11 Marzo 2020

Mercoledì II Settimana di Quaresima

Ger 18,18-20; Sal 30 (31); Mt 20,17-28

Colletta: Sostieni sempre, o Padre, la tua famiglia nell’impegno delle buone opere; confortala con il tuo aiuto nel cammino di questa vita e guidala al possesso dei beni eterni. Per il nostro Signore Gesù Cristo...  

Gesù non è venuto per essere servito, ma per servire: Lumen gentium 32: La distinzione ... posta dal Signore tra i sacri ministri e il resto del popolo di Dio comporta in sé unione, essendo i pastori e gli altri fedeli legati tra di loro da una comunità di rapporto: che i pastori della Chiesa sull’esempio di Cristo sono a servizio gli uni degli altri e a servizio degli altri fedeli, e questi a loro volta prestano volenterosi la loro collaborazione ai pastori e ai maestri. Così, nella diversità stessa, tutti danno testimonianza della mirabile unità nel corpo di Cristo: poiché la stessa diversità di grazie, di ministeri e di operazioni raccoglie in un tutto i figli di Dio, dato che «tutte queste cose opera... un unico e medesimo Spirito» (1Cor 12,11). I laici quindi, come per benevolenza divina hanno per fratello Cristo, il quale, pur essendo Signore di tutte le cose, non è venuto per essere servito, ma per servire (cfr. Mt 20,28), così anche hanno per fratelli coloro che, posti nel sacro ministero, insegnando e santificando e reggendo per autorità di Cristo, svolgono presso la famiglia di Dio l’ufficio di pastori, in modo che sia da tutti adempito il nuovo precetto della carità. A questo proposito dice molto bene sant’Agostino: «Se mi spaventa l’essere per voi, mi rassicura l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza».

Dal Vangelo secondo Matteo 20,17-28: In quel tempo, mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici discepoli e lungo il cammino disse loro: «Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani perché venga deriso e flagellato e crocifisso, e il terzo giorno risorgerà». Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli e si prostrò per chiedergli qualcosa. Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». Ed egli disse loro: «Il mio calice, lo berrete; però sedere alla mia destra e alla mia sinistra non sta a me concederlo: è per coloro per i quali il Padre mio lo ha preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Ma Gesù li chiamò a sé e disse: «Voi sapete che i governanti delle nazioni dòminano su di esse e i capi le opprimono. Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

Il terzo annuncio della passione, un vero  e proprio riassunto del racconto della passione, è molto più particolareggiato dei primi due. Con impressionante realismo descrive tutte le sequenze della passione, non mancando di mettere in evidenza i principali fautori della condanna a morte del Figlio dell’uomo. Una profezia chiara, senza ombre, ma la domanda dei figli di Zebedeo fa bene intendere come il discorso sulla croce non sia stato recepito. La replica di Gesù non ammette dubbi: i discepoli non devono preoccuparsi di sedere alla sua destra o alla sua sinistra, ma di bere il suo calice, di condividere il suo battesimo di sangue. La vera preoccupazione del discepolo deve essere quella di seguirlo, non altro. L’insegnamento di Gesù è rivolto a tutto il gruppo dei discepoli, ma è probabile che l’evangelista Matteo intenda qui rivolgersi soprattutto a coloro che occupano nella comunità posti di autorità. I responsabili delle comunità non si sentano investiti di un potere assoluto. Chi governa impari la carità, l’umile arte del servizio: chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti. Il valore della vita dei discepoli, e sopra tutto dei responsabili delle comunità, non è determinato dall’affermazione di sé, né dall’auto-esaltazione sia pure in senso legittimo, ma semplicemente in termini del suo valore per gli altri. Proprio come lo schiavo che non era padrone della sua vita e non poteva avere fini suoi personali da realizzare.

Voi non sapete quello che chiedete - Claude Tassin (Vangelo di Matteo): Luca sembra ignorare quest’episodio che, in Matteo, collega i dati di Marco con alcune varianti. Se, in Marco, Giacomo e Giovanni avanzano loro stessi la propria richiesta, Matteo tiene presente la reputazione degli illustri fratelli e fa intervenire la loro madre, una vera «mamma giudaica», pronta a tutto per i suoi rampolli. Essa esige quindi per i suoi due figli i due posti d’onore nel regno di Gesù - «nel tuo regno» -, le fa dire l’evangelista, poiché, secondo lui, il Padre affida ogni potere a suo Figlio e Gesù sta per fare il suo ingresso trionfale in Gerusalemme.
Non badando all’intromissione materna, il Maestro si rivolge direttamente ai due discepoli: essi non sanno che cosa chiedono (v. 22); il cammino verso il regno non è la strada agevole che essi immaginano. Essi devono «bere il calice», «il mio calice», dice Gesù, annunciando la scena del Getsemani (cfr. 26,39). Infatti, nella Bibbia, il calice rappresenta spesso la sofferenza, il castigo fatale e, nel I secolo, i giudei parlavano del «calice della morte» per riferirsi al destino mortale dell’uomo. I discepoli si limitino dunque all’onore di un martirio simile a quello di Gesù (At 12,2 ricorda effettivamente l’esecuzione di Giacomo) e lascino al Padre la cura della loro ricompensa.
I maestri spirituali hanno visto in questo dialogo un notevole esempio della pedagogia del Cristo: egli non soffoca il nostro desiderio di riuscire; lo corregge («Non sapete quello che chiedete»), ci rende più realisti («Potete...») e finalmente infonde in noi il desiderio di corrispondere a ciò che egli vuole per noi: «Guardate in che modo egli li esorta e li spinge a chiedere ciò che è necessario. Non dice loro: “Potete affrontare la morte violenta? Potete versare il vostro sangue?”, ma “Potete bere il calice”, e aggiunge per invogliarli: quello “che io sto per bere?”, affinché essi desiderino essere in comunione con lui» (san Giovanni Crisostomo, IV secolo).

Di’ che questi miei due figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno - Felipe F. Ramos: Le ambizioni riguardo al regno suppongono una radicale carenza di conoscenza del regno stesso; e si possono giustificare solo se lo si considera alla stregua di tutti gli altri regni della terra. Ma il regno di Dio è molto diverso: in esso, il principio determinante è il servizio del prossimo. Quindi le ambizioni devono essere determinate dalla responsabilità e dalla capacità di sacrificarsi nel servizio stesso, dalla decisione di « bere il calice » che beve il Maestro, di subire la sua sorte e di fare della vita una donazione al prossimo. Pensare diversamente vuol dire equiparare il regno di Dio ai regni della terra. E questa equiparazione è stata condannata radicalmente da Gesù, perché equivale a travisare completamente la natura delle cose, abbassare Dio al proprio livello e trasformarsi in satana (16,22-23).
Il discepolo deve seguire la via del Maestro, che non venne per essere servito, ma per servire e dare la vita in riscatto della vita degli altri; cosa che non doveva essere sconosciuta ai discepoli. La morte del giusto era considerata, nel giudaismo, come un riscatto per Israele, un riscatto che già nell’Antico Testamento era inteso come riparazione-espiazione (Is 53,11-12). La vita di Gesù fu data per il riscatto di «molti». È un semitismo nel quale «molti» è sinonimo di «tutti». Parlando di molti si intende mettere in risalto la sproporzione fra colui che dà la vita, che è uno solo, e quelli per cui la dà, che sono molti, tutti. Questa piena solidarietà con l’uomo e la donazione della vita per lui sono il programma permanente dei discepoli di Gesù. La loro vita è come un servizio al regno.

Gli altri dieci, avendo sentito, si sdegnarono con i due fratelli. Una nota che mette in luce una realtà fin troppo scomoda: nel gruppo apostolico serpeggiavano divisioni, liti, manie di grandezza ... La risposta di Gesù va in questo senso. La vera grandezza sta nel servire, nell’occupare gli ultimi posti come il Figlio dell’uomo. Una risonanza di questo insegnamento è nel racconto della lavanda dei piedi (Gv 13,1ss). Con questo detto «non si condanna di aspirare ai posti di responsabilità né si insegna paradossalmente che per raggiungere tali posti bisogna farsi servi e schiavi di tutti, ma più semplicemente si vuol dire che nell’ambito della comunità cristiana i chiamati al comando devono adempiere al loro mandato con spirito di servizio, facendosi tutto a tutti e guardando solo al bene degli altri [cf. 1Cor 9,19-23; 2Cor 4,5]» (A. Sisti).
Per Gesù servire vuol dire essere obbediente alla volontà del Padre fino alla morte, senza sconti e ripiegamenti, come il Servo di Iahvè, che si fa solidale con il peccato degli uomini. Affermando che è venuto per «dare la propria vita in riscatto per molti», il Cristo dichiara il carattere soteriologico della sua morte. Donandosi alla morte per la salvezza degli uomini e per la loro liberazione dalla schiavitù del peccato, Gesù offre alla Chiesa un modello di amore supremo, che essa è chiamata a inverare e prolungare nella storia.

Servire Dio servendo gli uomini - C. Augrain e M.-F. Lacan: Gesù ricorre agli stessi termini della legge e dei profeti (Mt 4,10; 9,13) per ricordare che il servizio di Dio esclude ogni altro culto e che, in ragione dell’amore che lo ispira, deve  essere integrale. Precisa il nome del rivale che può creare ostacolo a questo servizio: il denaro, il cui servizio rende ingiusti (Lc 16, 9), ed il cui amore l’apostolo, eco del maestro, dirà che è un culto idolatrico (Ef 5,5). Bisogna scegliere: «Nessuno può servire a due padroni... non potete servire a Dio e al denaro» (Mt 6,24 par.). Se si ama l’uno, si avrà odio e disprezzo per l’altro. Perciò la rinuncia alle ricchezze è necessaria a chi vuole seguire Gesù, servo di Dio (Mt 19,21).
1. Il servizio di Gesù. - Inviato da Dio per coronare l’opera dei servi dell’Antico Testamento (Mt 21,33... par.), il Figlio diletto viene a servire. Fin dall’infanzia afferma che deve occuparsi delle cose del Padre suo (Lc 2,49). Il corso di tutta la sua vita sta sotto il segno di un «bisogna» che esprime la sua dipendenza ineluttabile dalla volontà del Padre (Mt 16,21 par.; Lc 24, 26); ma, dietro questa necessità del servizio che lo conduce alla croce, Gesù rivela l’amore che, solo, gli dà la sua dignità ed il suo valore: «Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e che agisco come il Padre mi ha ordinato» (Gv 14,30).
Servendo Dio, Gesù salva gli uomini di cui ripara il rifiuto di servire, e rivela loro come il Padre vuole essere servito: vuole che essi si dedichino al servizio dei loro fratelli come ha fatto Gesù stesso, loro Signore e maestro: «Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita» (Mc 10,45 par.); «Io vi ho dato l’esempio... il servo non è maggiore del padrone» (Gv 13,15s); «Io sono in mezzo a voi come colui che serve» (Lc 22,27).
2. La grandezza del servizio cristiano - I servi di Cristo sono anzitutto i servi della parola (Atti 6,4; Lc 1,2), coloro che annunciano il vangelo, compiendo così un servizio sacro (Rom 15,16; Col l,23; Fil 2,22), «in tutta umiltà», e, se occorre, «nelle lacrime ed in mezzo alle prove» (Atti 20,19). Quanto a coloro che servono la comunità, su immagine dei Sette scelti dagli apostoli (Atti 6,14), Paolo insegna loro a quali condizioni questo servizio sarà degno del Signore (Rom 12,7.9-13). D’altronde, tutti i cristiani per mezzo del battesimo sono passati dal servizio del peccato e della legge, che era una schiavitù, al servizio della giustizia e di Cristo, che è la libertà (Gv 8,31-36; Rom 6-7; cfr. 1Cor 7,22; Ef 6,6). Essi servono Dio come figli e non come schiavi (Gal 4), perché lo servono nella novità dello spirito (Rom 7,6). La grazia, che li ha fatti passare dalla condizione di servi a quelli di amici di Cristo (Gv 15,15), permette loro di servire così fedelmente il loro Signore da essere certi di partecipare alla sua gioia (Mt 25,14-23; Gv 15,10s). 

Siamo arrivati al termine. Possiamo mettere in evidenza:
*** “… chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo” (Vangelo).
Nel silenzio, nell’intimità del nostro cuore, possiamo interrogarci su quanto il Signore ha voluto suggerirci. Se confidiamo nel suo aiuto, potremo dare una risposta sincera ed esauriente.

Questo sacramento, Signore Dio nostro,
che ci hai donato come pegno di immortalità,
sia per noi sorgente inesauribile di salvezza.
Per Cristo nostro Signore.