14 Marzo 2020

Sabato II Settimana di Quaresima

 Mi 7,14-15.18-20; Sal 102; Lc 15,1-3.11-32


Colletta: O Dio, che per mezzo dei sacramenti ci rendi partecipi del tuo mistero di gloria, guidaci attraverso le esperienze della vita, perché possiamo giungere alla splendida luce in cui è la tua dimora. Per il nostro Signore Gesù Cristo...

Padre ho peccato: Reconciliatio e paenitentia 13: Riconoscere il proprio peccato, anzi - andando ancora più a fondo nella considerazione della propria personalità - riconoscersi peccatore, capace di peccato e portato al peccato, è il principio indispensabile del ritorno a Dio. È l’esperienza esemplare di Davide, che dopo «aver fatto male agli occhi del Signore», rimproverato dal profeta Natan, esclama: «Riconosco la mia colpa, il mio peccato mi sta sempre dinanzi. Contro di te, contro te solo ho peccato; quello che è male ai tuoi occhi io l’ho fatto» (Sal 51,5s). Del resto, Gesù mette sulla bocca e nel cuore del figlio prodigo quelle significative parole: «Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te» (Lc 15,18.21). In realtà, riconciliarsi con Dio suppone e include il distaccarsi con lucidità e determinazione dal peccato, in cui si è caduti. Suppone e include, dunque, il fare penitenza nel senso più completo del termine: pentirsi, manifestare il pentimento, assumere l’atteggiamento concreto del pentito, che è quello di chi si mette sulla via del ritorno al Padre. Questa è una legge generale, che ciascuno deve seguire nella situazione particolare in cui si trova. Il discorso sul peccato e sulla conversione, infatti, non può essere svolto solo in termini astratti.

Dal Vangelo secondo Luca 15,1-3.11-32: In quel tempo, si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati. Si alzò e tornò da suo padre. Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso. Gli rispose il padre: Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».   

Un uomo aveva due figli - La parabola alla luce del v. 2 (I farisei e gli scribi mormoravano ...), si pone in un contesto polemico: Gesù se ne serve per annunciare la misericordia divina, ma anche per difendere il suo comportamento. Ai farisei che lo rimproverano di intrattenersi con i pubblicani, uomini e donne ritenuti peccatori pubblici, Gesù narra tre parabole (la dracma e la pecora perduta e ritrovata, il figlio prodigo) per suggerire che Egli, il Figlio, si comporta nei confronti dei peccatori così come si comporta Dio, il Padre.
Che il giovane chieda e ottenga l’eredità è un fatto insolito, ma tenendo conto della finalità della parabola la richiesta serve a porre l’accento sul peccato del giovane che è paurosamente crescente: alla istanza insana si aggiunge l’allontanamento dalla casa paterna, poi la dissipazione dell’eredità, quindi la fame e il degradante lavoro di porcaio.
In questo mestiere, forse, sta celato il vero peccato del giovane avvalorato dal suo grido rivolto al Cielo: «Padre, ho peccato davanti a te», e dal fatto che la parabola è tesa a difendere la benevolenza di Gesù nei confronti dei pubblicani, ritenuti impuri. Forse Luca annotando il fatto che il giovane si era adattato per fame a fare il mandriano di porci, cioè di animali impuri, voleva dare al lettore un messaggio molto più forte: quello dell’apostasia del giovane, un peccato molto più grave dello sperpero dell’eredità.
Tormentato dalla fame, il giovane rientra in se stesso e toccando con mano il fango in cui era caduto si decide di ritornare tra le braccia del Padre. Qui l’asse della parabola si sposta facendo della parabola del «figlio prodigo» un’icona e una manifestazione piena dell’amore misericordioso del Padre. Ecco perché essa potrebbe essere definita come la «parabola del Padre misericordioso».
In verità a rileggere la parabola il protagonista non è il figlio che se ne va di casa e poi torna abbracciato dal Padre e nemmeno l’altro figlio, quello maggiore, che non sa accettare il comportamento del Padre, ma lui, il Padre, con il suo amore fatto di trepidante attesa per le sorti del figlio scapestrato.
Soltanto «il cuore di Cristo, che conosce le profondità dell’amore di suo Padre, ha potuto rivelarci l’abisso della sua misericordia in una maniera così piena di semplicità e di bellezza» (Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1439).
Quindi, l’intento di Cristo, nel raccontare questa parabola, oltre a quello apologetico, è quello di rivelare il cuore e il vero volto del Padre. A tradire questa intenzione è quel sottolineare, con vibranti sfumature, la compassione di Dio, un sentimento che svela il mistero della sua misericordia e della sua bontà: «Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò».
Ebbe compassione... riferito a Dio è un’espressione «molto forte ... infatti, indica il sentimento e l’amore intenso della madre: il verbo nel suo significato originario indica anche il seno o il grembo materno, là dove il figlio prende corpo dal corpo della madre. L’uso di questo verbo spiega perché nella parabola di Luca, manchi la figura della madre. Dio è tutto e nella descrizione che di lui fa la Bibbia attraverso la figura del Padre esaurisce tutto il mondo dell’uomo e tutti gli atteggiamenti che lo qualificano come padre-madre, uomo-donna» (Don Primo Gironi).
Dio è amore infinito, sempre presente; sempre pronto a non lasciare nulla di intentato lì dove c’è un figlio da amare e da perdonare, da custodire e da cercare. Un amore che sa attendere pazientemente anche chi si ostina a non capire l’amore e le sue esigenze (Cf. 2Pt 3,9).
Anche lui, il «figlio maggiore», ritornerà e si convincerà ad entrare in casa, e anche per lui si ammazzerà il vitello grasso e si farà festa. Una speranza che si fa certezza attraverso la Parola di Dio: «l’indurimento di una parte di Israele è in atto fino a che saranno entrate tutte le genti. Allora tutto Israele sarà salvato [...], perché i doni e la chiamata di Dio sono irrevocabili!» (Rom 11,25-29). Il vestito più bello è il segno che il Padre ha perdonato i peccati del figlio: ne ha fatto un fagotto e li ha gettati «in fondo al mare» (Mi 7,19); l’anello e i sandali, che non indossavano gli schiavi, sono il segno inequivocabile della ricuperata figliolanza, della libertà di Figlio (Cf. Gc 2,2). La parabola è un chiaro monito per i farisei di tutti i tempi: invece di scandalizzarsi di Dio che ama teneramente anche i peccatori, sarebbe opportuno scandalizzarsi delle proprie grettezze e dei propri pregiudizi.

Si alzò e tornò da suo padre - J. Giblet e P. Grelot: Durante la sua vita Gesù aveva già mandato gli apostoli a predicare la conversione annunziando il vangelo del regno (Mc 6,12). Dopo la risurrezione rinnova loro questa missione: essi andranno a predicare in suo nome la penitenza a tutte le nazioni in vista della remissione dei peccati (Lc 24,47), perché i peccati saranno rimessi a coloro ai quali essi li rimetteranno (Gv 20,23). Gli Atti e le Lettere fanno assistere all’esecuzione di quest’ordine. Ma la conversione assume tuttavia un aspetto diverso a seconda che si tratti di Gíudei o di pagani.
l. Ai Giudei si richiede anzitutto la conversione morale a cui già li chiamava Gesù. A questo ravvedimento (metànoia) Dio risponderà accordando il perdono dei peccati (Atti 2,38; 3,19; 5,3l); suo suggello sarà il ricevere il battesimo ed il dono dello Spirito Santo (Atti 2,38). Tuttavia, assieme ad un cambiamento morale, la conversione deve anche includere un atto positivo di fede in Cristo: i Giudei si rivolgeranno (epistrèfein) verso il Signore (Atti 3,19; 9,35). Ora, secondo l’esperienza che ne fa Paolo, una simile adesione a Cristo è la cosa più difficile da ottenere. I Giudei hanno un velo sul cuore. Se si convertissero, il velo cadrebbe (2Cor 3,16). Ma, secondo il testo di Isaia (6,9s), il loro indurimento li lega all’incredulità (Atti 28,24-27). Peccatori quanto i pagani, minacciati al pari di essi dall’ira divina, non comprendono che Dio dimostra pazienza per spingerli al pentimento (Rom 2,4). Soltanto un resto risponde alla predicazione apostolica (Rom 11,1-5).
2. Il vangelo trova un’accoglienza migliore presso le nazioni pagane. Fin dal battesimo del centurione Cornelio, i Cristiani di origine giudaica constatano con stupore che «il ravvedimento che porta alla vita è offerto ai pagani come ad essi» (Atti 11,18; cfr. 17,30). Di fatto esso è annunziato con successo ad Antiochia ed altrove (Atti 11,21; 15,3.19); appunto questo è l’oggetto speciale della missione di Paolo (Atti 26,18.20). Ma contemporaneamente al ravvedimento morale (metànoia), la conversione esige in questo caso il distacco dagli idoli per rivolgersi (epistrèfein) al Dio vivente (Atti 14,15; 26,18; 1Tess 1,9), secondo un tipo di conversione che già il Deutero-Isaia aveva di mira. Compiuto questo primo passo, i pagani al pari dei Giudei sono portati a «rivolgersi a Cristo, pastore e guardiano delle loro anime» (1Piet 2,25).

Saper trarre il bene dal male: Dives in misericordia 6: La parabola del figliol prodigo esprime in modo semplice, ma profondo, la realtà della conversione. Questa è la più concreta espressione dell’opera dell’amore e della presenza della misericordia nel mondo umano. Il significato vero e proprio della misericordia non consiste soltanto nello sguardo, fosse pure il più penetrante e compassionevole, rivolto verso il male morale, fisico o materiale: la misericordia si manifesta nel suo aspetto vero e proprio, quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme di male, esistenti nel mondo e nell’uomo. così intesa, essa costituisce il contenuto fondamentale del messaggio messianico di Cristo e la forza costitutiva della sua missione. Allo stesso modo intendevano e praticavano la misericordia i suoi discepoli e seguaci. Essa non cessò mai di rivelarsi, nei loro cuori e nelle loro azioni, come una verifica particolarmente creatrice dell’amore che non si lascia “vincere dal male”, ma vince “con il bene il male” (Rm 12,21). Occorre che il volto genuino della misericordia sia sempre nuovamente svelato. Nonostante molteplici pregiudizi, essa appare particolarmente necessaria ai nostri tempi.

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

La comunione al pane di vita eterna, o Dio,
agisca profondamente nel nostro spirito,
e ci renda partecipi della forza di così grande sacramento.
Per Cristo nostro Signore.