). Questa lebbra è la «piaga» per eccellenza con cui Dio colpisce (naga’) i peccatori. Israele ne è minacciato (Deut 28,27-35). Gli Egiziani ne sono colpiti (Es 9,9ss). e così pure Maria (Num 12,10-15) ed Ozia (2Cron 26,19.23) Essa è quindi, per principio, un segno del peccato. Tuttavia, se il servo sofferente è col-
pito (naga’; Vg: leprosum) da Dio, per modo che ci si scosta da lui come da un lebbroso, si è perché, quantunque innocente, egli porta i peccati degli uomini che saranno guariti in virtù delle sue piaghe (Is 53,3-123; cfr. Sal 73,14).
2. La guarigione dei lebbrosi. - Può essere naturale, ma anche avvenire per miracolo, come quella di Naaman nelle acque del Giordano (2 Re 5), segno della benevolenza divina e della potenza profetica. Gesù, quando guarisce i lebbrosi (Mt 8,1-4 par, Lc 11-19), trionfa della piaga per eccellenza; ne guarisce gli uomini di cui prende su di sé le malattie (Mt 8,17). Purificando i lebbrosi e reinserendoli nella comunità, egli abolisce con un atto miracoloso la separazione tra il puro e l’impuro. Se prescrive ancora le offerte legali, lo fa a titolo di testimonianza: i sacerdoti constateranno in tal modo il suo rispetto della legge e tempo il suo potere miracoloso. Unita alle altre guarigioni, quella dei lebbrosi è quindi un segno che egli è proprio «colui che deve venire» (Mt 11,5 par.). Anche i Dodici, mandati da lui in missione, ricevono l’ordine ed il potere di mostrare con questo segno che il regno di Dio è giunto (Mt 10,8).

Compostella (Messale per la Vita Cristiana): Perché gli uomini rifiutano il profeta che parla in nome di Dio? Perché avvertono in lui un personaggio «scomodo», che li sveglia dal loro quieto vivere e condanna le vie sbagliate che percorrono, invitandoli a cambiare vita e a mettersi sulla strada indicata dal vangelo e dal modello di Cristo.
A Nazaret rifiutano Gesù, perché chiedeva un cambiamento radicale di vita, di abitudini, di mentalità. Allora trovano tanti pretesti per sfuggire all’ammonimento del profeta.
Il mondo ha bisogno di profeti del vangelo. Oggi più di ieri.
Anch’io sono invitato a essere profeta, cioè a testimoniare il vangelo con la vita e la parola, in tutte le situazioni di ogni giorno: famiglia, lavoro, scuola, letture, conversazioni, impegno di carità, attenzione all’uomo, ecc. Debbo chiedermi: chissà se la gente che mi avvicina riceve da me uno stimolo al bene?
Ma prima ancora mi pongo questa domanda: come accolgo Gesù, che ogni giorno m’invita alla conversione? I miei criteri di giudizio, di scelta, non entrano in crisi quando leggo il Vangelo? È una verifica che dovrei fare con serietà, nella preghiera. Altrimenti, a cosa serve dirsi cristiano, se poi rifiuto tante volte ogni giorno l’invito di Gesù alla conversione?

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
***  “Altrimenti, a cosa serve dirsi cristiano, se poi rifiuto tante volte ogni giorno l’invito di Gesù alla conversione?”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Questa partecipazione al tuo sacramento
ci purifichi, Signore,
e ci raccolga insieme nella tua unità.
Per Cristo nostro Signore.