15 Marzo 2020

III Domenica di Quaresima

   Es 17,3-7; Salmo 94 (95); Rm 5,1-2.5-8; Gv 4,5-42

Colletta: Dio misericordioso, fonte di ogni bene, tu ci hai proposto a rimedio del peccato il digiuno, la preghiera e le opere di carità fraterna; guarda a noi che riconosciamo la nostra miseria e, poiché ci opprime il peso delle nostre colpe, ci sollevi la tua misericordia. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Prima lettura: Il popolo d’Israele, torturato dalla sete, mormora contro Mosè e contro il Signore. Mosè, su comando di Dio, percuote una roccia dalla quale scaturisce acqua che disseterà il popolo. Un gesto che «richiama la provvisione divina primordiale della pioggia e delle sorgenti [Gn 2,4-6; 10-14] e la sua ripresa ordinata, dopo il diluvio, col ciclo delle stagioni [Gn 8,21-22]. Richiama pure l’opera dei Patriarchi, scavatori di pozzi come Giacobbe, intorno ai quali vivono la loro vicenda alimentata dall’altra acqua che è la fede» (Don Bruno Barisan).

Salmo Responsoriale: Se ascoltate oggi la sua voce: «Oggi indica la vita presente. Gesù Cristo è lo stesso ieri oggi e sempre! (Eb 13,8); ...finché dura questo oggi (Eb 3,13). Essi hanno pure rifiutato il Signore che viene nell’oggi della sua incarnazione per aprir loro questo riposo... Questo giorno è quello che viviamo in questo mondo, tutta la nostra vita presente è indicata da questo solo giorno. Questo mistero ci insegna a non rinviare all’indomani le nostre opere di giustizia, ma piuttosto ad affrettarci a compiere oggi tutto ciò che tende alla perfezione. Così potremo entrare nella terra della promessa» (Origene).

Seconda lettura: L’apostolo Paolo mette in evidenza il sacrificio di Gesù per mezzo del quale l’umanità è riconciliata con Dio: un mirabile dono dal quale scaturiscono la pace, la capacità di accedere al Padre, la speranza rafforzata dalla pazienza che rende virtuosi, l’amore di Dio che è stato riversato nel cuore dell’uomo per mezzo dello Spirito Santo (Cf. Rom 5,5).

Vangelo: Due erano le vie abituali per andare dalla Giudea alla Galilea. La più breve passava per la città di Samaria. Gesù, forse, intenzionalmente sceglie questa via perché gli avrebbe dato l’opportunità di predicare ai Samaritani. Mentre si sta avvicinando a Samaria, nei pressi di Sicar, Gesù incontra una donna samaritana che era venuta ad attingere l’acqua al pozzo di Giacobbe. Seduto sull’orlo del pozzo, Gesù, stanco, assettato svela alla donna samaritana i segreti del suo cuore: Egli è venuto nel mondo a salvare quello che era perduto frantumando i confini delle razze, delle religioni e delle ipocrisie. Rivela a una samaritana, come tale odiata dai Giudei, il suo amore grande, immenso quanto il cuore di Dio, un amore che si estende a tutti gli uomini, e per tutti e ciascuno questo amore lo spingerà ad offrirsi su una Croce come purissima vittima gradita al Padre. Su questo tema fondamentale di rivelazione - questi è veramente il salvatore del mondo -, sono modulati tre temi particolari: l’acqua viva (vv. 7-14); il culto autentico (vv. 20-24); la missione e i suoi frutti (vv. 28-42).

Forma breve - Dal Vangelo secondo Giovanni 4, 5-15.19b-26.39a.40-42: In quel tempo, Gesù giunse a una città della Samarìa chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?».
I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?».
Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà
di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore - gli dice la donna -, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua. Vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare».
Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora - ed è questa - in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa».
Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». Molti Samaritani di quella città credettero in lui. E quando giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Il racconto della donna Samaritana ruota attorno ad un bisogno naturale dell’uomo, quello dell’acqua. Gesù, stanco del viaggio, siede presso un pozzo e sembra attendere qualcuno ... è ancora Dio che prende l’iniziativa perché Egli «vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4).
Giunge una donna samaritana ad attingere acqua e Gesù le chiede da bere. La sete di Gesù palesa un’altra sete, quella di salvare tutti gli uomini, per l’amore che Egli porta ad essi. Sulla Croce, Gesù, tormentato dalla sete, ripeterà ancora una volta: «Ho sete» (Gv 19,28).
Gesù si fa mendicante: Dammi da bere. Un «buon particolare psicologico per guadagnarsi la benevolenza del nemico è quello di accostarsi a lui in atteggiamento di aiuto. L’umiliazione che suppone questo modo d’agire abbatte barriere e dispone a un possibile dialogo. È quello che fa Gesù in questa occasione» (Felipe F. Ramos).
Una petizione quella del Cristo che sconvolge il cuore della Samaritana: Come mai tu, che sei Giudeo ..., una domanda inusuale perché i «Giudei non mantengono buone relazioni con i Samaritani».
I giudei odiavano i samaritani (Cf. Sir 50,25-26; Mt 10,5; Lc 9,52-55; 10,33; 17,16; Gv 8,48,) e spiegavano la loro origine (Cf. 2Re 17,24-41) con l’immigrazione forzata di cinque popolazioni pagane, rimaste in parte fedeli ai loro dèi. I cinque mariti della samaritana forse alludono a queste cinque divinità.
La richiesta è inusuale e oltremodo scandalosa perché Gesù, infrangendo vecchi pregiudizi, si rivolge a una donna e per di più samaritana; una domanda scandalosa per due motivi: primo perché si rivolge ad una donna la cui vita “poco edificante” è sotto gli occhi di tutti, secondo perché gli ebrei considerano le donne samaritane ritualmente impure ed è quindi loro proibito bere da qualunque recipiente toccato da esse. La risposta della donna samaritana rende possibile il dialogo e «palesa l’accoglienza che l’azione della grazia sta avendo nell’anima della donna: la disponibilità stessa a conversare con Cristo, che era Giudeo, segna il primo passo del mutamento che comincia ad effettuarsi» (La Bibbia di Navarra).
Se tu conoscessi il dono di Dio..., mentre la donna samaritana resta sul piano delle relazioni umane, Gesù fa “volare” il discorso su realtà divine, di cui l’acqua del pozzo è solo un simbolo. È un forte invito a scoprire il dono di Dio e colui che mendica un po’ d’acqua. La invita a conoscere il dono di Dio: lo Spirito Santo, principio della nuova nascita (Cf. Gv 3,5). La invita a scoprire Dio in quell’uomo assetato che per amore si è annichilito «assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7): Egli è venuto sulla terra per portare all’umanità l’acqua che dà la vita.
La donna, attaccata ancora ai bisogni del corpo, fa un altro passo avanti nel suo aprirsi all’intervento divino: Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe? Una risposta che tradisce una domanda rimasta occultata nel profondo del cuore: Chi è costui che mi parla?
Gesù, partendo da realtà terrene, eleva la donna alla comprensione di grandi misteri: lui è più grande di Giacobbe perché possiede un’acqua viva. E alla sua crescente curiosità, le fa capire chiaramente che conosce il suo intimo, la sua vita, i segreti del suo cuore, il suo peccato.
Gesù legge nel cuore della donna come in un libro aperto. Tutto questo provoca una prima confessione di fede: Vedo che tu sei un profeta. Il cuore della donna pian piano si scioglie al tiepido calore della verità. È ammirabile la docilità di questa donna che, deponendo ogni pregiudizio, si accosta, con sete sempre più crescente, alla fonte della verità.
La donna samaritana, dopo aver constatato che Gesù possiede il dono della profezia, sottopone al suo misterioso interlocutore l’antica questione che divideva Giudei e Samaritani: bisogna adorare Dio sul monte Garizim o nel tempio di Gerusalemme?
Gesù ne approfitta per rivelare un grande segreto: è già venuto il tempo di Dio, il tempo della salvezza, il tempo in cui i veri adoratori, vivificati dallo Spirito Santo, adoreranno il Padre in spirito e verità, ossia suscitati e illuminati dallo Spirito Santo (Cf. Rom 8,26-27). Nel cuore e nella mente dei nuovi adoratori cadrà ogni barriera di ignoranza e di inimicizia: vivranno in pace e resi sapienti dallo Spirito, la loro preghiera, in Cristo, sarà perfetta e gradita al Padre. La donna, forse sentendosi a disagio, confessa la sua ignoranza su tali argomenti, e, come se volesse rassicurare l’interlocutore sconosciuto, dice di essere a conoscenza della venuta del Messia, il quale avrebbe annunziato loro ogni cosa.
Di fronte a questa favorevole disposizione d’animo Gesù si rivela come il Messia: Sono io, che parlo con te. Sono io, la stessa espressione di cui s’era servito Dio per manifestarsi a Mosè (Cf. Es 3,14), e che in bocca a Gesù è volta alla rivelazione non solo della propria messianicità, ma anche della propria divinità (Cf. Gv 8,24.28.58; 18,6).
In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna: ai «maestri ebrei non è permesso parlare con le donne per strada, perché si ritiene che questo li distolga dallo studio della Torah. La riluttanza che manifestano i discepoli nel porre le domande a Gesù dimostra quanto fossero imbarazzati del fatto che, parlando con una donna, egli non tenesse conto di tale divieto» (Il Nuovo Testamento, Ed. Paoline).
A questo punto la donna corre a chiamare i suoi concittadini, i quali, con tanta docilità, si mettono ad ascoltare il Maestro aprendosi così alla grazia e alla luce della fede. Superando il loro nazionalismo, riconoscono in Gesù il Salvatore mandato da Dio a salvare il mondo e perché ogni uomo possegga in lui la vita eterna  (Cf. Gv 3,16-18).
Questa conclusione, se con la memoria andiamo all’episodio della sinagoga di Nazareth, lascia in bocca un po’ di amaro. Nella sua casa, Giudei e maestri della sacra Scrittura, tentarono di ammazzarlo per le sue parole di verità; in Samaria, degli eretici, accolgono la Parola e fanno la loro bella professione di fede: «noi crediamo... sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo» (Gv 4,42). Una lezione da meditare!

Primo Mazzolari (Antologia, 212-5): La samaritana crede nel miracolo, nel miracolo più che nella felicità, come tutte le donne. Per questo, solo le donne sanno attendere, sperare e forzar la mano del Signore con parole e slanci che costituiscono una delle meraviglie del vangelo. (…) I motivi della samaritana sono buoni, ma il primo è espresso in modo sbagliato, il secondo in modo incompleto. Dio, è vero, acqueta e vince la nostra sete, ma non la spegne: non vuole spegnerla, essendo una nota sostanziale della nostra spiritualità. Come non ci toglie la croce, così non ci toglie la sete. Senza croce cesseremmo di progredire e di assomigliargli: senza sete non lo cercheremmo più. «Come il cervo cerca le fonti, così l’anima mia cerca te, o Signore». Egli leva alla mia sete il tormento, ma me la lascia. Nell’acqua viva che egli mi dà, c’è anche di più di quanto la mia sete richieda: io però vi attingo di continuo per un bisogno che, cessando di essere un tormento, è divenuto il mio gaudio: «La mia anima ha sete di te, Dio forte e vivo». (…) Molti pretenderebbero di ridurre la religione ad una forma assicurativa di quiete. Non mi pare che il Signore possa essere soddisfatto di gente che arrivi a lui con animo dimissionario e di pensionato. (…) l’adorazione in spirito e verità, voluta dal vangelo, c’impegna di più dopo che prima dell’arrivo. Anche la grazia di arrivare in porto non è di esclusivo godimento di colui che arriva. Ogni possesso è un dono in funzione di carità, perché anche gli altri abbiano e in maniera anche più abbondante di noi stessi. Oltre la mia sete c’è la sete dei fratelli: oltre la mia stanchezza, la loro stanchezza.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Oltre la mia sete c’è la sete dei fratelli: oltre la mia stanchezza, la loro stanchezza” (Primo Mazzolari).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

O Dio, che ci nutri in questa vita
con il pane del cielo, pegno della tua gloria,
fa’ che manifestiamo nelle nostre opere
la realtà presente nel sacramento che celebriamo.
Per Cristo nostro Signore.